Donne e Medio Oriente: il femminismo tunisino in transizione

Lo Spiegone

Lo status della donna in Medio Oriente è probabilmente tra gli argomenti più controversi e dibattuti all’interno e all’esterno della regione, data la complessità di concetti come femminismo, Islam, democrazia, genere, e identità. Il rischio è quello di ricadere in facili stereotipi o di cedere alla tentazione di imporre a questi termini un significato universale che rispecchi la nostra esperienza, senza tener conto delle innumerevoli sfumature che derivano da contesti storici, politici e socioculturali diversi.

In Tunisia, il dibattito sulla posizione della donna nella società ha trovato nuovo vigore con le Primavere Arabe del 2011. Le donne sono state protagoniste delle rivolte, hanno potuto utilizzare i media per comunicare e diffondere un’agenda basata sulla necessità di migliorare il proprio status, non solo a livello legale, ma anche e soprattutto sociale e culturale. I movimenti nati in seno alla società civile hanno rivendicato una propria voce autonoma dallo Stato, e soprattutto una definizione di femminismo che possa conciliare le differenze tra le donne tunisine, piuttosto che imporre un modello predefinito di aspirazioni e obiettivi.

Sebbene infatti il Paese sia stato dipinto per anni come un esempio di progressismo in fatto di diritti delle donne, la caduta del regime ha portato alla luce i limiti del femminismo che ha caratterizzato gli anni di Bourguiba prima, e Ben Ali dopo.

Il ‘femminismo di stato’ di Bourguiba e Ben Ali

I primi gruppi femministi nascono in Tunisia all’inizio del XX secolo, in pieno dominio coloniale francese. Le donne tunisine sono parte integrante della resistenza nazionale, con i primi sindacati – la Muslim Union of Tunisia’s Women (1936) e la comunista Union of Tunisia’s Women (1944) – in prima linea nella lotta per l’indipendenza.

Nel 1956, la Tunisia diviene indipendente ed è proclamata repubblica con Habib Bourguiba come primo presidente. Il sistema di stampo socialista costruito da Bourguiba attorno al partito unico Neo-Destour prevede un contratto sociale basato sull’offerta di servizi pubblici in cambio di obbedienza politica. Una serie di riforme viene  dunque avviata per perseguire un ideale di stato moderno e semi-secolare, ben visto in Occidente.

Tra le prime leggi promulgate vi è il Codice di Statuto Personale del 1956, uno dei documenti più liberali della regione in fatto di uguaglianza di genere. I diritti introdotti nel Codice trovano eco anche in una serie di decreti e leggi successive, e nell’articolo 6 della Costituzione del ’57, secondo cui: Tutti i cittadini hanno gli stessi diritti e doveri. Tutti sono uguali davanti alla legge.

Le misure più importanti introdotte in questo periodo sono l’abolizione della poligamia, la legalizzazione dell’aborto entro le prime tre settimane di gravidanza, l’innalzamento dell’età minima per il matrimonio a diciassette anni, l’abolizione del ripudio verbale della donna da parte dell’uomo, la legalizzazione del divorzio come competenza dei tribunali a cui ambo i sessi possono ricorrere, e il divieto del velo nelle scuole, negli uffici e negli stabilimenti pubblici. In generale, poi, Bourguiba difende e incentiva l’educazione femminile, offrendo istruzione gratuita per entrambi i sessi.

Tuttavia, la questione femminile è in questi anni fortemente condizionata dallo Stato, circoscritta e strumentalizzata per servire le esigenze del regime. Le attività dei sindacati nati prima dell’indipendenza sono messe al bando, e i gruppi femminili sono cooptati nel 1958 nella National Union of Tunisian Women (UNFT), vicina al partito.

Questo stato di torpore del movimento femminista tunisino si interrompe tra anni ’70 e ’90. Da un lato, la trasformazione in direzione neoliberista conduce all’acuirsi delle disuguaglianze economiche, e a una serie di proteste popolari guidate dalla sinistra, di cui le donne sono parte attiva. Il Tahar al Haddad Club emerge nel 1978, ad esempio, per incoraggiare la partecipazione delle donne alla vita economica e culturale del Paese. Dall’altro, una generale rinascita della religione islamica nel Paese, stimolata da Bourghiba in opposizione alla sinistra, viene percepita come un pericolo per i diritti acquisiti.

Quando Bourghiba viene dichiarato incapace di governare nel 1987, il primo ministro Zine El Abidine Ben Ali assume la presidenza, e abbraccia un femminismo di Stato simile a quello del suo predecessore. Negli anni ’90, altri diritti sono concessi alle donne, e due associazioni femminili – la Tunisian Association of Democratic Women (ATFD) e l’Association of Tunisian Women for Research and Development (AFTURD) – sono legalizzate.

Forse il simbolo più lampante dell’opportunismo politico dietro il discorso “femminista” di Ben Ali è la scelta della first lady Leila Trabelsi come portavoce delle donne del Paese. A capo di una serie di gruppi come l’Organizzazione delle donne arabe o l’associazione Basma, la fama positiva di cui “Madame La Presidente” godeva all’estero si scontra con la radicata impopolarità in Tunisia, dove i tunisini in generale – e le donne in particolare  – ne disprezzano l’ostentata corruzione.

Il rinnovato supporto alla causa di genere non viene utilizzato solo come propaganda per i Paesi occidentali, ma garantisce al regime anche la cooperazione dei gruppi femministi in chiave anti-islamista.  Infatti, quando il risultato delle elezioni del 1989 mostra il potenziale di Ennahda – partito ispirato alla Fratellanza Musulmana – anche gruppi che si professano indipendenti e neutrali (come l’ATFD e l’AFTURD) assumono una linea vicina a quella del regime, sottolineando la propria identità laica.

Promuovendo solo determinate voci all’interno del panorama femminista e reprimendo qualunque alternativa e dissenso, Ben Ali riesce a confinare la causa femminista all’interno di un gruppo ristretto di donne borghesi, intellettuali, laiche e perlopiù concentrate nella capitale. Ciò ha creato una spaccatura rispetto a realtà come quella rurale e operaia, più vicine ai valori islamici.

La rivoluzione dei gelsomini e le nuove opportunità per il femminismo

La caduta del regime nel 2011 ha avviato la Tunisia verso un percorso di transizione democratica che ha portato finora a progressi concreti nell’ambito della parità di genere. Ad esempio, sono state introdotte le quote rosa e una storica legge che, nel 2017, ha affrontato il tema della violenza di genere. L’ultima novità risale allo scorso novembre, quando l’esecutivo ha approvato la bozza di legge proposta dal presidente Beji Caid Essebsi, riguardo a una ripartizione equa dell’eredità tra uomini e donne. Tale proposta è in aperta opposizione alla Shari’a – secondo la quale alle donne spetterebbe la metà dell’eredità destinata agli uomini – ed ha già ha scatenato l’opposizione di Ennahda. Con le elezioni previste per il prossimo anno, la questione rimarrà oggetto di accese discussioni.

Un’altra importante conseguenza della rivoluzione dei gelsomini è stata l’affermazione di identità diverse all’interno della cornice femminista tunisina, con la nascita di un attivismo islamico organizzato sul versante dei diritti delle donne. Il tentativo di rivedere la lotta femminista in ottica religiosa non è un fenomeno nuovo nella regione, ma in Tunisia ciò era stato a lungo impedito dalla ciclica repressione dell’Islam politico. Il femminismo islamico si basa sul tentativo di coniugare religiosità e diritti, tenendo in considerazione che l’attuale legge islamica  più che rappresentare l’esatta volontà divina – nasce da un’interpretazione patriarcale del Corano e della Sunna. In quest’ottica, l’Islam non è incompatibile con i diritti della donna: semplicemente questi ultimi sono interpretati in maniera diversa da quella secolare. Uomo e donna sono percepiti come complementari, più che uguali.

Il contributo maggiore delle numerose organizzazioni nate dopo il 2011 è stato proprio il tentativo di superare la divisione laico-Islamista, e di sottolineare la varietà di sfumature all’interno del movimento femminista tunisino. Come ha affermato un’attivista, infatti, riferendosi a Meherzia Laabidi (parlamentare di Ennahda) e Amina Sboui (ex Femen): Una certa idea di femminismo ci è stata imposta, come se le donne tunisine potessero stare solo a un estremo o a un altro – Meherzia Laabidi oppure Amine Sboui. Ciò non ha senso, perchè le donne tunisine sono tutto, nello stesso momento“.

Fonti e approfondimenti

Samar El-Masri, Tunisian Women at a Crossroads: Cooptation or Autonomy?, Middle East Policy Coucil, Vol. XXII, No. 2, 2015 https://www.mepc.org/tunisian-women-crossroads-cooptation-or-autonomy

Loes Debuysere, Between feminism and unionism: the struggle for socio – economic dignity of working-class women in pre- and post- uprising Tunisia, Review of African Political Economy, Vol. 45, No. 155, 2018 https://www.tandfonline.com/eprint/XdYY4vnpZ38D6czaV3HB/full

Loes Debuysere, Tunisian women at the crossroads: antagonism and agonism between secular and islamist women’s rights movements in Tunisia, Mediterranean Politics, Vol. 21, No. 2, 2016 https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/13629395.2015.1092292?src=recsys&instName=University+of+Bologna

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