I campi di lavoro forzato, chiamati gulag, sono cambiati nel tempo seguendo le necessità interne dell’Unione Sovietica. Nel corso degli anni, lo sfruttamento dei detenuti ha permesso di industrializzare il Paese e pianificare l’economia, realizzando grandi opere pubbliche e sfruttando i giacimenti del sottosuolo in Siberia. Ripercorriamo, quindi, come sono nati questi campi e che sviluppi hanno avuto durante il regime.
L’origine dei campi di lavoro forzato in Russia
Nell’Impero russo del Seicento esistevano dei campi di lavoro forzato, detti katorga. In quel primo esperimento di colonie penali, i prigionieri venivano confinati nelle aree scarsamente popolate della Siberia e dell’estremo oriente russo. L’intento era quello di allontanare dai centri urbani i dissidenti del governo zarista e di incanalare la forza-lavoro verso le aree periferiche in cui scarseggiava la manodopera.
In epoca sovietica, il 1930 fu l’anno ufficiale della nascita dei gulag, attraverso la ristrutturazione delle katorga. Il termine gulag è una abbreviazione di “Dipartimento dei campi di lavoro e rieducazione” (in russo, Главное управление исправительно-трудовых лагерей). I primi campi a essere costruiti furono Solovetsky e il complesso dei campi speciali di Ust-Sysolsky, dove nel 1930 furono collocati circa 100 mila prigionieri.
La maggior parte dei campi era situata in aree molto remote della Siberia nord-orientale: i raggruppamenti più conosciuti erano i campi nordorientali lungo il fiume Kolyma e il Norillag (ad esempio il Sevvostlag, vicino a Noril’sk), e nelle zone sudorientali principalmente nelle steppe del Kazakistan (Luglag, Steplag, Peschanlag). Si trattava di vaste regioni disabitate, senza collegamenti, dove la costruzione di infrastrutture come strade e ferrovie era assegnata ai detenuti dei campi specializzati.
I prigionieri dei gulag
All’inizio, la maggioranza dei prigionieri dei gulag era composta da criminali comuni e contadini benestanti, i cosiddetti kulaki. Molti kulaki furono arrestati quando si ribellarono alla collettivizzazione, una politica imposta dal governo sovietico che obbligava i contadini ad abbandonare le fattorie individuali per unirsi all’agricoltura collettiva.
Successivamente, anche i prigionieri politici iniziarono a venire rinchiusi nei gulag. Il Codice penale sovietico, all’art. 58, puniva con la detenzione nei gulag “ogni attività controrivoluzionaria”. Con le grandi purghe dell’epoca di Stalin, tra il 1937 e il 1953, il numero dei reclusi crebbe in modo esponenziale. Durante questo periodo, soprannominato “il Grande Terrore”, le epurazioni raggiunsero il loro apice: un totale di 3.7 milioni di persone passò attraverso i gulag per motivi politici.
Infatti, nei campi di lavoro erano spesso presenti delle unità speciali dedicate ai prigionieri politici. Una di queste era la Psichuška (in russo психу́шка, ossia “manicomio”), dove si veniva sottoposti a dei trattamenti psichiatrici forzati. Esistevano anche i cosiddetti “campi per mogli dei traditori della Patria”, dove venivano incarcerati i familiari di coloro che erano considerati disertori e spie dell’Occidente.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, tuttavia, la popolazione dei campi di lavoro forzato diminuì significativamente a causa della “liberazione di massa” di centinaia di migliaia di prigionieri per arruolarli e inviarli direttamente al fronte. Ma al ritorno dei soldati dalla guerra furono istituiti campi di detenzione ancora più duri, pensati sia per i criminali che per le spie e i prigionieri di guerra.
Dalla repressione all’industrializzazione
Benché i gulag fossero stati ideati per ospitare qualsiasi tipologia di criminali, il sistema è noto soprattutto come mezzo di repressione degli oppositori politici dell’Unione Sovietica. Lo scopo era la rieducazione attraverso il lavoro e l’isolamento dalla società degli elementi considerati nocivi e indesiderabili.
Da luogo di isolamento di controrivoluzionari e criminali “nell’interesse della protezione e del rafforzamento della dittatura del proletariato”, il gulag si è rapidamente trasformato in un ramo indipendente dell’economia nazionale sovietica. Con il loro lavoro, infatti, i prigionieri contribuirono non solo alla costruzione di infrastrutture, ma anche all’estrazione di risorse naturali e metalli preziosi.
In una miniera, ad esempio, la quota di produzione pro-capite poteva raggiungere i 13 mila chili di minerale al giorno. Migliaia di prigionieri furono usati per estrarre minerali di uranio e preparare attrezzature per i test nucleari.
Alcuni documenti di Stato sovietici dimostrano che tra gli obiettivi dei gulag c’era anche quello di colonizzare aree remote della Siberia, scarsamente popolate. A questo scopo, fu introdotto il concetto di “libero insediamento”. Infatti, i gulag permettevano ai prigionieri che avevano scontato la pena di fondare dei “liberi insediamenti” esterni ai campi. Così, molti di loro si stanziarono nelle aree limitrofe negli anni a venire, come nella regione del Magadan.
La chiusura dei gulag
Dopo la morte di Stalin, nel 1953, ebbe inizio il graduale processo di smantellamento del sistema dei gulag. Venne concessa un’amnistia che permise la scarcerazione di 1.2 milioni di prigionieri, insieme a meccanismi di riabilitazione di massa per le vittime della repressione politica.
La riabilitazione dei prigionieri politici consisteva nella restituzione dei diritti e della libertà personale, nonché nel ripristino della capacità giuridica. Il processo di riabilitazione, iniziato nell’era di Khrushchev, riprese con più rigore nel gennaio del 1989. Brezhnev, salito al potere nel 1964, non si era infatti espresso apertamente sui fatti accaduti durante il periodo staliniano, rallentando di fatto la de-stalinizzazione del Paese.
Dal 1960, non ci sono più state incarcerazioni nei gulag. Durante gli anni Settanta e Ottanta, alcuni campi vennero ristrutturati per essere usati come prigioni per criminali, attivisti democratici e nazionalisti antisovietici. Solo alla fine degli anni Ottanta, il leader sovietico Mikhail Gorbachev – esso stesso nipote di vittime dei gulag – iniziò ufficialmente il processo di chiusura completa dei campi.
La resa dei conti con il passato
Fra le diverse testimonianze dirette dell’orrore dei gulag, le più famose sono le memorie del prigioniero e scrittore A. Solzhenitsyn, raccolte nel libro Arcipelago Gulag e distribuite in samizdat (ossia, da “editori in proprio”) fino alla Perestroika, quando anche le case editrici statali pubblicarono per la prima volta l’opera su larga scala.
I veri orrori del sistema dei gulag furono rivelati tardivamente: prima della caduta dell’Unione Sovietica nel 1991, gli archivi di Stato erano sigillati. Per porre una chiara cesura con il passato, nel novembre 1991, la nuova Duma di Stato emanò la “Dichiarazione dei diritti e delle libertà dell’individuo”, che garantiva tra le diverse libertà civili anche il diritto di dissentire dal governo.
Fonti e approfondimenti
Snyder, Timothy, “Review of A Biography of No Place: From Ethnic Borderland to Soviet Heartland”, Journal of Cold War Studies, vol. 9 no. 1, p. 152-153, 2007
Barnes, Steven A., “Death and Redemption: The Gulag and the Shaping of Soviet Society”, Princeton University Press, 2011
Ria Novosti. 2014. История создания ГУЛАГа
Meek, James, “Stalin’s legacy lives on in city that slaves built”, The Guardian, 1994
Kalikh, Andrey, “Историк: Война стала причиной расцвета и угасания ГУЛага”, Deutche Welle, 2015