Il progetto delle cosiddette “Nuove vie della seta” è al centro del dibattito politico ed economico in Asia. In Pakistan, uno dei primi paesi coinvolti da Pechino, la costruzione delle nuove infrastrutture OBOR si sta legando fortemente al tema della sicurezza, in quanto rischia di aggravare le aspre tensioni interne vissute dal paese.
Data l’importanza della sua posizione geografica, il Pakistan gioca un ruolo molto rilevante nel titanico progetto cinese, offrendo uno snodo logistico estremamente attraente con il porto di Gwadar (vicino al confine con l’Iran).
Cina e Pakistan confinano infatti lungo l’aspra regione montuosa dello Xinjiang, al momento attraversata dalla Karakoram Highway, importante arteria del commercio su strada tra i due paesi che arriva fino a Islamabad. Creare un corridoio funzionale tra Gwadar, l’autostrada e lo Xinjiang permetterebbe a Pechino di collegare più efficacemente il suo entroterra remoto alle rotte del commercio marittimo.
Così facendo le ambizioni di sviluppo della Cina per le sue aree economicamente arretrate otterrebbero nuovo slancio, dato che il nuovo percorso semplificherebbe enormemente i commerci e il trasporto di gas e petrolio, “avvicinando” di molto la Cina interna al Golfo Persico e all’Africa.
Il ramo del progetto OBOR in questione è il China-Pakistan Economic Corridor (CPEC), che tra investimenti e prestiti destinerà almeno 60 miliardi di dollari in infrastrutture di trasporto e progetti nelle telecomunicazioni nell’energia.
Il CPEC non è infatti composto solo di strade e ferrovie, ma comprende oleodotti, gasdotti e nuove aree industriali,
Per questo il progetto è stato fortemente voluto dalla leadership pakistana, in primis dall’ormai ex presidente Newaz Sharif, promotore dei colloqui con Pechino e sicuro che il progetto riporterà la crescita economica nel suo paese.
Le autorità del paese presentano il CPEC come una soluzione in grado di alleviare alcune croniche problematiche che affliggono il Pakistan, come il basso standard di vita di molti abitanti o la cronica insufficienza di energia elettrica. Sebbene siano innegabili benefici economici di lungo periodo per il paese, è ovvio che queste affermazioni siano quantomeno avventate, soprattutto date le premesse del progetto.
All’entusiasmo della classe politica si oppongono infatti diversi ordini di problemi, relativi ai mali cronici del paese e che rischiano di minare in parte il progetto dal lato pakistano.
Disuguaglianza delle opportunità
Come in molti rami dell’OBOR, i progetti saranno costruiti su pianificazione cinese, con manodopera cinese che alloggerà temporaneamente in Pakistan. Questo è dovuto in parte anche alla bassa specializzazione dei lavoratori del paese, problema che da anni il governo e la cooperazione stanno cercando di alleviare. I lavori sono già iniziati nel porto di Gwadar e i primi camion sono in arrivo: tra non molto circa 15.000 lavoratori cinesi si troveranno nei cantieri del CPEC.
La manodopera locale otterrà quindi solo lavori temporanei e di basso livello, che arricchiranno chi li otterrà in maniera infinitamente minore di chi invece affitterà le terre o fornirà servizi agli implementatori del progetto. Questo dato, unito agli altissimi livelli di corruzione, diseguaglianza e carenza istituzionale non fa presagire nulla di buono dal punto di vista sociale.
I vantaggi economici saranno assorbiti dalle classi economiche dominanti, è vero, ma un buon sistema di tassazione e di programmi di spesa pubblica riuscirebbe a redistribuirli in parte. Questa prospettiva, riferita al Pakistan odierno, è più che altro una speranza.
Il progetto potrebbe quindi diventare il simbolo della frattura tra le classi economiche del paese, infiammando i rancori e le sensazioni di privazione relativa delle fasce di popolazione che saranno di fatto escluse dai benefici che questo porterà a breve e medio termine.
Disuguagianza tra etnie
Il Pakistan è un paese etnicamente molto eterogeneo, con 4 comunità principali e molti gruppi minoritari (ostili alle autorità) che abitano lungo il confine con l’Afghanistan, situazione istituzionalizzata dalla creazione delle due regioni autonome settentrionali.
A differenza dell’India e di altri paesi multiculturali che sono riusciti a integrare e pacificare le loro comunità, in Pakistan la situazione è spesso conflittuale. La tensione nasce dagli enormi squilibri di potere e di ricchezza tra i gruppi, ed è degenerata molte volte nella storia del paese.
Il Baluchistan, regione dove si trova il porto di Gawdar, è emblematico di questa situazione: è molto ricco di risorse naturali ma i profitti che ne derivano vengono intercettati dai gruppi al potere, non dalla popolazione locale. Il risultato è che i Beluci (3% della popolazione) sono tra i gruppi più poveri del paese, mentre Punjabi (42% della popolazione) e Pashtun (17% della popolazione) sono mediamente molto più ricchi ed esprimono quasi la totalità delle classi politiche, militari e imprenditoriali.
Esistono da tempo piccoli gruppi di separatisti Baluchi, il cui nazionalismo è stato inevitabilmente surriscaldato dalle percepite iniquità che circondano il CPEC. Il gruppo più organizzato è la Baluch Liberation Army (BLA), che ha già compiuto diversi attentati contro le strutture in costruzione e i relativi lavoratori.
Sono moltissimi comunque i pakistani convinti che il CPEC avvantaggerà davvero esclusivamente la maggioranza Punjabi della popolazione, e questo dato è il vero segnale di allarme riguardo il progetto. Come sappiamo la diversità etnica non rappresenta di per sè un problema di sicurezza, a patto che tra gruppi non ci sia una dinamica escludente e marginalizzante, a quel punto l’identità si lega al malcontento e la frattura tra i gruppi si apre, con tutti i rischi che seguono.
L’aver trascurato volontariamente questo problema ha reso spesso il Pakistan instabile (a differenza della vicina India che ha politiche mirate alla coesione), e in caso di cattiva gestione del CPEC si può prevedere un nuovo aggravarsi della situazione.
Opposizione Islamista
Il Pakistan è un paese fortemente islamico, in cui la religione ha un grande ruolo sociale, culturale e politico. Nonostante l’islam politico sia quindi parte delle istituzioni democratiche, la stessa insoddisfazione verso lo stato delle fasce escluse della popolazione si è compattata intorno alla religione, portando all’emergere negli ultimi 20 anni di una forte militanza Jihadista.
Le sigle sono molte ma le più forti sono tree: Tehreek-e Taliban, vicina ad Al-Qaida e ai Taliban, Lashkar-e Toiba, salafita e diffusa in Asia Meridionale, e Lashkar-e Jhangvi, violentemente anti-sciita. Tutte sono radicate soprattutto nel nord montuoso vicino al confine con l’Afghanistan, dove lo stato è debole e le identità locali fortissime. I radicali hanno prosperato nella percepita emarginazione da parte dello stato che si respira in queste zone, canalizzando il sentimento anti-governativo nel jihadismo.
Questi gruppi potrebbero rappresentare una minaccia per il progetto, inficiandone la sicurezza. A spingere i militanti contro l’OBOR sono due motivazioni principali: mantenere intatto il loro controllo dei territori e un marcato odio anti-cinese.
L’instaurazione della legge islamica in Pakistan è solo uno degli obiettivi dei gruppi terroristi, i cui leader hanno un’agenda politica ben più ampia. Nella debolezza dello stato questi gruppi si sono nei fatti sostituiti alle istituzioni, governando informalmente le aree in cui agiscono; controllando quei territori e i traffici illeciti di armi e droghe che li attraversano, arricchendosi immensamente nel processo.
Risulta automatico quindi che i jihadisti si oppongano a qualsiasi programma di sviluppo e integrazione regionale del Pakistan remoto: avendo prosperato nell’isolamento e nella povertà della popolazione è nei loro interessi sabotare il CPEC.
L’odio verso Pechino dei militanti deriva invece in buona parte dalle violenze subite dagli Huiguri nello Xinjang, dinamica che per proiezione ha portato questi gruppi a designare la Cina come “nemica dell’Islam”. Anche l’espansione culturale ed economica cinese in Asia è malvista dai jihadisti, e l’aumento degli scambi dovuto al CPEC non farebbe che aumentarla, motivo per cui il progetto riceve tanta opposizione.
Questi fattori combinati hanno fatto sì che i gruppi abbiano già minacciato e perpetrato attacchi contro i cantieri, obbligando ad alzare molto la sicurezza delle infrastrutture e dei lavoratori. Per questo motivo una parte consistente del CPEC è il progetto “Safe Cities”, che comprende la modernizzazione di alcune grandi città pakistane dal punto di vista dell’urbanistica e dell’ordine pubblico, oltre alla costruzione di nuovi quartieri estremamente sicuri al loro interno.
Fonti e Approfondimenti:
Ahmad, R and Mi, (2017), China-Pakistan Economic Corridor and Its Social Implication on Pakistan: How Will CPEC Boost Pakistan’s Infrastructures and Overcome the Challenges?, Arts and Social Science Journal, 8(2), pp. 1-8.
http://www.worldatlas.com/articles/ethnic-groups-in-pakistan.html
https://www.foreignaffairs.com/articles/china/2017-10-24/chinas-62-billion-bet-pakistan
https://www.cfr.org/expert-brief/behind-chinas-gambit-pakistan