Negli ultimi due articoli abbiamo raccontato alcuni degli aspetti centrali del tema dell’omosessualità in Medio Oriente: l’intervista a Nicola Maria Coppola ci ha fornito una panoramica generale, in seguito ci siamo concentrati sul caso specifico dell‘Iran. Adesso cercheremo di approfondire in che modo l’associazionismo stia positivamente influenzando la lotta ai diritti LGBT nella regione.
Il ruolo delle associazioni
Le comunità omosessuali vivono situazioni molto difficili nella maggior parte dei Paesi arabi, sia a livello governativo che societario. In questo scenario le associazioni giocano un ruolo centrale.
Prima di definire meglio funzioni e opportunità dell’associazionismo nell’ambito LGBT, è necessario delineare qual è il contesto in cui le associazioni si trovano a operare in Medio Oriente. Noi cittadini occidentali siamo abituati a governi aperti verso l’associazionismo e che vedono nella società civile una dimensione con cui dialogare e a cui fornire supporto. Nei Paesi mediorientali però la relazione tra Stato e società civile è più complessa. Infatti in alcuni Stati, fortemente religiosi, vengono accettate esclusivamente quelle parti della società civile che si ispirano all’Islam. In altri Paesi, invece, si possono trovare associazioni di stampo governativo fortemente supportate dallo Stato e associazioni indipendenti che godono di spazi di manovra limitati e spesso sono costrette a chiudere.
Se poi a ciò si aggiunge quanto sia delicato il tema dell’omosessualità nella regione, il quadro della situazione si complica. Nella maggior parte dei Paesi, infatti, queste associazioni sono espressamente vietate e costrette a vivere clandestinamente per creare reti di solidarietà.
Obiettivi delle associazioni LGBT in Medio Oriente
- La necessità di uscire dall’ombra
Il primo obiettivo è far uscire l’omosessualità dall’ombra e renderla un tema presente all’interno del dibattito pubblico. Come abbiamo più volte detto, infatti, il contrasto ai diritti LGBT è diventato quanto mai impopolare a livello globale e di conseguenza i governi mediorientali più che ricorrere alla repressione diretta, cercano di criminalizzare l’omosessualità e limitare le possibilità di parlarne apertamente.
- La volontà di cambiare la lettura del fenomeno
Far parlare del fenomeno però non è abbastanza, se non si riesce a influenzare anche il modo in cui se ne parla. Il linguaggio è infatti centrale all’interno dello sviluppo del concetto della società. Come si è già detto nei precedenti articoli, il termine arabo per omosessuale è stato creato da poco e al suo posto vengono spesso usati termini offensivi legati al campo semantico sessuale, già di per sé nati con accezione discriminante.
Un esempio di questo sforzo è offerto dalla Tunisia, caso che esamineremo meglio più avanti. L’associazione “Shams”, nata dopo la Rivoluzione dei Gelsomini del 2012, ha aperto un canale radio per dare voce alla comunità omosessuale, permettendo a quella stessa voce di autodefinirsi e, così facendo, di dettare una nuova linea lessicale che combatte la discriminazione.
- La creazione di una comunità e di un senso di rappresentanza
Le associazioni stanno cercando di costruire da zero una comunità LGBT, anche grazie al sostegno della società civile occidentale, dopo che anni di paura e stigma sociale hanno disincentivato apertura e confronto. In Paesi come il Libano, l’Iraq e la Giordania, sta emergendo un sentimento identitario nella comunità omosessuale e la volontà di essere rappresentata. In questa dimensione le associazioni cominciano quindi a non avere solo un ruolo verso i suoi membri, ma anche verso la società nella sua interezza, diventando portatrici delle istanze di una comunità che adesso si riconosce ed esiste.
Il caso di Shams in Tunisia
L’associazione Shams rappresenta al meglio l’universo dell’associazionismo LGBT nel mondo mediorientale con le sue difficoltà e i suoi obiettivi. L’associazione è nata all’indomani della rivoluzione che ha portato alla cacciata del dittatore Ben Ali da un gruppo di intellettuali e giovani studenti che hanno trovato il coraggio di opporsi alla società oscurantista. Al centro del programma dell’associazione vi è l’abolizione delle legge 230 che, sebbene applicata raramente, punisce l’omosessualità.
La rivoluzione è stata seguita da un clima di ottimismo e la Tunisia sembrava la speranza del mondo arabo per uno Stato veramente democratico. E’ in questa situazione che Shams è riuscita a svolgere e a portare a termine il suo primo compito: far uscire dall’oscurità l’omosessualità e trasformarla in un tema dell’agenda del Paese.
Tuttavia, il crescente consenso verso il partito islamista Al -Nahda, ha reso il lavoro dell’associazione più difficile. Il partito, infatti, quando ha iniziato a collaborare con il governo ha posto paletti importanti all’associazione. Il deputato islamista Abdellatif Mekki, per esempio, è arrivato a incolpare gli attivisti per i divorzi, le violenze domestiche e il consumo di droga. L’associazione è stata minacciata innumerevoli volte, i leader hanno subito violenze e spesso sono finiti in carcere dove abbondano i casi di molestie, ma questo non ha fermato l’attivismo dell’associazione.
Dal 2016, come abbiamo detto, Shams ha una radio attraverso cui racconta il mondo LGBT. Nel 2018, è arrivata la richiesta di chiudere l’associazione per attività contrarie alla moralità, ma la Corte Costituzionale ha riconfermato la sua legalità. La pronuncia è stata fondamentale ed è servita a legittimare ulteriormente questa realtà che ha per di più aumentato i suoi rapporti con il partito laico Machrouu Tounes.
Fonti e approfondimenti:
1) Human Rights Watch Campaign
2)Antonello Cariello, In Tunisia il sostegno politico ai diritti LGBT cresce ancora, Il grande Colibrì, 9 Aprile 2019.
3)Conferenza LSE, Sexualities and LGBT activism in Mena.
Be the first to comment on "Omosessualità in Medio Oriente: l’associazionismo"