Nazioni Unite: condivisione di responsabilità nell’ambito dei rifugiati

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Negli ultimi anni la situazione che ci circonda ha portato ad un intensificarsi dell’interesse per la questione della condivisione di responsabilità (responsibility-sharing) come uno degli strumenti migliori per la realizzazione di soluzioni durevoli nel caso di un flusso migratorio di massa.
È interessante soffermarsi su cosa sia questo meccanismo, quali siano le sue basi giuridiche che, in quanto vincolanti, possano renderlo realizzabile e, allo stesso tempo, quali siano i grandi limiti che, invece, lo rendono, come noi stessi possiamo vedere, poco concreto.

Il Principio di Condivisione di Responsabilità

Secondo la Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati e il suo Protocollo del 1967:

nessuno stato contraente espellerà o respingerà (“refouler”), in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Si tratta, dunque, del cosiddetto “non-refoulement principle” secondo il quale quando un rifugiato, fuggito dal suo paese di nazionalità, arriva in un paese straniero, ha il diritto di rimanerci e qualora lo stato desideri espellerlo, lo stesso è ritenuto responsabile sotto il diritto internazionale. Dal momento che i grandi flussi di rifugiati provocano sempre disagi sia per il paese ospitante che per i rifugiati stessi, i quali non godono delle risorse o non realizzano pienamente i loro diritti, sorge di conseguenza spontanea la domanda di quale sia il paese responsabile al sostentamento e alla protezione di queste persone, quando lasciano il loro paese di nazionalità.
È a questo punto necessario introdurre il concetto di “condivisione di responsabilità” (responsibility-sharing) secondo il quale la responsabilità di provvedere e proteggere i rifugiati deve essere risolta attraverso la cooperazione tra gli stati piuttosto che lasciare che questo sia un problema solo di pochi. Riguardo a questo tema si possono fare delle considerazioni.
Innanzitutto è interessante fare un accenno alla duplice espressione utilizzata per riferirsi ad esso: da una parte responsibility-sharing, dall’altra burden sharing (letteralmente condivisione degli oneri) secondo la quale il rifugiato sembra essere un ingombro.

In secondo luogo bisogna sottolineare che la responsibility-sharing dovrebbe rappresentare più di un’assistenza tecnica e finanziaria da parte di quegli stati che non sono direttamente colpiti dai flussi migratori; anzi essa dovrebbe riguardare una fase successiva, e più complessa, vale a dire la riorganizzazione duratura e a lungo termine di tutte quelle persone che devono vedere realizzati i loro diritti.
A riguardo possono essere considerate tre possibilità: rimpatrio volontario, insediamento nel luogo di arrivo e reinsediamento in uno stato terzo.
Il rimpatrio volontario è, ovviamente, l’opzione più complicata. L’insediamento locale e l’integrazione nel paese di arrivo può essere considerata la soluzione migliore, ma può essere complicata e può dipendere dalle circostanze del paese in questione e, ovviamente, la situazione si aggrava se si tratta di un afflusso di massa di rifugiati. Nel caso di difficoltà per il paese di primo soccorso l’unica soluzione da considerare è la redistribuzione in un paese terzo; è qui che, dunque, la reponsibility-sharing gioca un ruolo fondamentale

Panorama giuridico

A questo punto è interessante soffermarsi su un panorama più giuridico della questione, in modo tale da poterla considerare o meno realizzabile, poichè vincolante. Generalmente nel diritto internazionale il tema della responsibility-sharing può riferirsi a diversi ambiti : da problematiche ambientali a operazioni di peacekeeping e sempre più frequentemente, come già emerso, alla crisi migratoria.

Emerge subito un primo problema: le norme giuridiche di diritto internazionale, seppure stabiliscano un principio generale di responsibility-sharing, non si soffermano su questioni specifiche lasciando così agli Stati la gestione dei meccanismi di funzionamento di questo strumento.

Si può citare l’articolo 56 della Carta delle Nazioni Unite nel quale si menziona l’impegno degli Stati Membri ad agire, collettivamente o singolarmente, in cooperazione con l’Organizzazione per raggiungere i fini indicati nell’articolo 55, quali, un più alto tenore di vita, pieno impiego e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale. Questo articolo promuove, anche se non in maniera molto chiara, l’interesse condiviso di tutti gli stati a cooperare, non solo con l’Organizzazione ma anche l’uno l’altro.

Questi principi sono ulteriormente riaffermati in diverse dichiarazioni come la Dichiarazione relativa ai Principi di Diritto Internazionale concernenti le Relazioni Amichevoli e la Cooperazione tra gli Stati (1970) e la Dichiarazione sull’Asilo Territoriale (1967), che mirano a prendere in considerazione, in chiave di solidarietà internazionale, appropriate misure di alleggerimento degli oneri e delle difficoltà che un singolo stato trova nel garantire o continuare a garantire l’asilo.

Accanto ad esse esistono anche risoluzioni più recenti dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nelle quali gli stati vengono richiamati ad assicurare un’efficace protezione dei rifugiati, rispettando, tra gli altri, il principio di non-refoulement e nelle quali viene enfatizzata la responsabilità di tutti gli stati e delle Organizzazioni internazionali nel cooperare con quei paesi, specialmente quelli in via di sviluppo, che sono colpiti da esodi di massa di rifugiati e sfollati. Le citate dichiarazioni e risoluzioni lasciano però emergere la difficoltà nella realizzazione di una compiuta responsibility-sharing per la mancanza di un vincolo giuridico.

A favore di una possibile applicazione di questo meccanismo vanno però rammentate alcune Convenzioni, aventi dunque carattere vincolante, nelle quali si fa riferimento al principio di cooperazione tra gli Stati, nel quale può anche essere ricondotta la responsibility-sharing, anche se risulta in ogni caso difficile creare un’esplicita base legale per essa.
È inevitabile menzionare la Convenzione relativa allo Status dei Rifugiati, nel cui Preambolo si riconosce che la concessione del diritto di asilo può rappresentare un onere gravoso per determinati paesi e che la soluzione più soddisfacente dei problemi non potrebbe essere raggiunta se non attraverso una cooperazione internazionale.

Per la realizzazione concreta di questo meccanismo un ruolo centrale è stato giocato dall’Alto Commissariato per i Rifugiati (UNHCR), organo sussidiario istituito dall’Assemblea Generale, che ha un compito importante nel sistema delle Nazioni Unite e, nello specifico, nell’assistenza dei rifugiati con soluzioni a lungo termine. Proprio per questo, nel corso degli anni, UNHCR ha cercato in diversi modi di realizzare il meccanismo di responsibility-sharing, trovando molta difficoltà, dovuta proprio alla mancanza di basi giuridiche. A partire dall’ottobre 2002 fino al novembre 2005 ci sono stati tentativi  di implemento del meccanismo, per mezzo di una iniziativa conosciuta come “Convention Plus”, che mirava alla stipulazione di un trattato tra gli Stati in grado di implementare e identificare giuridicamente soluzioni durature. Purtroppo, come immaginabile, questa iniziativa era destinata a fallire a causa di una mancanza di interesse degli stati di essere vincolati ad esso.

Con un rapporto del 9 maggio 2016 l’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, riconosceva una serie di comportamenti e tentativi non adeguati per il miglioramento della situazione. Veniva, in esso, proposto un impegno globale in caso di crisi migratorie, primo passo o punto di partenza per un implemento della responsibility sharing. Il rapporto serviva come documento preparatorio per il Summit convocato dall’Assemblea Generale, svoltosi il 19 settembre 2016 che ha visto riuniti i capi di Stato degli Stati Membri delle Nazioni Unite per discutere sul movimento di rifugiati e migranti e per firmare una documento, chiamato Dichiarazione di New York, che prevede una pianificazione per i flussi migratori di larga scala. La Dichiarazione di New York sottolinea la volontà politica dei leader mondiali di condividere la responsabilità e aiutare quei paesi che ospitano un ingente numero di rifugiati e migranti. Ancora una volta ci si trova, però, davanti ad una dichiarazione, che per sua natura non ha vincoli giuridici; le critiche quindi possono essere svariate, ma nel documento vi sono piani concreti che saranno realizzati negli anni a venire, in primis nel 2018.
Bisognerà, quindi, aspettare per vedere gli sviluppi.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

Convention relating to the Status of Refugees ( 28 July 1951)

Tally Kritzman-Amir, “Not in My Backyard: On the Morality of Responsibility Sharing in Refugee Law”, in Brooklyn Journal of International Law Vol.34, 2009

Fonteyne J.-P-L., “ Burden-sharing: an Analysis of the Nature and Function of International Solidarity in cases of Mass Influx of Refugees” in Australian Year Book of International Law

Charter of the United Nations ( San Francisco, 26 June 1945)

UNGA Res. 2625(XXV), 24 October 1970

UNGA Res. 2312(XXII), 14 December 1967

Declaration on Territorial Asylum (14 December 1967)

Lewis C., UNHCR and International Refugee Law, 2004

UN Secretart-General’s report, In Safety and Dignity: Addressing Large Movements of Refugees and Migrants (9 May 2016)

Summit for Refugees and Migrants, 19 September 2016

New York Declaration (19 September 2016)

 

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