Il prossimo 8 agosto, in Kenya, si terranno le elezioni, presidenziali, parlamentari e dei rappresentanti ma gli auspici non sono buoni: alla fine di aprile ci sono state le primarie dei maggiori partiti del paese e in molte delle contee sono state annullate subito dopo.
La comprensione del sistema politico keniota è possibile solo attraverso l’analisi della sua storia, del suo sistema istituzionale e della sua società. Di certo il periodo di dominazione inglese ha avuto peso nella costruzione del sistema politico keniota, così come lo hanno avuto la composizione etnica e gli eventi che hanno caratterizzato la storia dello stato dopo la sua indipendenza.
Storia, politica e società
L’interesse degli inglesi per i territori che formano oggi il Kenya, è stato scarso fino alla fine del XIX secolo, quando questi erano più interessati a costruire una ferrovia che permettesse loro il facile trasporto delle risorse dell’Uganda, la cosiddetta Uganda Railway. Qualche anno più tardi la Gran Bretagna decise di gestire la zona affidandola ad una compagnia commerciale, la British East Africa Company.
In quel periodo la Gran Bretagna era solita concedere la gestione di territori a compagnie commerciali, così da diminuire le responsabilità e i costi di amministrazione, ma nel 1895 la zona divenne parte del protettorato della British East Africa. Nel 1920, l’area prese il nome di Kenya e divenne colonia inglese.
Il gruppo etnico più numeroso è quello bantu, di cui è parte più del 20% della popolazione, e i kikuyu, i quali saranno protagonisti nella lotta per l’indipendenza de Kenya, sono un sottogruppo di questi. Essi risentivano più di ogni altro gruppo delle decisioni che venivano prese a Londra, a partire dall’espropriazione delle terre per concederle ai coloni inglesi, fino alle richieste di contribuzione per la ricostruzione della madrepatria dopo la seconda guerra mondiale e proprio per questo furono dei kikuyu a dare vita nel 1921, al primo movimento politico di protesta del continente africano, all’Associazione dei Giovani Kikuyu. Il governo britannico dichiarò subito il gruppo illegale, ma in risposta venne formata l’Associazione Centrale Kikuyu, capeggiata dal 1931 da Harry Thuku, il più celebre tra i fondatori dell’Associazione Giovani Kikuyu, arrestato nel 1922.
Il sue arresto è emblematico per la storia del Kenya in quanto spinse centinaia di persone, radunatesi davanti alla stazione di polizia, a protestare per l’accaduto. Le forze dell’ordine inglesi aprirono il fuoco, discordanti sono le cifre riguardanti le vittime.
Jomo Kenyatta, dopo essere stato presidente dell’ACK, nel 1947 divenne il leader della Kenya African Union, un partito formatosi l’anno precedente con il nome di Kenya African Study Union, poi modificato da Kenyatta stesso. Il KAU era un movimento nazionalista, più aggressivo dei precedenti, con al centro delle proprie lotte la questione delle terre.
Nel 1952 ci fu la prima significativa rivolta: i giovani Kikuyu la fecero partire, i Mau Mau si unirono a loro. Questi ultimi avevano un carattere più violento, che gli inglesi non tardarono a placare con altrettanta ferocia. Allo stesso tempo, giocando sulle spaccature etniche del paese e fomentando l’odio reciproco, gli inglesi erano stati in grado di rinsaldare anche la loro stabilità politica. Tra gli altri, anche Jomo Kenyatta venne arrestato, pur avendo dichiarato di non essere la testa del movimento Mau Mau.
Venne dichiarato fin da subito lo stato di emergenza, che fu mantenuto fino al 1957, mentre Kenyatta fu rilasciato nel 1961, quando era già chiaro che il giorno dell’indipendenza si stava avvicinando.
Dopo l’indipendenza
Il 12 dicembre del 1963, finalmente, il Kenya ottenne l’indipendenza. A capo del paese vi era un governo formato dai due più grandi partiti, KANU, Kenya African National Union e KADU, Kenya African Democratic Union, che verrà presto sostituito da un nuovo governo in seguito alle elezioni del 1963, nelle quali KANU ottenne la maggioranza in entrambe le camere del parlamento e vide Jomo Kenyatta, suo leader, alla presidenza del paese.
Kenyatta lascerà presto da parte il suo iniziale sfrenato nazionalismo per accostarsi ad una politica di stampo conservativo e ‘borghese’ concedendo proprietà e favori soprattutto ai kikuyu. Oginga Odinga, vice-presidente di Kenyatta, poi fondatore nel 1966 di un nuovo partito, il Kenya People’s Union, divenne presto un temibile avversario, con ideali socialisti e rivolto verso l’Unione Sovietica. Odinga era dell’etnia luo, una delle più numerose del paese, ma fortemente emarginata. Allo scontro etnico si unì quello politico, Kenyatta era l’uomo col potere in mano e in poco tempo il Kenya divenne uno stato a partito unico, prima de facto, poi de iure, con la modifica della costituzione, operata dal suo successore nel 1982.
Daniel Moi prese il posto di Kenyatta come presidente subito dopo la sua morte, avvenuta il 22 agosto del 1978. Egli proveniva da un’etnia diversa dal suo predecessore, era un kalejin, altro gruppo ampiamente presente in Kenya. Il suo governo fu dichiarato corrotto ed autoritario; anch’egli aiutò la popolazione kalejin ad acquisire potere e si adoperò per eliminare tutti i suoi contestatori. A causa delle forti spinte, provenienti dall’opinione pubblica internazionale, e dai pasi creditori, che minacciavano di cessare i programmi di aiuti, nel 1991 Moi fece modificare la costituzione e si tornò ad uno stato multipartitico.
Il sistema multipartitico
Le prime elezioni col nuovo sistema si tennero l’anno successivo, a dicembre. Lo scontro era tra il KANU del presidente Moi e il Forum Per la Restaurazione della Democrazia, di Odinga e Kenneth Matiba, un kikuyu. Moi vinse, e vinse di nuovo nel 1997, ma questa volta con un margine molto basso.
Nel 2002 ci si aspettava la svolta: il candidato proposto da Moi era Uhuru Kenyatta, figlio del vecchio presidente, che si dovette scontrare con Mway Kibaki, a capo della National Rainbow Coalition, una grande coalizione progettata ad arte per sconfiggere Moi e i suoi discepoli. Kibaki divenne presidente, KANU perse le redini dello stato per la prima volta dall’indipendenza della paese. Niente fu come sperato: Kibaki si rivelò avere uno stile politico molto simile a quello di Moi, la coalizione che lo spalleggiava si ruppe e dalla spaccatura nacque il Movimento Democratico Arancione, di Raila Odinga, figlio di Oginga.
Lo scontro nel 2007 fu tra Kibaki e Odinga, e se il primo è esponente di un sistema di governo forte e centralizzato, il secondo è promotore del regionalismo. Kibaki riuscì a riconfermarsi alla presidenza.
In tutta la storia del Kenya i governanti hanno saputo scatenare e sfruttare fenomeni di odio etnico, caratteristica che non è mancata a Kibaki. Nel 2007, subito dopo le elezioni, l’odio si trasformò in violenza e ci furono numerosi scontri soprattutto tra i kikuyu e i kalejin.
Le due coalizioni che si contendevano il potere nelle elezioni del 2007, avevo una connotazione etnica oltreché politica e quando si venne a sapere che, nonostante le previsioni vedessero Odinga vincitore, Kibaki lo sconfisse, gli scontri si scatenarono immediatamente. Odinga rigettò il risultato e le organizzazioni sul luogo per monitorare le elezioni, in particolare l’Unione Europea, confermarono che c’erano stati brogli.
Kibaki però non aveva ottenuto la maggioranza in parlamento e con la mediazione di Ban Ki-moon accordò alla formazione di un governo di colazione con Odinga primo ministro. Le vicende del 2007- 2008 spinsero il paese a tentare di cambiare rotta e venne redatta una nuova costituzione nel 2010.
Fonti e Approfondimenti
http://www.treccani.it/enciclopedia/kenya/
https://www.foreignaffairs.com/articles/kenya/2014-07-09/kenya-divided
http://www.bbc.com/news/world-africa-13682176