Il 26 Settembre a Tehran alla presenza di delegati da Cina, India, Russia e Afghanistan, si è tenuto il primo Regional Security Dialogue per affrontare la questione della sicurezza in Asia centrale.
La grande difficoltà, come è stato sottolineato dagli addetti alla sicurezza iraniani, è stata quella di trovare una strategia comune su scenari che non fossero l’Afghanistan. Se riportare tranquillità e stabilità a Kabul è dunque una priorità per tutti e quattro i paesi più importanti è molto più complesso riuscire a fare una sintesi sulle diverse intenzioni che questi hanno per l’area circostante l’Afghanistan.
Nonostante gli apparati di sicurezza a Teheran siano molto preoccupati della situazione che si sta sviluppando vicino ai suoi confini orientali, sembra che la conferenza del 26 settembre fosse ideata maggiormente a creare ponti con India, Cina e Russia più che a occuparsi realmente di sicurezza. A guardare bene il documento rilasciato al termine del meeting questa sensazione è ancora più forte. Infatti nonostante il primo articolo si occupi della situazione del terrorismo in Asia centrale, dall’articolo 9 in poi si parla di altri temi variegati come: la promozione del commercio internazionale tra i quattro paesi maggiori e una maggiore cooperazione economica in campo militare.
La cosa che più di tutte però sorprendere è che da una conferenza che non avrebbe dovuto avere il compito di creare un organismo di dialogo, è invece nato un organo ad hoc. Questo si riunirà una volta l’anno e nonostante ufficialmente dovrà occuparsi di sicurezza, avrà segretari e uffici intitolati a trattare su temi molto diversi come il commercio e la cooperazione sanitaria.
Un Iran forte e diplomatico che farà da ponte
L’Iran negli ultimi anni ha mostrato sempre di più l’intenzione di trovare nei suoi partner asiatici delle fondamenta di stabilità importanti. Infatti, questa non è una strategia innovativa dell’amministrazione Rouhani, dato che già con Ahmadinejad si era ideata una cosidetta exit strategy dal Medioriente. Questo perchè in quel momento l’area era caratterizata dall’invasione americana dell’Iraq, e l’obbiettivo princiapale a Teheran era quello di evitare quello che le alte sfere temono più di ogni altra cosa: l’isolamento internazionale.
In quel momento il presidente Ahmadinejad aveva fallito nel cercare di cooptare Russia, Cina e India. Il motivo principale era che nessuna delle tre potenze aveva la minima intenzione di sfidare gli USA di Bush, che, con il discorso dell’Asse del male, aveva decisamente messo una taglia sulla testa di Tehran. Pechino, Mosca e Nuova Delhi volevano tutto fuorché entrare in scontro con Washington che aveva mostrato i muscoli e poteva mostrali nuovamente.
Attualmente la situazione è molto diversa e l’Iran è cambiato ampiamente rispetto al 2003: il presidente Rouhani, insieme al leader supremo Khamenei e alla forze di sicurezza, sono riusciti a costruire un’immagine allettante del Paese. Questo infatti si è dimostrato capace di mantenere al potere Bashar Al Assad e di poter sfidare con la propria influenza i petrodollari del Golfo e ha mostrato ai paesi ad Est che l’Iran è diventato uno stato pragmatico senza alcun dogma rivoluzionario.
Non dobbiamo scordarci che l’Iran sta allo stesso tempo continuando a lavorare con l’Unione Europea per mantenere attivo il JCPOA, magari evitando le future sanzioni USA. In tutto questo Cina, Russia e India sono sempre più aperte a sfidare l’amministrazione Trump, che attualmente sembra un gigante ferito che mostra difficoltà. Pechino pensa di poter sfruttare l’Iran nella sua guerra commerciale con gli USA, mentre Mosca sa già cosa sta comprando e vede in Teheran un possibile partner cruciale.
Astana è il modello vincente per Tehran
La domanda però che resta vivida nella mente è il motivo per cui l’Iran abbia deciso di fare tutto questo. Oltre alla classica risposta geopolitica del Paese al rischio di isolamento vi è un altro motivo: Rouhani e Zarif, attuale ministro degli esteri, sanno perfettamente che il modello che più si è mostrato vincente in questo periodo per l’Iran nelle relazioni internazionali è quello di Astana.
Nella capitale kazaka infatti Rouhani è riuscito a costruire un rapporto con Turchia e Russia sullo scenario siriano, nel quale Teheran è il minimo comune denominatore tra le due parti ed è estremamente necessario per portare avanti le decisioni. Questo vuol dire che l’Iran è colui che costruisce le bozze degli accordi, che fa dialogare le due altre parti e che implementa la maggior parte delle decisioni sul territorio.
Dopo aver sperimentato questo ruolo in questa situazione ristretta, molti all’interno dell’amministrazione Rouhani hanno iniziato a chiedersi perché non provare a istituire un rapporto simile con altri partners. Rouhani vuole trasformare il Paese in un ponte che colleghi l’Unione Europea, simbolo di un mondo occidentale diverso da Washington, con i paesi a oriente. Successivamente infatti sono fioriti incontri diplomatici con al centro gli Iraniani atti a garantire al Paese un certo grado di appeal diplomatico, come quello del 26 Settembre.
È utile comunque ricordarsi che dietro alle decisioni di Rouhani non vi è solo una questione di politica internazionale, ma anche una questione di politica interna. Se da una parte i militari e i pasdaran sono fondamentali per mantenere l’influenza iraniana in Medio Oriente e se il leader supremo Khamenei e la classe religiosa sono comunque ancora fortemente supportati da una fascia di popolazione, anche i politici e i burocrati devono trovare una motivazione da pubblicizzare per dichiararsi necessari ad ogni costo. Le relazioni diplomatiche sembrano essere questo punto: chi guiderà una diplomazia iraniana così complessa se i militari e i religiosi classici dovessero prendere la Presidenza e dovessero escludere i burocrati?
Fonti e approfondimenti:
http://www.csr.ir/fa/news/64/سیاست-نگاه-به-شرق-و-ایران
https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2018/10/iraqs-postgraduate-students-go-abroad.html