Venezuela: non esiste legge, non esiste pietà

Venezuela
@JonathanAlvarezC - Wikimedia Commons - CC BY SA 3.0

Il Venezuela sta attraversando, ormai da anni, una fase di crisi economica sociale e politica che fatica a terminare. L’eredità chavista, presa e continuata dall’attuale Presidente Nicolas Maduro, ha ormai messo in ginocchio il Paese. Eletto nel 2013 dopo aver vinto le elezioni con ben il 50,7% di preferenze, probabilmente illecite o falsate, attualmente è al centro di polemiche internazionali.

Il suo operato, assimilabile a una dittatura, ha stremato lo Stato: secondo il FMI, Fondo Monetario Internazionale, il livello di inflazione ha raggiunto il 2400% lo scorso anno ed è destinato a salire, sempre secondo le ultime previsioni, fino al 13000%. A ciò si accosta la crisi sociale che dilaga a macchia d’olio, per cui ormai sia i beni alimentari che i medicinali sono razionati e il tasso di omicidi non accenna ad arrestarsi, considerando che nel 2016 la NGO “Venezuelan Observatory of Violence” (OVV) ha stimato che se ne sono verificati più di 28,479.

 

Le cause di questa situazione criminale non sono troppo difficili da intuire. Si tratta infatti delle questioni spinose che sfiancano la popolazione ormai da decenni: forze dell’ordine corrotte, sistema di giustizia corrotto e politicizzato, associazioni armate e/o violente che agiscono all’interno dei centri di detenzione. Proprio questi luoghi sono la cartina al tornasole della reale situazione di uno Stato e, nel caso del Venezuela, erompe con prepotenza la disperazione attuale.

Nel marzo scorso, una rivolta nel carcere di Valencia, città nello stato di Carobobo, ha portato alla morte di oltre 68 persone tra cui detenuti, familiari e due agenti di polizia penitenziaria, poiché i detenuti hanno deciso di appiccare fuoco ai materassi creando un incendio vastissimo e letale. Le motivazione dello scoppio della rivolta, sebbene non rese note, sono chiare e da imputare alle condizioni di detenzione stremanti, al limite dell’umanità. Esse sono dovute non solo alla condotta e alla corruzione degli agenti di polizia, ma anche al sovraffollamento degli istituti fatiscenti e insalubri, alla mancanza generale di sicurezza e ordine, nonché uno staff di polizia non formata che, nella pratica, ha demandato il controllo e la gestione degli istituti alle bande formate da detenuti. Nel 2013, inoltre, il Ministero del Potere Popolare per il Sistema Penitenziario ha introdotto una riforma per instaurare un “Nuovo Regime Penitenziario”, al fine di riassegnare il controllo degli istituti penitenziari dello Stato, che erano gestiti da bande di detenuti, con compiti di regolazione di conti e soppressione delle proteste. Il problema è che questo nuovo regime, ben lontano dal portare una riforma pacifica, ha legittimato l’uso della forza da parte delle forze dell’ordine.

Per questo motivo la riforma è stata denunciata da molteplici organizzazioni internazionali per la salvaguardia dei diritti umani, che hanno evidenziato come questa impone di utilizzare una disciplina paramilitare contro i detenuti e permette l’uso della violenza fisica o psicologica come strumenti di punizione contro i reclusi e, inoltre, non ha debellato l’egemonia delle bande interne.

Ancora oggi esiste una gerarchia intramuraria che ha come organo di vertice il pran, un vero e proprio leader che gestisce il penitenziario o una sua zona. È la figura di riferimento per ogni aspetto della vita all’interno del carcere, poiché chiunque voglia protezione o anche solo cibo, visite, medicine o armi deve pagare una somma di denaro. Questi pranes sono noti per la violenza con cui dettano legge, non avendo un limite nemmeno nelle istituzioni interne, che invece se ne servono per risolvere tutte le questioni difficili. Sono molti i casi in cui i pranes hanno ordinato omicidi o spedizioni punitive contro detenuti irrispettosi. Negli ultimi anni sono state anche ritrovate sotto ai pavimenti delle celle delle vere e proprie fosse comuni, in cui venivano gettati i corpi martoriati delle vittime delle rappresaglie. Il tutto sotto lo sguardo basso e accondiscendente delle autorità.

I dati ottenuti da varie organizzazioni internazionali sono poco aggiornati per carenza di riscontri, ma comunque da essi si evince la portata della situazione dato che nel 2015, secondo Venezuelan Prison Observatory, la popolazione carceraria ammontava a 49.664 detenuti ripartiti in soli 35 istituti o strutture carcerarie, mentre l’ OVV ha reso noto che tra il 1999 e il 2015 sono morte 6.663 persone detenute per mano di altri detenuti o di agenti penitenziari. Il rapporto del 2014 di PROVEA (Programa Venezolano de Educación- Acción en Derechos Humanos), associazione non governativa venezuelana per la difesa dei diritti umani, ha denunciato che il maggior numero di morti è dovuto proprio allo scontro tra detenuti visto che ammonta al 45%, mentre le morti per mano “istituzionale” raggiunge il 33%.

Peraltro le fila carcerarie sono continuamente rimpolpate da dissidenti politici, oppositori, giornalisti, attivisti politici dissidenti, e anche da cittadini arrestati durante le manifestazioni, alcune obbiettivamente pacifiche, che non avrebbero giustificato l’intervento della forza pubblica né arresti arbitrari. Ad oggi la situazione di sovraffollamento ha raggiunto livelli talmente critici che ha costretto, o forse concesso, di trattenere i soggetti arrestati presso i commissariati di polizia o caserme per periodi di tempo più o meno lunghi, ma sicuramente superiori alle 48 ore stabilite dalla legge. E questo ha acuito il verificarsi di abusi di potere, violenze e torture.

Stando alla “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti inumani e degradanti” conclusa a New York nel 1984 ed entrata in vigore in Venezuela nel 1991,“[…] il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o esercitare pressioni su di lei o di intimidire o esercitare pressioni su una terza persona, o per qualunque altro motivo basato su una qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o tali sofferenze siano inflitti da un funzionario pubblico o da qualsiasi altra persona che agisca a titolo ufficiale, o sotto istigazione, oppure con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si estende al dolore o alle sofferenze derivanti unicamente da sanzioni legittime, ad esse inerenti o da esse provocate.”

La disposizione così generale consente di inserire nella fattispecie anche forme di violenza che non permettono a un individuo di vivere umanamente e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali. Le manifestazioni di questa perpetua violazione sono le più disparate: dal mancato accesso al cibo, poiché in alcune strutture si riceve un solo pasto al giorno se non si ha la possibilità di riceverlo dai familiari e di pagare una sorta di tassa allo staff, al mancato accesso all’acqua e ai medicinali e al diritto, insopprimibile, alla salute.

 

La Convenzione ha istituito il “Comitato contro la tortura” (CAT, Committee Against Torture), il quale ha la funzione di monitorare l’osservanza alla Convenzione e può ricevere comunicazione dai singoli che dichiarano di essere stati vittime di torture, può richiedere e aprire indagini, quando vi sia il fondato sospetto di una violazione e ricevere comunicazione anche da parte degli stati firmatari. Inoltre è stato creato anche un Sottocomitato contro la tortura, che ha il potere di ispezione nei luoghi di privazione della libertà personale, con il compito di prevenire le violazioni dei divieti di tortura, trattamenti inumani e degradanti.

Ma, nonostante questo apparato preventivo e di indagine, l’impunità dilaga, così come si rende più conclamata la violazione ripetuta del diritto di libertà di espressione, pensiero e di manifestazione.

 

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/CAT.aspx

http://www.omct.org/cat/

https://www.prison-insider.com/countryprofile/prisonsinvzla?s=le-systeme-penitentiaire#le-systeme-penitentiaire

https://www.hrw.org/world-report/2017/country-chapters/venezuela#3159b0

https://www.osac.gov/pages/ContentReportDetails.aspx?cid=21286

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