“In Colombia, nel giorno della festa della mamma, non ci sono figli con cui celebrare” recita una vignetta di Patancartoon pubblicata da uno dei maggiori quotidiani del Paese andino, El Espectador. Quasi tutte le 47 vittime delle attuali proteste in Colombia avevano tra i 17 e i 26 anni.
A scendere in piazza sono stati soprattutto i giovani, per protestare con un paro nacional (sciopero nazionale) contro la proposta di riforma fiscale del governo di Iván Duque. Lo sciopero ha preso corpo nel pieno della terza ondata di casi da Covid-19, che, con 429 vittime registrate il 20 aprile di quest’anno, si sta dimostrando la più intensa da marzo 2020.
Anche dopo il ritiro del disegno di riforma fiscale da parte del presidente, annunciato il 2 maggio scorso, le proteste non si sono arrestate, a dimostrazione del fatto che le radici dell’attuale conflitto in Colombia sono estremamente profonde e affondano nel passato altrettanto complesso e violento del Paese.
Il pretesto: la riforma fiscale
Le proteste sono iniziate la mattina del 28 aprile 2021, quando, in 800 comuni del Paese, i colombiani sono scesi in piazza per manifestare contro il disegno di riforma fiscale in fase di approvazione da parte del congresso. La “Ley de la solidaridad sostenible” (legge della solidarietà sostenibile) mirava a raccogliere il corrispondente di circa 5 milioni di euro per finanziare il programma di “Ingreso Solidario”, una sorta di reddito di cittadinanza per i cittadini in situazione di maggiore vulnerabilità.
La riforma avrebbe introdotto l’IVA al 19% su 98 prodotti e servizi di prima necessità, andando a gravare principalmente sulla classe media colombiana. È stata in particolare la classe media, sempre più impoverita dalla pandemia e dalla conseguente recessione economica, a scendere in piazza.
Dopo giorni di sanguinose proteste, il presidente Duque ha annunciato che avrebbe ritirato la riforma dal tavolo del Senato, aprendo le negoziazioni per un nuovo disegno di legge.
Il passo indietro di Duque non è bastato. Le proteste non solo sono continuate, ma si sono acuite, paralizzando la produzione, l’approvvigionamento e il trasporto di beni di prima necessità nel Paese. Ritirare il disegno di riforma fiscale è stato come aprire il vaso di Pandora.
Le radici del conflitto: povertà e servizi essenziali
Le motivazioni che si celano dietro a tale rabbia civica fanno capo a una serie di nodi ricorrenti nel passato nazionale. La prima ragione è identificabile in una diffusa sfiducia nei confronti del modello economico attuale. Si teme che la nuova promessa riforma fiscale possa essere partorita sulla falsariga di quella appena ritirata, con l’introduzione di un’imposta sul reddito per i cittadini che, con un introito di 545 euro al mese, appartengono alla classe media del paese.
In America latina, il concetto di “classe media” si riferisce a gruppi di cittadini con un’istruzione tecnica o superiore impegnati in settori formali e non manuali. Questa fascia di popolazione si distingue nettamente dalla classe bassa, per lo più occupata nell’economia informale e in trabajo de calle (lavoro di strada) con introiti giornalieri che variano tra i 6 e i 40 euro al giorno ed esonerati dal pagamento di imposte. Il paradosso di questa divisione sta nelle difficoltà economiche che la classe media affronta concretamente, a dispetto della reputazione (e dei debiti) che si trova a sostenere. In Colombia, secondo il DANE (Dipartimento amministrativo nazionale di statistica), la classe media guadagna tra i 450.000 e 3.520.360 pesos (equivalenti a 100-780 euro) al mese: un reddito che, per lo più aggravato da oneri fiscali, è inadeguato rispetto al costo della vita e insufficiente per accedere ai servizi di base, pesantemente privatizzati.
In questo contesto, il processo di progressiva privatizzazione di aziende pubbliche, così come di settori come sanità e istruzione iniziato nel 2019 dal governo Duque, rappresenta un ulteriore ostacolo per l’accesso ai servizi primari.
Duque non è l’unico fedele sostenitore del settore privato. Anche il suo ex ministro delle Finanze, Alberto Carrasquilla (che ha dato le dimissioni proprio con il ritiro della riforma fiscale) è famoso per la sua ortodossia neoliberista a favore delle grandi imprese. Duque e il suo partito, notoriamente finanziato da colossi del settore privato, il Centro Democratico e, soprattutto, Carrasquilla rappresentano il modello economico che le proteste cercano di seppellire.
Lo stesso modello economico è visibile, del resto, nella proposta di riforma sanitaria attualmente in fase di elaborazione al Congresso, a cui i manifestanti si oppongono apertamente. Il disegno di legge 010 del 2020 prevede la regionalizzazione del sistema sanitario e, riaffermando l’intermediazione di enti assicuratori, rinforza la privatizzazione. Herman Bayona, presidente del Medical College di Bogotá, ha dichiarato su RTVE.es che la riforma, che oltretutto sarebbe approvata nel cuore di una pandemia, “deteriora ulteriormente il diritto alla salute”.
Abusi della forza pubblica e brutalità poliziesca
La sfiducia dei manifestanti nei confronti del governo oltrepassa però la sfera economica: si protesta anche nei confronti degli abusi della forza pubblica, istituzione chiave in un Paese con alle spalle 60 anni di conflitto armato. In 16 giorni giorni di proteste, l’ONG Temblores ha documentato più di duemila casi di brutalità poliziesca e sta indagando sulla morte dei 47 manifestanti, in gran parte aggrediti dalla polizia. Negli ultimi decenni, gli episodi di abusi da parte della forza pubblica sono tanto ricorrenti nel Paese da diventare quasi strutturali. Nel settembre 2020, 13 persone sono state uccise a Bogotà per mano delle ESMAD (Squadre mobili anti-sommossa). Solo tra gennaio e il 28 marzo 2021, sono stati registrati 146 abusi e 13 morti. Di fronte alla sistematica repressione della polizia, i manifestanti oggi si battono contro la criminalizzazione delle proteste da parte dello Stato. Rivendicano inoltre una riforma della polizia, compreso lo smantellamento degli ESMAD.
Il fardello di un modello economico sbilanciato e l’urgenza di una riforma della polizia, si ripercuotono sul piano sociale. La richiesta di rinnovamento è percepita con grande forza in un momento in cui le falle nella democrazia alimentano le disuguaglianze.
La generazione che oggi guida le proteste di piazza è cresciuta in un Paese in guerra. Molti giovani hanno perso coetanei, annoverabili tra i 6402 falsi positivi degli anni di Uribe – giovani civili uccisi dall’esercito tra il 2002 e il 2008 nei quartieri popolari e considerati dalle autorità militari come “vittime in combattimento”. Oggi i manifestanti marciano affinché la politica faccia veramente i conti con l’eredità del conflitto e faccia passi concreti nella garanzia dei diritti e dei servizi sociali di base. Tale concetto di democrazia può essere raggiunto, secondo i colombiani che scendono in piazza, solo rispettando l’accordo di pace con i guerriglieri delle FARC, firmato nel 2016 dall’allora presidente Juan Manuel Santos con i guerriglieri delle FARC, ma mai attuato. Sfiducia nelle istituzioni e brutalità poliziesca sono solo la punta dell’iceberg.
La questione agraria
Da quasi 60 anni, la Colombia sta attraversando un conflitto strutturale che ha alle sue radici le complessità della cosiddetta “questione agraria”. Questa consiste in profonde asimmetrie nella distribuzione delle terre: intere porzioni del Paese sono nelle mani di un limitato numero di terratenientes, proprietari terrieri. Gli appartenenti a questa élite fondiaria non solo si presentano come unici detentori del potere economico locale, ma anche come pilastri portanti della politica nazionale. La violenza endemica nella Colombia rurale (principalmente basata su metodi che Ana Cristina Vargas definisce di “terrore” o “controviolenza preventiva”) ha contribuito in maniera essenziale alla salvaguardia di questo sistema neofeudale di organizzazione della proprietà fondiaria.
La mancata attuazione dell’accordo di pace del 2016 ha aperto la strada a un aumento degli omicidi e dei casi di mutilazioni di leader sociali nelle regioni più remote del Paese. Tali massacri si sommano alla nascita di nuove strutture criminali, alla permanenza di gruppi paramilitari e al consolidamento dei cartelli della droga. Il tutto esposto a una dialettica politica sempre più polarizzata.
Il giornalista Ezra Klein ha scritto che la polarizzazione ha la caratteristica di acuire le differenze ideologiche fino a renderle inconciliabili. In Colombia questa tendenza si è acuita in corrispondenza delle negoziazioni legate al processo di pace con le FARC. Juan Carlos Rodríguez, direttore dell’Osservatorio della Democrazia, scrive:
«Nel momento in cui sono state annunciate le fasi pubbliche dei colloqui del governo Santos con le FARC (2012), si è verificata una rottura politica interna, con due discorsi politici, uno a favore e uno contrario, contrapposti attorno al processo di pace. Questo ha generato una divisione dall’alto che è stata gradualmente trasmessa alla società in generale»
generando discorsi polarizzati non solo sui temi della pace e del post-conflitto, ma anche sul ruolo dello Stato nell’economia e sulla fiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche. Oggi, questa stessa polarizzazione narrativa è alla base dell’incomunicabilità tra le parti che dopo settimane di proteste e 47 morti non riescono ad arrivare a una negoziazione.
Un compromesso difficile da ottenere
L’incontro di oltre tre ore tenutosi lunedì 10 maggio tra il presidente Duque e il Comitato nazionale delle mobilitazioni, si è concluso con una fumata nera. I manifestanti non accettano compromessi con un governo che definiscono corrotto, mentre nella stanza dei bottoni, i rappresentanti dello Stato sono determinati a non fare concessioni sostanziali ai manifestanti, che etichettano come vandali e infiltrati della milizia urbana.
Mentre la polarizzazione del discorso si fa sempre più pronunciata, le Nazioni Unite si propongono di mediare una nuova negoziazione, affermando che un accordo è necessario non solo per arrivare a una concretizzazione del processo di pace, ma anche per garantire una maggiore accessibilità ai servizi essenziali e una effettiva legittimazione del diritto alla protesta. Un primo passo avanti pare essere stato fatto venerdì 14 maggio con l’accettazione, da parte dei leader delle proteste, dei termini di negoziazione dell’Esecutivo.
Fonti e approfondimenti
Centro Nacional de Memoria Histórica: http://www.centrodememoriahistorica.gov.co/
Colombia Check, Los más de cien empresarios que financiaron la campaña de Duque, Zoom al Billete, 2018.
Francesco Betrò, Presidenziali Colombia: la partita si giocherà sull’accordo con le FARC, Lo Spiegone, 26/05/2018
Francesco Betrò, Intensità e violenza nel conflitto tra FARC e Colombia, Lo Spiegone, 19/06/2019
Forbes, Personas con ingresos entre $653.781 y $3,5 millones al mes son clase media Forbes Colombia, 6/05/2021.
Human Rights Watch, Colombia: Abusos policiales en el contexto de manifestaciones multitudinarias, Human Rights Watch, 10/07/2020.
Laura Gómez Díaz, Jóvenes, Indígenas y transportistas protestan en Colombia, rtve, 07/05/2021.
Legis Comunidad Contable, ¿Qué es la reforma tributaria?, Legis Comunidad Contable.
Semana, Colombia rompe récord de muertes por covid este 20 de abril del 2021, Semana, 14/05/2021.
Observatorio de la democracia, De qué va la polarización en Colombia, 30/05/2019.
Portafolio, El plan del Gobierno para privatizar empresas estatales, Portfolio, 10/07/2019.
Portafolio, ‘Sin humo blanco’ terminó reunión entre Gobierno y Comité de Paro, Portafolio, 12/05/2021
Radio Nacional de Colombia, Temblores ONG reportó 940 casos de abuso policial durante manifestaciones, RTVC, 03/05/2021.
Seguimiento, ONU extiende mandato para seguir vigilando el cumplimiento del Acuerdo de Paz de Colombia, Seguimiento, 13/05/2021.
Stephen Metcalf, Ezra Klein’s “Why We’re Polarized” and the Drawbacks of Explainer Journalism, 11/05/2020.
Vargas, Ana Cristina. 2019. “Colombia. Antropologia di una guerra interminable”. Rosenberg & Sellier.