Chi comanda sulla Luna?

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Di Alessandra Matteis

Nel giugno 2017 si è tenuta la celebrazione del 50° anniversario del Trattato sullo Spazio Esterno (1967); i rappresentanti dei Paesi parti hanno discusso dello stato attuale del diritto spaziale e delle possibili future evoluzioni. Ma cos’è il diritto dello spazio e perché i suoi sviluppi sembrano interessare sempre più attori?

La possibilità di volare nello spazio ed esplorarne i meandri più reconditi, è presente nelle fantasie dell’uomo fin dai tempi più antichi. Quello che sembrava solo un irrealizzabile sogno, si è tramutato in realtà nella seconda metà del XXI secolo, quando vennero effettuati i primi lanci satellitari.

Di fronte alle sfide poste dallo sviluppo tecnologico dell’ultimo cinquantennio, si è rapidamente sviluppata una nuova ed inesplorata branca del diritto internazionale: il diritto dello spazio. Esso istituisce un regime giuridico vigente al di fuori dello spazio atmosferico e si fonda quasi interamente sugli strumenti promossi dalle Nazioni Unite. Le origini del diritto spaziale risalgono al periodo della Guerra Fredda, quando le due superpotenze avevano individuato nello spazio un nuovo terreno di scontro e un nuovo contesto in cui mostrare la propria supremazia.

Gli Stati Uniti hanno detenuto un’assoluta primazia nel settore, fino al 4 ottobre 1957, quando l’Unione Sovietica lanciò in orbita il suo primo satellite artificiale, lo Sputnik 1. Di fronte al rischio di una corsa alle armi nello spazio, le due superpotenze si impegnarono a sottoscrivere, sotto l’egida delle Nazioni Unite, strumenti giuridicamente vincolanti che regolassero le attività di esplorazione e uso dello spazio. Il posizionamento in orbita dei primi satelliti in grado di osservare una porzione del globo era infatti palesemente in contraddizione con il tradizionale concetto della sovranità territoriale come concepita dal diritto internazionale generale. Iniziò dunque ad aumentare l’interesse della comunità internazionale nei confronti delle nuove prospettive giuridiche poste dall’evoluzione tecnologica nel campo.

La prima risoluzione pertinente, fu adottata dall’Assemblea subito dopo il lancio dello Sputnik 1 (A/RES/1148 del 14 novembre 1957), in cui venne affermato per la prima volta il principio dell’utilizzo dello spazio a fini pacifici (“peaceful purposes”). Parallelamente l’Assemblea Generale creava come proprio organo sussidiario il Comitato per gli usi pacifici dello spazio extra-atmosferico (United Nations Committee for Peaceful Uses of Outer Space UNCOPUOS). Negli anni immediatamente successivi, il diritto spaziale cominciava a delinearsi a partire dalle numerose Dichiarazioni di principi dell’Assemblea Generale.

La Dichiarazione dei principi giuridici applicabili alle attività degli Stati nell’esplorazione e nell’uso dello spazio esterno (A/RES/1962 del 13 dicembre 1963), enumerava 9 principi ai quali gli Stati si sarebbero dovuti conformare nello svolgimento delle proprie attività spaziali; tali principi confluirono poi nel primo dei 5 Trattati delle Nazioni Unite sullo spazio, il Trattato sullo spazio esterno (Outer Space Treaty, OST, 1967). La Dichiarazione consacra come primo e fondamentale principio che l’utilizzo e l’esplorazione dello spazio debbano compiersi a beneficio dell’umanità (“for the benefit and in the interests of all mankind”). Tanto il lessico quanto il contenuto della prima clausola operativa della risoluzione 1963, saranno ripresi in tutti i trattati successivi, contribuendo a configurare lo spazio esterno, fin dal primo tentativo di disciplina, come una res communis omnium. Questo approccio è stato recepito dall’articolo 1 dell’OST, che afferma che l’esplorazione e l’uso dello spazio debbano essere considerati come una “provincia dell’umanità”.

L’espressione “province of the humankind” identifica un regime giuridico del tutto differente da quello coperto dalla nozione di “patrimonio dell’umanità”: a differenza dei sottosuoli oceanici in acque internazionali, lo spazio è aperto e libero all’esplorazione e allo sfruttamento di tutti gli Stati; ogni Stato può porre in essere attività nello spazio poiché tali attività si presumono essere condotte “a beneficio e nell’interesse dell’umanità”.

Il principio di apertura dello spazio però trova alcuni limiti: lo spazio condivide con la nozione di patrimonio dell’umanità il regime di non appropriazione, che impedisce agli Stati di rivendicare titoli di sovranità sullo spazio o sui corpi celesti. Alla luce di ciò, tutte le iniziative di fantomatiche acquisizioni di corpi celesti di recente pubblicizzate, o l’invio di un satellite, Asgardia, di cui si possa acquisire la cittadinanza, risultano incompatibili con il diritto spaziale. Inoltre le attività spaziali, seppur possano essere liberamente condotte, sono sottoposte alle regole del diritto internazionale generale, ai sensi dell’art 3 dell’OST

Ma cosa accade se, nell’esercizio del suo diritto di libero accesso allo spazio, uno Stato provoca un danno ad un altro Stato? La responsabilità dello Stato nell’esercizio delle attività spaziali, per la prima volta presentata nel principio n° 5 della Risoluzione 1962, è disciplinata dagli articoli 6 e 7 dell’OST. I due articoli disciplinano due differenti regimi: l’art 6 ha per oggetto la responsabilità internazionale dello Stato, l’art 7 stabilisce invece un regime di liability. In lingua italiana, responsibility e liability vengono indifferentemente tradotti con il termine “responsabilità”, ma configurano due situazioni giuridiche differenti.

La responsibility è la responsabilità dello Stato per il fatto illecito, ma nell’art 6 l’intenzione dei drafters era di enunciare un principio più ampio di quello della tradizionale responsabilità per il fatto illecito: lo Stato è responsabile per qualsiasi conseguenza giuridica delle attività ad esso attribuibili nello spazio. La liability invece, è l’aspetto patrimoniale della responsibility e consiste nell’obbligo per lo Stato di procedere al risarcimento del danno anche senza che esso sia stato provocato da un atto illecito.

Ai sensi del Trattato sullo Spazio Esterno, lo Stato è responsabile per le attività nazionali condotte nello spazio tanto da enti governativi quanto da soggetti privati. Ciò è connesso con l’obbligo per lo Stato di provvedere all’autorizzazione e alla supervisione delle attività condotte dai soggetti privati. In questa ottica, una questione di importanza fondamentale è l’individuazione dello Stato responsabile, ossia dello Stato a cui è imputabile l’attività condotta nello spazio.

Il Trattato individua come Stato responsabile quello che ha effettuato o procurato il lancio, ossia lo Stato di nazionalità dei soggetti che hanno materialmente condotto le operazioni, oppure lo Stato dal cui territorio o dalla cui infrastruttura sia effettivamente partito il lancio. Un’interessante questione, irrisolta e oggi oggetto di analisi degli esperti giuridici del diritto spaziale, è l’eventuale trasferimento di proprietà di un oggetto spaziale mentre esso si trova già in orbita; l’individuazione dello Stato responsabile, in questo caso, diverrebbe infatti più complessa.

Tra tutti i principi enunciati dalla Dichiarazione del 1963, e ripresi dal successivo Trattato, il più interessante è senza dubbio il suo utilizzo per scopi pacifici. La dottrina ha lungamente dibattuto sul significato dell’espressione “peaceful purposes”; mentre è indubbio che tale espressione indichi una denuclearizzazione completa dello spazio, sulla scorta di quanto previsto dal Trattato sulla messa al bando degli esperimenti nucleari nell’atmosfera, nello spazio esterno e nei sottosuoli marittimi e come disciplinato dall’art 4 dell’OST, risulta più complesso affermare con certezza che la terminologia usata dai drafters indichi una completa smilitarizzazione dello spazio.

L’interpretazione più diffusa afferma che con la locuzione “scopi pacifici” si intenda la proibizione di utilizzare lo spazio per intenti di aggressione, in questo, dunque, il diritto spaziale riprenderebbe il diritto internazionale generale che condanna gli atti di aggressione. Tuttavia, risulta difficile distinguere quando un’azione nello spazio è condotta con scopi effettivamente aggressivi, per la natura intrinsecamente dual use di alcuni oggetti spaziali, basti infatti pensare che per il lancio di un oggetto nello spazio esterno è necessario ricorrere alla tecnologia dei missili balistici.

Mentre si moltiplicano le attività spaziali dei più importanti attori geopolitici internazionali, quando vengono annunciate nuove e avvincenti scoperte scientifiche, tra cui la scoperta di Ross 128, un pianeta così simile alla Terra da poter potenzialmente ospitare la vita, e di fronte alla crescente partecipazione di attori privati, il diritto spaziale appare come un settore che sta acquisendo sempre maggiore importanza. Ma molte sono ancora le lacune degli strumenti giuridici finora elaborati e l’adozione a breve termine di nuovi atti vincolanti appare un’ipotesi lontana, a causa delle differenti vedute delle spacefaring nations.

Fonti e Approfondimenti:

Sergio Marchisio, The Law of Outer Space Activities, Roma, 2017

http://www.unoosa.org/

http://www.un.org

http://www.un-documents.net/a18r1962.htm

https://documents-dds-ny.un.org/doc/RESOLUTION/GEN/NR0/119/31/IMG/NR011931.pdf?OpenElement

Fai clic per accedere a STSPACE11E.pdf

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