Gli Stati Uniti sono notoriamente il Paese che spende di più al mondo per il proprio apparato militare. Il budget del 2021 per il Dipartimento della difesa statunitense è pari a 740,5 miliardi di dollari, quello per l’istruzione è di 66,6 miliardi. Il numero totale dei dipendenti civili e militari del Pentagono è di 2,91 milioni, impiegati in 4.800 teatri operativi, negli USA e nel mondo. Come è organizzato il Dipartimento della difesa statunitense e, soprattutto, quanto è stato ed è necessario il “Sistema Pentagono” al complesso economico-industriale del Paese?
La struttura
La struttura interna e operativa del Department of Defense (DOD) segue uno schema piramidale e molto complesso, come è tradizione di ogni organizzazione militare. Al vertice c’è il presidente degli Stati Uniti, Commander in Chief delle forze armate del Paese. Al di sotto di lui, si articola la parte operativa del Pentagono, presieduta dall’ufficio del Secretary of Defense, una figura simile al nostro ministro della Difesa. L’operato del Segretario alla difesa viene controllato dall’Office of Inspector General, che ha il compito di verificare se e quanto le linee guida e le scelte politiche dell’agenda presidenziale siano rispettate e rese effettivamente operative dal Segretario alla difesa.
Il Pentagono è organizzato poi in cinque differenti dipartimenti, di cui uno ha una natura politico-organizzativa, quello dello staff del Segretario alla difesa, mentre tutti gli altri hanno una natura militare: Esercito, Marina, Aviazione e Joint Chiefs of Staff. Ognuno di questi cinque dipartimenti militari ha al suo vertice un segretario che, insieme con il Segretario alla difesa, convergono nel Joint Chiefs of Staff, organo che riunisce appunto, i capi di Stato maggiore di ciascun ramo delle forze armate statunitensi.
Dall’ufficio del Segretario alla difesa dipendono diciannove agenzie operative di supporto alle operazioni civili e militari e otto uffici che si occupano delle field activities, che vanno dall’ufficio risorse umane del Pentagono all’ufficio dei Servizi, a cui fa capo ad esempio, anche la gestione degli asili nido per i bambini dei dipendenti e dei dipendenti dei centri commerciali presenti all’interno del DOD.
All’interno di ogni dipartimento troviamo sia del personale civile, che svolge soprattutto compiti organizzativi e di raccordo dell’indirizzo politico, sia militare. Il totale di questi impiegati è in media di 25.000 persone.
Il “Pentagon System”
Con il National Security Act del 1947, Truman istituì la nascita del Dipartimento della difesa che, da allora, ha subito una riorganizzazione strutturale soltanto nel 1986, attraverso il Goldwater-Nichols Act.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il governo statunitense, guidato allora dal presidente Harry S. Truman, comprese che il comparto militare costituiva il vero motore economico del Paese, messo già in moto dall’immenso programma di investimenti della Seconda guerra mondiale. Teoricamente però, l’altissima produttività di questa industria sarebbe dovuta rallentare con la fine della guerra. La soluzione adottata dall’amministrazione Truman fu, allora, quella di impiegare i principi dell’economia keynesiana all’industria militare, così da continuare a investire con grandi spese sul bilancio della Difesa e non far recedere l’economia degli Stati Uniti. Proprio come il presidente Roosevelt fece con il New Deal nei primi anni Trenta, dopo la grande crisi economica del 1929. La giustificazione per questo incessante aumento della spesa militare, nonostante la fine della Seconda guerra mondiale, fu la minaccia di un nuovo nemico: il comunismo in Unione Sovietica e, quindi, l’inizio della Guerra fredda e della “dottrina del contenimento”.
Dal 1947 e in modo predominante fino alla fine degli anni Ottanta infatti, la politica industriale statunitense si basò sul cosiddetto Pentagon System, un meccanismo economico-politico-militare che, operando su vari livelli, è stato il pilastro dell’economia del Paese.
Il Sistema Pentagono aveva il compito infatti di mettere in moto l’insieme produttivo del Paese, in funzione di quelle che erano le richieste provenienti dal Dipartimento della difesa. Per assolvere a questa funzione, il Pentagono agiva su due fronti: uno interno e l’altro esterno, entrambi a supporto l’uno dell’altro. Il fronte esterno impiegava il Pentagono da un punto di vista politico e decisionale, nelle operazioni militari e in quella che è stata la strategia della deterrenza nucleare negli anni della Guerra fredda. Il fronte interno agiva invece come effettivo asset produttivo della corsa agli armamenti che aveva come conseguenza lo sviluppo e il consolidamento dell’economia statunitense.
Nessun politico o economista definì il Pentagon System come una politica industriale, perché per mezzo secolo è stata incorporata e normalizzata dal meccanismo di funzionamento del Dipartimento della difesa. Se a livello internazionale il Pentagon System era considerato come una forza d’intervento, dalle amministrazioni statunitensi esso era ritenuto come un vero e proprio metodo con cui il governo poteva coordinare l’economia privata, fornire welfare alle grandi corporations (soprattutto quelle del comparto militare), sovvenzionarle, indirizzare il flusso di denaro dei contribuenti verso la ricerca e lo sviluppo tecnologico, fornire un mercato garantito dallo Stato per la produzione in eccesso e indirizzare le industrie avanzate per lo sviluppo dei settori civili.
Secondo alcuni storici e analisti, in realtà il Pentagon System non ha abbandonato le scelte politiche statunitensi soprattutto in materia di politica estera e mai lo farà.
Questo è dovuto a un’interazione tra “potere” e “abitudine”, che rende stabile la strategia militare degli Stati Uniti e centrale il ruolo del Pentagono. Per “potere” si intende la dimensione economica relativa di uno Stato e le sue capacità militari. Per “abitudine” si intendono le idee delle élites politiche che arrivano a essere percepite come ovvie, delle scelte assiomatiche fatte in base a dei presupposti non esaminati di volta in volta dai decisori politici. Il potere tecnologico e del comparto industriale-militare ha consentito agli Stati Uniti di perseguire il primato di grande potenza, quindi perché cambiare? O meglio: quanto sarebbe difficile cambiare l’abitudine di percepirsi come una potenza che non è più tale per l’utilizzo della forza? Come spiega Patrick Porter, professore di Sicurezza internazionale e Strategia all’Università di Birmingham, queste abitudini furono perpetrate dalle idee di un consolidato establishment di politica estera noto come “Blob”. Questo soprannome fu reso popolare dall’ex vice consigliere per la sicurezza nazionale Benjamin Rhodes. Il “Blob” è composto da una classe di esperti e commentatori che si preoccupano incessantemente del “collasso dell’ordine della sicurezza statunitense”.
Il “Blob” è emerso proprio durante la Seconda guerra mondiale, quando la crescente potenza degli Stati Uniti generò una domanda di competenze in materia di sicurezza senza precedenti. I funzionari del governo degli Stati Uniti si rivolsero a un gruppo di esperti che formarono una classe coesa e influente. Il loro impegno per il primato degli Stati Uniti nel mondo e quindi per la loro sicurezza è diventato un atto di fede. Come ogni grande strategia, lo sviluppo del primato statunitense richiese significativi investimenti iniziali e ha implicato nel corso degli anni, continui sviluppi anche nella sicurezza nazionale, soprattutto dopo l’11 settembre. Il successo di “Blob”, almeno fino all’11 settembre, è stato quello di erigere il primato degli USA a quello di una grande potenza, attraverso una struttura apparentemente naturale della diplomazia statunitense e non come un vero e proprio sistema economico-militare.
Un potere monolitico
James Carroll, nel suo “House of War: The Pentagon and the Disastrous Rise of American Power”, ci spiega come nessun presidente degli Stati Uniti abbia mai messo davvero in discussione il primato del Pentagono all’interno della politica interna ed estera del Paese. Egli ritiene il motivo di questa scelta anche molto semplice: farlo, significherebbe criticare lo stesso primato di grande potenza con cui gli Stati Uniti sono abituati a guardare loro stessi e, di conseguenza, la loro sicurezza.
Cercare di rimodellare il primato del Pentagono vorrebbe dire poi mettere in discussione dei meccanismi di potere e di lobby che sono ormai dei pilastri dell’economia e della politica estera USA: pensiamo alla lobby delle industrie delle armi o a quella dell’aeronautica e a come queste leghino a doppio filo, ad esempio, la politica statunitense e quella israeliana.
Il giornalista investigativo Isidor Feinstein Stone scrisse: “le amministrazioni vanno e vengono, ma il Pentagono resta a capotavola”.
Fonti e approfondimenti
Chomsky N., “Year 501: The Conquest Continues”, Haymarket Books, edizione 2015.
Directorate for Organizational Policy and Decision Support, Organization and Management of the Department of Defense, Resource Fuide v. 3.2, marzo 2019.
Kuzmarov J., “The improbable militarist: Jimmy Carter, the Revolution in Military Affairs and limits of the american two-party system”, Class, Race and Corporate Power, Vol. 6, No. 2, 2018.
Porter P., Why America’s Grand Strategy has not changed, International Security, Vol. 42, No. 4, 2018, pp. 9-46.
Sánchez Hernández C., “El Pentagon System y el complejo militar-industrial estadounidenses”, Nómadas. Revista Crítica de Ciencias Sociales y Jurídicas, Vol. 23, No. 3, 2009.
Editing a cura di Cecilia Coletti