di Francesca Rongaroli
A poche settimane dalla fine del mandato, il governo cileno ha concluso uno storico accordo con le imprese della Asociación de Generadoras de Chile, vale a dire i maggiori produttori energetici del paese. Come annunciato lo scorso 29 gennaio dalla Presidente uscente Michelle Bachelet, le compagnie AES Gener, Colbun, Enel ed Engie si impegnano da ora a non intraprendere la costruzione di nuove centrali a carbone. Inoltre, sarà creata una commissione che valuti la sicurezza e l’idoneità ambientale, sociale ed economica degli impianti esistenti e dell’intero sistema nazionale di produzione dell’energia elettrica. L’obiettivo di questo gruppo di lavoro sarà fissare una tabella di marcia funzionale alla progressiva chiusura di tutte le centrali a carbone che non si avvalgono di sistemi di filtro ed immagazzinamento delle emissioni.
Alla presentazione del piano “Política Exterior de Chile 2030”, elaborato dal Ministero degli Esteri, Bachelet si è definita “orgogliosa di aver presenziato un incontro nel quale si è guardato oltre la logica del ‘qui e ora’, nel quale le vedute e le proposte dello stato non si sono limitate al frenetico presente”. La Presidente ha inoltre auspicato “un dibattito costruttivo che possa favorire lo sviluppo inclusivo e sostenibile” e ha rimarcato che, in questo campo, “resta indubbiamente moltissimo da fare”. Si tratta, nelle intenzioni del governo uscente, dell’avvio del percorso che privilegerà la scelta delle energie rinnovabili; per il Cile, sarebbe il passo decisivo verso la fine dell’era del carbone.
Detto questo, imporre uno stop alla costruzione di nuove centrali e sostituire quelle esistenti è certamente un piano più che ambizioso; soprattutto se si considera che attualmente il carbone contribuisce con il 40% della produzione di energia elettrica del paese. Non che manchino le alternative: il Cile può infatti contare su risorse promettenti, soprattutto per quanto riguarda l’energia solare ed eolica. Negli ultimi quattro anni il potenziamento di queste fonti rinnovabili ha consentito di raggiungere risultati al di sopra delle aspettative: “l’energia pulita” copre oggi quasi il 20% del fabbisogno nazionale.
Non abbastanza, secondo il Potsdam Institute for Climate Impact Research (PIK), il quale ha realizzato uno strumento che rende conto dei progressi compiuti a partire dalla ratificazione dell’accordo sul clima di Parigi. I risultati sono raccolti nell’analisi scientifica chiamata Climate Action Tracker. Secondo la valutazione aggiornata al novembre 2017, il Cile è ancora molto lontano dalla meta: lo sforzo compiuto fino ad oggi viene classificato come “critically insufficient“. L’amara conclusione del rapporto è che “se tutti i paesi seguissero la linea del Cile, il riscaldamento globale supererebbe i 4°C entro il 2030”.
Eppure il Cile era stato il primo paese sudamericano a introdurre la tassa sulle emissioni di diossido di carbonio, nell’ambito della riforma fiscale che fu firmata da Bachelet nel settembre 2014. La carbon tax attiva a partire dal 2018 sarà di 5 dollari per ogni tonnellata di CO2 emessa e si baserà sulle misurazioni effettuate nell’anno precedente. La speranza, quindi, è che la situazione migliori nel corso di quest’anno, essendo prevista la piena entrata in vigore della legge e l’eventuale inasprimento delle sanzioni.
Soprattutto, però, c’è da augurarsi che il nuovo governo non abbia in serbo drastici cambi di direzione, almeno sotto questo punto di vista. Il vincitore del ballottaggio tenutosi a dicembre, Sebastián Piñera, inizierà ufficialmente il mandato di Presidente a partire dal prossimo 11 marzo; l’imprenditore aveva già rivestito questa carica tra il 2010 e il 2014. Bisogna ammettere che la questione energetica e ambientale non è stata tra i temi protagonisti della campagna per la corsa alla Presidenza che ha visto la sconfitta di Alejandro Guiller, a capo della coalizione di centrosinistra. Comunque, in base alle promesse, si direbbe che il futuro capo del governo Piñera abbia colto e fatto leva anche sulla maggiore preoccupazione dell’elettorato cileno per la protezione dell’ecosistema e per l’impatto socioambientale della crescita economica. Come conferma uno studio recente del Banco Interamericano de Desarrollo, che mette il Cile a confronto con gli altri paesi dell’Amercia Latina, l’opinione della maggior parte dei cileni (ben il 78%) è che la battaglia per contrastare il riscaldamento del pianeta dovrebbe avere la priorità sui guadagni economici.
In questo contesto, il discorso di Piñera ha puntato sul “grande patrimonio ambientale che si manifesta nella straordinaria biodiversità del paese” e ha dichiarato che il Cile ha “l’obbligo etico di lasciare alle generazioni future un patrimonio naturale migliore di quello che ha ricevuto”. In due capitoli del programma elettorale si è approfondito il piano per implementare le energie rinnovabili e avanzare verso una matrice energetica totalmente pulita. Tra le proposte c’è anche rinforzare il sistema nazionale che controlla l’emissione dei gas effetto serra e creare un fondo specifico per la lotta al cambiamento climatico.
Ma c’è chi guarda con un certo scetticismo ai “grandi e verdi annunci” fatti dall’imprenditore. Il quotidiano on line indipendente e di stampo pluralista El Mostrador, pur riconoscendo la positività delle iniziative presentate, ricorda che nel dibattito elettorale dello scorso ottobre la futura Ministra dell’Energia Susana Jiménez si era mostrata ben più cauta. Quella che è stata definita “la mujer fuerte” del team economico di Piñera aveva preferito dare enfasi al processo competitivo del mercato energetico. Riguardo al rompicapo tra la crescita e la conservazione (più che mai costante se si pensa alla storia dell’ America Latina), Jiménez aveva glissato e concluso ottimisticamente che sarà la stessa massificazione delle energie rinnovabili ad abbassarne i costi e a renderle preferibili ai combustibili fossili. Anche nell’ambito del recente accordo tra il governo e i generatori elettrici, Jiménez ha espresso un certo riserbo di fronte alle scadenze fissate dal suo predecessore. Piuttosto, ha rimarcato la necessità di tenere innanzitutto una riunione di tipo tecnico con i rappresentanti dell’industria. “Dobbiamo essere responsabili e considerare cosa è più conveniente dal punto di vista della sicurezza, della flessibilità e dei prezzi dell’energia” ha commentato la futura Ministra.
Per di più, i dubbi de El Mostrador sono fondati sul fatto che, nonostante Piñera abbia cavalcato questa retorica ecologista in entrambe le sue campagne elettorali, la sua azione politica nel primo mandato era stata tutt’altro che congruente. L’imprenditore aveva infatti reso più flessibili le norme già esistenti riguardo alle centrali termoelettriche. Inoltre, solo per nominare i casi più eclatanti, il Presidente si era trovato nel 2010 di fronte alla più grande mobilitazione mai organizzata in Cile legata al tema ambientale (la controversia HidroAysén) e aveva concesso la sua approvazione per un gigantesco progetto di sfruttamento carbonifero nella regione di Magallanes. Per non parlare del via libera dato alla realizzazione di quella che doveva essere la più grande centrale dell’America Latina. Fu poi la stessa Corte Suprema a fermare il piano Castilla, il quale mirava a costruire nella regione di Atacama un complesso di sei impianti a carbone e due a petrolio.
Alla luce della già vista contraddizione tra le promesse elettorali e la realtà dei fatti, il recente accordo tra il governo e l’associazione di produttori energetici è un chiaro segnale di come non si possa rischiare una seconda volta la posta in gioco. La firma di Bachelet sembra quasi mettere in guardia il suo successore e richiamarlo alla coerenza con le aspettative dei cileni e la loro crescente sensibilità ai temi ambientali.
Fonti ed approfondimenti:
http://www.latercera.com/negocios/noticia/esta-chile-condiciones-prescindir-del-carbon/52255/
http://climateactiontracker.org/countries/chile.html
Be the first to comment on "Cile: è la fine dell’era del carbone?"