Si sono interrotte le operazioni per lo smantellamento di parte della famosa “giungla” di Calais, il nome con cui viene comunemente chiamato il complesso degli accampamenti dei migranti poco fuori la città francese. Questo insieme di rifugi di fortuna è infatti uno dei temi più scottanti del dibattito politico francese, ma anche europeo, sulla questione dei migranti e della loro gestione, e questo sgombero è solo l’ultimo episodio di una lunga controversia.
La demolizione riguarda la parte meridionale della struttura, dove i residenti stanno cercando di bloccare le ruspe accampandosi sui tetti delle baracche e accendendo fuochi. Questa reazione ha fatto protrarre le operazioni, iniziate oltre due giorni fa, ma non sembra sufficiente a far desistere le autorità francesi.
Nella baraccopoli abita quell’insieme di profughi, richiedenti asilo e migranti economici che intendono raggiungere il Regno Unito, appena al di là della Manica, ma che si trovano bloccati in Francia. Dalla giungla infatti partono quei migranti che tentano disperatamente di passare l’Eurotunnel nascondendosi nei camion e nei vagoni ferroviari, o di imbarcarsi clandestinamente nei traghetti del vicino porto.
La situazione della Giungla ha guadagnato le prime pagine della cronaca dal Settembre 2014, visto l’aggravarsi della situazione causato dall’enorme aumento del flusso migratorio che ha interessato l’Europa intera in quel periodo, ma la sua storia è ben più lunga.
Inizia tutto con l’apertura nel 1999 di un centro di accoglienza nel vicino comune di Sangatte, necessario per il fatto che già allora non era raro trovare accampati nella zona gruppi di migranti diretti in Inghilterra. Il centro finì rapidamente per accogliere oltre 2000 persone a fronte di 600 posti disponibili, obbligando i suoi ospiti a vivere in condizioni terribili e spingendo il governo a chiudere il campo nel 2002. Quella volta il governo francese trattò con Londra l’ingresso in Gran Bretagna della metà degli ospiti del centro ed aver concesso un permesso di soggiorno ai rimanenti. Da allora i migranti della zona hanno costruito diverse giungle in cui ripararsi nell’attesa di tentare la traversata della manica, fino al recente aggravarsi della situazione culminato in vari incidenti tra i migranti e le autorità portuali e di polizia.
Ma chi abita nella baraccopoli? Il mix di nazionalità è ovviamente cambiato con il tempo e le situazioni geopolitiche, passando da una maggioranza di profughi curdi, afghani ed iracheni nei primi anni Duemila fino ad oggi, dove la gran parte fugge dai conflitti in Sudan e in Somalia o dai governi autoritari di Egitto ed Eritrea. A Calais infatti si arriva soprattutto attraverso la “rotta mediterranea”, piuttosto che da quella balcanica, preferita invece da chi proviene dal Medio Oriente ma che porta verso la Germania invece che verso la Francia e la Gran Bretagna.
Le autorità francesi hanno assicurato che gli sfollati saranno distribuiti tra i centri di accoglienza della zona e nelle strutture abitative installate dal governo nello scorso gennaio. Questi campi sono composti di container riscaldati e nelle intenzioni del governo dovrebbero permettere di svolgere l’identificazione dei migranti oltre che la loro accoglienza.
Da molte parti giungono però critiche riguardo l’adeguatezza di queste strutture in termini di posti disponibili, che non supererebbero le 2000 unità. Le associazioni stimano infatti che l’accampamento offrisse riparo a non meno di 3.400 persone, molte delle quali rifiuteranno il trasferimento in centri controllati. Per accedere a queste strutture i migranti dovrebbero infatti registrarsi, cosa che impedirebbe loro di tentare ancora la fuga in Inghilterra, meta per la quale molti di loro lasciano appositamente le loro case e affrontano viaggi costosi e pericolosissimi.