Il problema della disoccupazione nel Sudafrica democratico

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

La fine del regime di apartheid e l’apertura democratica del Sudafrica, nel 1994, portarono con sé l’attesa e la speranza che nel Paese si verificasse un’inversione di rotta, nei confronti dei problemi sociali, dell’economia e della disoccupazione. L’apartheid, infatti, ha segnato un sistema bipolare in cui i cittadini neri, la maggioranza della popolazione, a differenza dei bianchi benestanti, avevano minor accesso all’istruzione, alla formazione e quindi al lavoro.

A partire dal 1994 il governo mise in atto una serie di riforme e politiche economiche per sostenere la stabilità del Paese. L’intenzione era di favorire alti livelli di crescita, che a loro volta portassero a maggiori opportunità lavorative, per poter accontentare tutta, o quasi, la platea di lavoratori. Tuttavia, le politiche degli ultimi venticinque anni sembra non abbiano portato, a conti fatti, e dai dati rilasciati dal Dipartimento di Statistica del Sudafrica, a risultati soddisfacenti per quanto riguarda i tassi di occupazione dei cittadini sudafricani.

Il tasso di disoccupazione, infatti, nel terzo quadrimestre del 2019 ha superato il 29%, marcando ancora di più i livelli di povertà e disuguaglianza che caratterizzano il Paese.

La situazione è ancora diversa se si analizza l’incidenza della disoccupazione sui diversi gruppi sociali; tra i quali è possibile identificarne quattro principali: i neri africani, i coloured, gli indiani/asiatici e i bianchi. Infatti, nel 1994, anno di apertura democratica del Paese, il tasso di disoccupazione della popolazione nera era estremamente più alto di quello della popolazione bianca, coloured e asiatica. Con il passare degli anni le curve hanno subito una leggera convergenza, lasciando comunque, dagli ultimi dati di fine 2019, una sensibile disuguaglianza tra i tassi di disoccupazione dei diversi gruppi sociali sudafricani.

Se si pensa che la popolazione nera rappresenta circa l’80% dell’intera popolazione sudafricana, si capisce come il problema della disoccupazione – a quelli della povertà e della disuguaglianza che ne derivano – sia una questione di fondamentale importanza per il Paese e per le sue politiche di crescita.

Chi sono i lavoratori sudafricani

La principale eredità che il regime di apartheid ha lasciato è una società dissestata, composta da una vasta schiera di cittadini sudafricani ai quali fu negato l’accesso a una buona istruzione, a standard di vita decenti e a una moltitudine di opportunità lavorative. Questo ha portato ad avere una società divisa in due, composta da milioni di abitanti poco o mediamente qualificati, circa l’80% della popolazione totale, e una piccola fetta di popolazione altamente qualificata e istruita, prevalentemente costituita da bianchi, che rappresentano circa l’8% del totale.

Negli anni, la continua emigrazione della popolazione bianca, a partire soprattutto dal 1994, ha aggravato questa carenza. Un’ulteriore questione è stata l’introduzione, in numerosi settori dell’economia sudafricana, della componente tecnologica, che ha contribuito a inasprire lo scostamento tra l’offerta di lavoro, tecnica e specialistica, e la domanda, composta, appunto, da lavoratori poco qualificati.

Le politiche macroeconomiche del Sudafrica post-apartheid hanno puntato a favorire lo sviluppo del settore manifatturiero, spostando l’attenzione dai settori più tradizionali dell’agricoltura e dell’attività mineraria. Si è assistito, quindi, alla diminuzione dell’offerta di lavoro nei settori delle risorse naturali, in cui la maggior parte dei lavoratori poco qualificati era impiegato, senza però impegnarsi sulla formazione e sulla creazione di nuovi posti di lavoro nelle industrie e nei servizi, lasciando di fatto gran parte dei lavoratori neri senza un’occupazione.

La mancanza di opportunità lavorative ha spinto i più a cercare riparo nel settore “informale”. Il lavoro informale, in Sudafrica, è composto da impieghi quali i venditori ambulanti di beni o di cibo, oppure piccoli servizi di pulizia e riparazioni. Tuttavia, l’informalità porta con sé alti livelli di vulnerabilità e bassi livelli di risparmio, sfavorendo l’imprenditorialità e l’accumulo di ricchezza.

Gli anni della transizione democratica

La vittoria di Mandela e dell’African National Congress (ANC) sul National Party (NP) nel 1994 portarono con sé la speranza, e l’illusione, che i propositi di libertà e uguaglianza sociale ed economica espressi nella Freedom Charter – lo “statuto” che raccoglieva le istanze della popolazione nera sudafricana durante gli anni dell’apartheid – fossero in qualche modo esauditi. I negoziati della transizione tra l’ANC e il NP seguirono due strade parallele: una sul versante politico e una su quello economico.

Se da un punto di vista politico l’ANC riuscì ad ottenere quanto sperato, ossia elezioni, un parlamento e libertà civili, da un punto di vista economico incontrò maggiori e più profonde difficoltà, inasprite anche dall’ostruzione del NP, che rappresentava l’interesse dei bianchi arricchiti durante gli anni dell’apartheid.

Fu così che gli obiettivi di nazionalizzazione di numerosi settori economici e la ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse del Paese, illustrate nella Freedom Charter, vennero meno. La distribuzione della terra venne ostacolata da una clausola che proteggeva la proprietà privata; la creazione di posti di lavoro fu arrestata dall’impossibilità per lo Stato di finanziare alcuni settori industriali, a causa dei limiti imposti dal GATT e dalla sua sostituta Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO); i soldi che l’ANC voleva utilizzare per ridurre la povertà, per portare maggiori servizi ai cittadini e per creare posti di lavoro vennero spesi per ripagare l’enorme debito che il regime dell’apartheid aveva lasciato. A tutto ciò si aggiunse il pensiero di dover apparire affidabile alla comunità internazionale per favorire gli investimenti stranieri nel Paese.

L’ANC, quindi, non riuscì a soddisfare i propositi di nazionalizzazione, di redistribuzione delle risorse e di diminuzione della disoccupazione; si appoggiò, piuttosto, alla speranza di poter attirare nuovi investitori, che avrebbero potuto creare nuova ricchezza, della quale avrebbero beneficiato anche le fasce più povere della popolazione.

Le politiche per il lavoro

A partire dal 1994, tutti i tentativi di politiche di crescita economica che sono state intraprese dai governi dell’African National Congress (ANC) avevano, al proprio interno, strategie utili al fine di creare posti di lavoro e diminuire la disoccupazione.

La prima politica economica adottata dal governo fu il Reconstruction and Development Programme (RDP). L’obiettivo di questa manovra era quello di enfatizzare l’importanza di un’economia forte basata sull’istruzione e sull’aumento dell’alfabetizzazione per i cittadini che, fino a quel momento, erano stati esclusi da questi servizi. L’oneroso debito pubblico da ripagare fu, però, la principale causa del fallimento della riforma, che non riuscì a sortire gli effetti sperati.

Questo fallimento portò all’adozione della strategia di Growth, Employment and Redistribution (GEAR), nel 1996. Il piano prevedeva una crescita annua del 4,2% e la creazione di quattrocentomila nuovi posti di lavoro all’anno. Tuttavia, la riforma non ebbe gli effetti sperati e, al contrario, il taglio delle spese da parte del governo, coniugato all’assenza d’una manovra efficace per stimolare l’economia, portarono alla perdita di un milione di posti di lavoro nel quinquennio 1996-2001, nonché a una crescita annua pari alla metà di quella prevista.

Al GEAR fece seguito l’Accelerated and Shared Growth Initiative of South Africa (ASGISA), il cui obiettivo era di dimezzare la povertà e la disoccupazione entro il 2014 e di presentare tassi di crescita annui del 6% fino al 2010. Al contrario delle altre politiche economiche menzionate, l’ASGISA ebbe, in un primo momento, risultati positivi. Il Paese registrò alti tassi di crescita per quattro anni consecutivi, che portarono, a loro volta, a un sensibile aumento degli investimenti. Questo clima positivo di crescita portò, a sua volta, alla creazione di posti di lavoro; a testimoniarlo il fatto che il tasso di disoccupazione del Sudafrica scese, tra il 2003 e il 2006, dal 27,9% a circa il 22%. A frenare quest’avanzata ci pensò, tuttavia, la crisi economica globale del 2008: il tasso di disoccupazione tornò a crescere e l’economia vide un periodo di recessione.

In risposta alla stagnazione economica in cui si trovò il Sudafrica negli anni della crisi, il governo adottò nel 2010 il New Growth Path (NGP). Questo programma pose l’enfasi sugli investimenti in tema di sviluppo sociale e istruzione, ponendosi l’obiettivo di creare cinque milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2020, portando il tasso di disoccupazione al 15%. A tale scopo, il governo identificò sei aree di intervento sulle quali investire per la creazione di posti di lavoro, i cosiddetti “job drivers”: infrastrutture, settore manifatturiero, settore minerario, agricoltura, turismo e green economy. Nonostante l’NGP sia riuscito inizialmente a far ricrescere l’economia e a creare occupazione, l’aumento della forza-lavoro negli ultimi anni ha rallentato questo trend positivo, determinando, di fatto, un aumento dei tassi di disoccupazione in Sudafrica, come evidenziano i dati.

Il problema della disoccupazione in Sudafrica è evidente già da tempo, ma sembra chiaro che nel lungo periodo le scelte dei governi abbiano portato a risultati insoddisfacenti. Il Presidente in carica Cyril Ramaphosa ha la responsabilità, ora più che mai, dinnanzi a tali dati, di mettere in pratica politiche e investimenti adeguati per cercare di contenere i tassi di disoccupazione del Paese, prima dell’insorgere di gravi episodi di violenza, già sporadicamente avvenuti nei confronti, soprattutto, dei lavoratori immigrati.

 

 

Fonti e approfondimenti

AFRICA. 2019. Sudafrica – Tasso Di Disoccupazione Ormai A Livelli Record | AFRICA.

Ferreira, L. and Rossouw, R., 2016. South Africa’s economic policies on unemployment: A historical analysis of two decades of transitionJournal of Economic and Financial Sciences, 9(3), pp.807-832.

Klein, N., 2007. Shock Economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri. 

Statssa.gov.za. 1998. Unemployment And Employment In South Africa.

Statssa.gov.za. 2009. Labour Market Dynamics In South Africa 2008.

Statssa.gov.za. 2013. Labour Market Dynamics In South Africa, 2012.

Statssa.gov.za. 2020. Labour Market Dynamics In South Africa, 2018.

Statssa.gov.za. 2020. Quarterly Labour Force Survey – Quarter 4: 2019.

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