Il Tribunale speciale della Cambogia: un decennio di critiche ed insuccessi

Tribunale Cambogia
Henning Blatt - wikimedia commons - CC BY-SA 3.0

Con una spesa stimata di oltre 300 milioni di dollari, più di un decennio di attività e solamente tre condanne pronunciate, il Tribunale speciale per la Cambogia rischia di essere uno dei più grandi fallimenti della storia della giustizia internazionale. Formalmente noto come Extraordinary Chambers in the Courts of Cambodia ed entrato in attività solo nel 2005, la Corte supportata dall’ONU ha il compito di valutare i crimini contro l’umanità perpetrati dal 1975 al 1979 in Cambogia, sotto il regime dei Khmer Rouge.

Secondo i dati non ufficiali, nell’arco di meno di quattro anni, quasi due milioni di persone sono morte per mancanza di cibo ed acqua, esecuzioni sommarie, per le torture e le fatiche del lavoro forzato. Fu solo nel 1997, al termine della lunga guerra civile, che il governo richiese formalmente l’intervento delle Nazioni Unite per istituire un tribunale, il cui compito fosse di processare i leader ancora vivi, responsabili del massacro in Cambogia. Il parlamento nazionale, tuttavia, volle mantenere un certo livello di autonomia, in relazione allo staff, ai giudici e alla direzione delle operazioni giudiziarie, aprendo ad una partecipazione internazionale solo per far fronte alle carenze del debole sistema giudiziario cambogiano ed in considerazione della portata dei crimini. Ad ogni modo, le modalità di intervento della comunità internazionale sono state definite solo nel 2003 e il Tribunale ha assunto pieni poteri nel 2006.

Oltre a statuire l’organizzazione del tribunale, è stata anche chiaramente delineato il suo campo d’azione, limitandolo al giudizio degli principali leader del Partito comunista cambogiano e coloro che siano ritenuti responsabili di gravi violazioni delle leggi nazionali ed internazionali.

Ad oggi, solo quattro sono i casi analizzati dalla corte ed in due circostanze gli imputati sono deceduti, complici le lungaggini burocratiche del Tribunale internazionale. Lo scorso mese, tuttavia, le audizioni di due importanti figure dell’epoca del regime si sono concluse: trattasi di Nuon Chea, ormai novantenne e sponda ideologica di Pol Pot e Khieu Samphan, ottantacinquenne, formalmente Capo di Stato ai tempi della dittatura. Il verdetto finale, tuttavia, non verrà raggiunto prima di alcuni mesi e, considerata l’avanzata età degli ex leader, vi sono molti dubbi circa la pena da infliggere. I capi d’accusa sarebbero quello di genocidio ai danni di diversi gruppi etnici, ma anche abusi sessuali e matrimoni forzati.

Un ruolo fondamentale nella pronuncia delle sentenze è riservato alle vittime del regime. Esse sono definite, secondo statuto, come coloro che abbiano subito una forma di sofferenza fisica o psicologica come conseguenza delle azioni criminali intraprese dalla dittatura nel periodo tra il 17 Aprile 1975 e 6 Gennaio 1979. La Corte, in particolare, supporta la deposizione delle vittime, non solo nell’intento di fornire prove necessarie alla condanna, ma per consentire alla Cambogia tutta di fare i conti, per l’ultima volta, con una pagina dolorosa della sua storia recente.

Alcuni verdetti sono invece già stati pronunciati ai danni di Kang Kek Iew e Ieng Sary. Il primo è stato ascoltato dalla Corte nel settembre del 2009 e sette sono state le accuse mosse ai suoi danni. Fondamentale per il riconoscimento della sua colpevolezza fu il suo sottoposto Mam Nay, il quale, pur avendo partecipato alle torture e alle esecuzioni sommarie, non è stato riconosciuto colpevole dal Tribunale. La condanna stabilita per Kek Iew è stata di 35 anni, poi ridotti per la detenzione presso la Corte militare cambogiana dal 1999 al 2007. Quanto a Ieng Sary, nonostante il suo tentativo di fuga in Tailandia, è stato arrestato nel 2007 per aver pianificato, istigato, aiutato, vigilato sull’uccisione di molte persone a partire dal 1975. Già malato, tuttavia, egli è morto nel 2013.

Infine, la cognata di Pol Pot e moglie di Ieng Sary,  Ieng Thirith, è stata dichiarata mentalmente inadatta ad essere processata perché malata di Alzheimer.

La Corte speciale ha sistematicamente respinto le accuse di inefficienza provenienti da più parti, sulla base di evidenze storiche. In particolare, il riarmo del regime con il supporto dell’Occidente, nonché l’autorizzazione a che una coalizione controllata dai Khmer Rouge continuasse a sedere tra i banchi dell’Assemblea Generale dell’ONU fino al 1990, sono solo alcune delle motivazioni addotte per un ritardo più che trentennale nell’istituzione del Tribunale.

La ristrettezza del mandato e le forti pressioni sia nazionali che internazionali sono poi responsabili della spesso inefficace valutazione dei soggetti sottoposti a giudizio. Ad esempio, lo scorso febbraio, Im Chaem, appartenente alla gerarchia del partito, non è stata processata perché ritenuta non inseribile nella categoria di coloro che sono “particolarmente responsabili” di crimini internazionali.

Dall’altro canto, dalle memorie dei giudici che hanno deciso di abbandonare i lavori del Tribunale, si evince chiaramente una continua interferenza del governo, responsabile di un diffuso cinismo e mancanza di fiducia nei confronti della Corte.

Bisogna, tuttavia, sottolineare come la presenza e l’operato del Tribunale sia fondamentale per la nascita e lo sviluppo di un dibattito politico e storico sul passato di una società ancora profondamente divisa. Questo, almeno, è quanto sostenuto dal direttore del centro di documentazione cambogiano, che detiene la maggior parte delle informazioni storico-politiche degli anni del regime.

In altre parole, piuttosto che valutare l’operato della Corte dal numero di sentenze pronunciate, sarebbe bene riflettere sul senso di mancanza di impunità, coscienza civile e giustizia, tutti valori sui cui non solo la Cambogia, ma l’intera comunità internazionale deve fondarsi per scongiurare dolorosi ricorsi storici.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://thediplomat.com/2017/07/cambodias-khmer-rouge-tribunal-mission-accomplished/

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