L’ascesa politica delle chiese evangeliche latinoamericane – Prima parte

A partire dagli anni Settanta, il peso delle chiese evangeliche è cresciuto rapidamente in America latina. Il numero di proseliti di tali movimenti è aumentato soprattutto grazie alla perdita di attrattività della proposta religiosa offerta dalla Chiesa cattolica. Negli anni Ottanta, gli evangelici hanno compiuto il passo successivo, affacciandosi per la prima volta sulla scena politica. Solo negli ultimi due decenni, però, i partiti tradizionali hanno compreso il peso di questo movimento e ne hanno cercato l’appoggio. Dati l’alto tasso di crescita di questa corrente in tutta la regione e la forza con cui i fedeli evangelici sostengono le proprie idee, il potenziale politico delle chiese evangeliche è tale da poter condizionare il futuro di tutti i Paesi latinoamericani.

Chi sono gli evangelici

Gli evangelici rappresentano un gruppo composito. Per questo motivo, è sempre necessario parlare di chiese evangeliche. Sarebbe errato  anche l’utilizzo del termine Chiesa Evangelica, in quanto – trattandosi di un movimento di matrice protestante – è centrale proprio l’assenza di una rigida struttura istituzionale.

In America latina, per distinguere gli evangelici dagli altri movimenti protestanti, è sufficiente analizzare l’opera di evangelizzazione che questi portano avanti, ossia le strategie con cui la comunità religiosa favorisce la conversione degli “infedeli”. Come spiegato da Pérez Guadalupe, in America latinauna chiesa protestante si definisce evangelica se evangelizza, mentre una chiesa evangelica che ha smesso di evangelizzare si è trasformata in protestante. Questa caratteristica è importante perché è ciò che distingue le Chiese evangeliche latinoamericane da quelle del resto del mondo: negli Stati Uniti, per esempio, il termine evangelico viene utilizzato per identificare i protestanti più conservatori, senza analizzare l’opera di evangelizzazione che questi portano avanti. 

Il boom delle chiese evangeliche in America latina: come e perché

Attualmente, gli evangelici rappresentano il 19% della popolazione della regione, mentre il 69% dei latinoamericani si dichiara ancora cattolico. Tuttavia, è importante sottolineare che molti di coloro che si definiscono cattolici non sono praticanti, fatto che invece non è comune tra gli evangelici. Inoltre, tra il 1970 e il 2014, il 23% della popolazione ha abbandonato il cattolicesimo e il 65% di questi si è convertito all’evangelismo. L’aumento degli evangelici è quindi direttamente collegato all’abbandono del cattolicesimo: i fedeli non si allontanano dalla Chiesa cattolica perché hanno smesso di credere in Dio, ma perché non trovano nell’istituzione le risposte che cercano.

Un ulteriore elemento utile per comprendere la diffusione dell’evangelismo è l’emergere delle cosiddette “chiese evangeliche da garage” diffuse tra le fasce più povere della popolazione e il cui nome deriva dal luogo dove i fedeli normalmente si riuniscono. Mentre il clero cattolico latinoamericano ha sempre osteggiato l’emergere di un movimento laico, gli evangelici hanno favorito la nascita di vari gruppi religiosi, soprattutto nei quartieri più poveri delle grandi città. In queste comunità, gli evangelici offrono una serie di servizi – dagli asili nido al sostegno per i disoccupati – che li aiutano a conquistare la fedeltà della popolazione.

La corrente evangelica del protestantesimo, teologicamente e socialmente conservatrice, è stata inoltre rafforzata dall’arrivo, negli anni Sessanta e Settanta, di molti missionari statunitensi. Durante l’intera Guerra fredda, infatti, la posizione degli evangelici più conservatori è stata sostenuta direttamente dagli Stati Uniti, che vedevano nel gruppo religioso un utile baluardo contro il comunismo.

I primi passi nel mondo politico

Originariamente, gli evangelici rigettavano l’attivismo politico. A partire dagli anni Ottanta, tale impostazione si è trasformata per una serie di fattori. I cambiamenti prodotti all’interno delle denominazioni statunitensi hanno avuto un’influenza diretta su questo processo.

Per le Chiese evangeliche, che cominciavano ad avere membri di seconda e terza generazione, gli anni Ottanta hanno segnato un periodo cruciale di maturazione. Era quindi naturale per il movimento voler partecipare alla vita collettiva, non solo con lo scopo di rivendicare un ruolo attivo nella società, ma anche per favorire la diffusione del proprio messaggio religioso. Anche il crollo del comunismo ha favorito l’ascesa politica degli evangelici: con la fine della Guerra fredda, si è andata attenuando l’idea, tipica dei primi movimenti evangelici, che la politica fosse uno strumento utilizzato dai peccatori, in particolare dai comunisti. 

Il cambiamento è stato anche teologico. Per decenni gli evangelici avevano ritenuto che la seconda venuta del Cristo fosse imminente, scegliendo per tale ragione di non partecipare alle cose “mondane”, tra cui la politica. A partire dagli anni Novanta, sono nate nuove proposte teologiche, che teorizzavano l’apertura – con il nuovo millennio – di un nuovo tempo di prosperità spirituale, che necessariamente avrebbe comportato la conversione degli infedeli. Si è quindi diffuso un certo ottimismo riguardo al futuro. Tale riformulazione ha spinto alcuni evangelici a lavorare per la restaurazione del regno di Dio sulla terra.

Il ruolo della corrente neopentecostale

Per comprendere questo cambiamento è centrale il ruolo della corrente evangelica neopentecostale, emersa a partire degli anni Ottanta e diffusa tra i ceti medi. Dal punto di vista teologico, il neopentecostalismo, noto anche come movimento carismatico, si distingue dalle altre correnti evangeliche perché vede come fondamentali i doni spirituali ricevuti da Dio, noti come “carismi”.

Inoltre, il movimento neopentecostale è meno rigido delle altre correnti evangeliche e non rifiuta le pratiche sociali mondane. Alla base di questo credo vi è la cosiddetta teologia della prosperità, che spinge i fedeli a sfruttare le risorse del mondo, nella convinzione che i veri cristiani abbiano il diritto di godere di tali beni. Particolarmente importante è il fatto che, secondo questa teologia, la povertà è il sintomo dell’assenza dei “carismi” e viene quindi spiegata non come un fenomeno sociale, ma come l’effetto del peccato, mentre la ricchezza viene vista come la prova di una vita in linea con i dettami religiosi.

I neopentecostali in politica

La maggioranza delle Chiese neopentecostali è di recente fondazione. I pastori gestiscono le proprie comunità in maniera rigida: sono gli unici a dirigerne le attività e tutti i beni delle loro chiese sono spesso a nome di società poco trasparenti, dove i leader religiosi e i loro parenti sono gli unici azionisti.

Molti degli evangelici che hanno deciso di intraprendere la scalata politica provengono da queste chiese. I pastori neopentecostali, grazie al capitale ottenuto dai propri fedeli, spesso investono in stazioni radio o canali televisivi. Centrale per questi movimenti è anche l’utilizzo dei social media, che permettono ai leader religiosi di entrare in diretto contatto con i loro fedeli.

Gli obiettivi politici

L’obiettivo principale degli evangelici attivi in politica rimane quello di moralizzare la società e di ricostruirla sulla base di valori religiosi. Sono contrari all’aborto, al matrimonio egualitario e alla cosiddetta teoria del gender, seguendo l’idea di matrice cristiana, secondo cui l’obiettivo degli studi di genere sarebbe quello di distruggere l’ordine “naturale” della società e il ruolo della famiglia tradizionale.

La maggior parte dei politici evangelici ha questa missione religiosa come unico obiettivo. Per questo motivo, quando i candidati partecipano ai dibattiti, emergono spesso la monotematicità dei loro programmi e la loro mancanza di conoscenze tecniche. Gli evangelici hanno spesso posto al centro delle proprie campagne elettorali la promessa di lottare contro la corruzione, grazie alla loro presunta superiorità morale. 

È interessante sottolineare come gli evangelici si siano sempre presentati come movimento contro qualcosa: negli anni Sessanta e Settanta, centrale era la lotta al comunismo e al cattolicesimo, ma – con la fine della Guerra Fredda – l’anticomunismo ha smesso di avere senso e l’anticattolicesimo è passato in secondo piano. Oggi, in molti casi, gli evangelici e i cattolici più conservatori si sono alleati per combattere la diffusione di idee progressiste: in Messico, tale alleanza ha favorito la vittoria di López Obrador, che ha arricchito il suo discorso di messaggi religiosi e si è definito pubblicamente come un “cristiano nel senso più ampio della parola”. 

Le tecniche di partecipazione politica

Gli evangelici hanno elaborato tre strategie principali di partecipazione politica. La prima prevede la fondazione di partiti evangelici, composti e guidati da fedeli, con l’obiettivo di arrivare al governo per diffondere il proprio messaggio religioso. Questa proposta si è rivelata però fallimentare, in quanto gli evangelici non sono riusciti a raccogliere l’appoggio politico dei loro stessi seguaci.

La seconda strategia prevede la creazione di un fronte politico ampio, guidato da fedeli, ma aperto ad altri attori con obiettivi politici simili. Questo approccio è più pragmatico perché accetta attori non evangelici per sfruttarne la popolarità e le conoscenze tecniche. Anche questo modello non ha però ottenuto grandi risultati.

Infine, il modello che al momento si è rivelato più efficace è la creazione di una fazione evangelica, ossia la partecipazione di alcuni leader religiosi all’interno di partiti già esistenti, con l’obiettivo di ottenere una nuova visibilità e migliori possibilità di vittoria. L’obiettivo in questo caso non è quello di arrivare al governo, ma di conseguire un numero di seggi nel parlamento che permetta di esercitare una certa influenza politica. Questo modello è particolarmente di successo in Brasile, dove gli evangelici si candidano in seno a varie forze politiche, per poi riunirsi al Congresso nazionale nel Fronte parlamentare evangelico, con l’obiettivo di bloccare tutte le proposte ritenute immorali. 

Prospettive per il futuro

Sebbene l’avanzata politica degli evangelici possa essere percepita come pericolosa per la laicità degli Stati, due elementi meritano di essere sottolineati. Non sembra al momento che gli evangelici siano disposti a votare per un certo candidato solamente sulla base del movimento religioso che questo rappresenta: non esiste quindi un vero e proprio “voto confessionale”, ossia un gruppo di elettori che voti in modo compatto esclusivamente sulla base del proprio credo. Molto più rilevante è per gli evangelici esprimere un voto in difesa di una certa agenda morale: in questo senso, sembra quindi che sia la politica tradizionale ad aver catturato gli evangelici e non il contrario.

Inoltre, il movimento evangelico è fortemente diviso, sia in termini religiosi che politici. Se quindi è vero che gli evangelici hanno in teoria i numeri per sbilanciare la scena politica in quasi tutti i Paesi della regione, per il momento non sembra che essi abbiano gli strumenti per farlo.

 

Fonti e approfondimenti

Carlos Malamud, La expansión política de las iglesias evangélicas en América Latina, ARI, 26/11/2018.

Gerardo Lissardy, “La fuerza política más nueva”: cómo los evangélicos emergen en el mapa de poder en América Latina, BBC Mundo, 17/04/2018.

Jean-Jacques Kourliandsky, Democracia, evangelismo y reacción conservadora, Nueva Sociedad, 2019. 

José Luis Pérez Guadalupe, Evangelicals and Political Power in Latin America, Konrad Adenauer Stiftung, 2019. 

Redazione, Crece el poder político de los evangélicos en Latinoamérica, El Nuevo Día, 08/12/2019.

 

Editing a cura di Elena Noventa

Be the first to comment on "L’ascesa politica delle chiese evangeliche latinoamericane – Prima parte"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: