In questi giorni la Royal Dutch Shell è di nuovo al centro di una bufera giudiziaria e mediatica per le attività che svolge in Nigeria, precisamente per i problemi legati all’inquinamento prodotto dall’estrazione del petrolio nel delta del fiume Niger.
La Shell, che è arrivata in Nigeria nel 1937 iniziando però le estrazioni e le esportazioni di idrocarburi solo nel 1958, ora gestisce nell’area circa una cinquantina di giacimenti di petrolio e un’intera rete di gasdotti.
A causa dei danni ambientali prodotti dall’estrazione del petrolio, dalle frequenti fuoriuscite e dalle loro conseguenze – che andavano ad affliggere una popolazione prevalentemente dedita ad agricoltura e pesca – negli anni ’90 sono iniziati i primi scontri tra i locali (gli Ogoni) e la compagnia petrolifera, colpevole di strappare terre e inquinare le acque per perseguire i propri interessi commerciali.
Gli Ogoni rappresentano una minoranza etnica nel territorio e, con l’arrivo delle compagnie del petrolio, sono stati cacciati dalle loro zone di origine. Questo è avvenuto anche grazie all’aiuto di una legge costituzionale che ha fatto sì che il governo nigeriano divenisse l’unico proprietario e detentore di diritti su tutto il territorio dello Stato.
Figura di spicco in questi anni di conflitto è stato l’attivista Ken Saro-Wiwa, presidente del Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni (MOSOP) che condusse una campagna non-violenta contro i danni ambientali connessi alle attività delle multinazionali petrolifere e che è stato successivamente arrestato e condannato alla decapitazione dal governo nigeriano, nonostante il grande disappunto delle organizzazioni internazionali per i diritti umani.
La Nigeria ha subito pesanti sanzioni da parte dei vari governi europei ed è stata sospesa dalle Nazioni Unite, ma nessuno di questi atti è andato a colpire sensibilmente la produzione di petrolio. Anche GreenPeace si scagliò contro questa situazione in un report nel 2001 con cui denunciava il coinvolgimento della compagnia Shell nel piano per “incastrare” il leader Ken Saro-Wiwa.
Nel 1999 è iniziata una fase di distensione, almeno per quanto attiene il livello politico, grazie alla conversione democratica della Nigeria con l’elezione del governo di Obasanjo. Nel 2000, anche per volontà del presidente, è stata creata la Niger Delta Development Commission, commissione per lo sviluppo del Delta del Niger, con il compito di sviluppare economicamente la regione e di rimediare ai gravi problemi ambientali causati dalle estrazioni di petrolio.
I conflitti nella regione non si sono però sanati e, con l’inizio del secondo millennio, per sedare le agitazioni della “Forza Volontaria Popolare del Delta del Niger” – un gruppo paramilitare nigeriano a favore dell’indipendenza dell’intera regione, in maggioranza di etnia Ijaw – fu approvata e lanciata dal governo una missione per la distruzione totale del gruppo che ha causato una guerra e una successiva crisi petrolifera nel 2004.
In questi anni è emerso un nuovo gruppo, il “Movimento per l’Emancipazione del Delta del Niger”, che ha come obiettivi il controllo del sottosuolo da parte delle popolazioni locali e l’estromissione delle multinazionali straniere e si batte per risolvere i danni ambientali creati da queste ultime. Questo gruppo, che si denota per attacchi sofisticati e l’utilizzo di vere e proprie tecniche di guerriglia, tra il 2005 ed il 2006 ha colpito diverse volte la Shell, attaccando le stazioni di estrazione, prendendo degli ostaggi e uccidendo alcuni militari nigeriani. Dopo anni di guerriglia, nel 2009, è stata condotta dal governo un’operazione militare contro il movimento che ha portato i combattenti ad arrendersi.
La Shell quindi si trova ancora oggi ad affrontare contese che vengono portate avanti ormai da molti anni. Nel 2015 la compagnia ha già accettato di pagare una somma equivalente a 70 milioni di euro per le fuoriuscite di petrolio nella regione del Bodo avvenute nel 2008: una parte spetta alle singole famiglie colpite dal disastro e un’altra sarà utilizzata per la costruzione di infrastrutture.
Ora sono due le comunità che hanno citato la Shell in giudizio: quella Ogale e quella Bille, composte principalmente da agricoltori e pescatori. Rifacendosi ad un rapporto di Amnesty International del 2015, le comunità infatti affermano come i siti che Shell aveva affermato di aver bonificato in realtà sono ancora contaminati per le fuoriuscite di petrolio degli scorsi anni e chiedono alla compagnia un risarcimento e la definitiva bonifica delle loro terre.
La BBC ha riferito che il tribunale britannico ha ritenuto ammissibile la causa ma bisognerà aspettare ancora del tempo per conoscere gli esiti del processo.
Per ora la compagnia petrolifera si difende affermando di non avere piena responsabilità per le fuoriuscite, dovute anche ai continui tentativi di rubare il petrolio da parte dei locali. Ciò è stato ripetutamente contestato dalle varie organizzazioni ambientaliste che sostengo che la Shell, se anche il problema fosse dovuto ai sabotaggi, debba comunque ripristinare la situazione anche dopo incidenti di tipo doloso.
Fonti:
BBC: http://www.bbc.com/news/business-35701607
TerraTerraOnline: http://www.terraterraonline.org/blog/inquinamento-nel-delta-del-niger-shell-tornera-in-tribunale/
Approfondimenti:
Amnesty International Report 2015 “Niger Delta:Shell’s manifestly false claims about oil pollution exposed, again“
Amnesty International 2015 “Clean It Up”: approfondimento scaricabile
United Nations Environment Programme:
-Report 2011 “Ogoniland Oil Assessment Reveals Extent of Environmental Contamination and Threats to Human Health“