Álvaro Uribe, il presidente più amato e odiato dai colombiani

Remix foto da Vectormaps, Milenioscuro, Centro Democratico e DEA

Nel giugno dell’1983, l’imprenditore colombiano Alberto Uribe Sierra viaggiò, insieme ai figli Santiago e María Isabel, su un elicottero privato verso una delle haciendas di cui era proprietario, Guacharaca, in Antioquia. Atterrato sul luogo, venne sorpreso da un’incursione del fronte 36 delle Forza Armate Rivoluzionarie della Colombia (Farc-Ep). Dato il grido d’allarme, tirò fuori dalla cintura una pistola e cominciò a sparare contro i guerriglieri. Santiago, ferito a una spalla, si buttò in un fiume e sopravvisse; María Isabel si nascose. Il padre, invece, non riuscì a scamparla: morì a 51 anni.

Il figlio maggiore, Álvaro, all’epoca trentenne, noleggiò un elicottero per raggiungere il luogo dello scontro, ma non poté atterrare per il maltempo. Quella tragedia familiare segnò irrimediabilmente il resto della sua vita e contribuì ad alimentare il suo odio nei confronti delle guerriglie. Quasi 20 anni dopo, nel 2002, sarebbe diventato presidente della Colombia, promettendo ai suoi elettori di risolvere il conflitto con le maniere forti. I suoi dieci anni al potere segnarono una svolta nella politica colombiana: il vecchio bipartitismo rappresentato da conservatori e liberali non esisteva più. Al suo posto, l’uribismo contro l’antiuribismo.

L’inizio della carriera politica

Álvaro Uribe Vélez trascorse la maggior parte della sua infanzia nei possedimenti della famiglia a sud-est dell’Antioquia, la regione di Medellín, dove era nato il 4 giugno del 1952. Dal padre, allevatore e proprietario terriero di successo, ereditò la severità che lo ha contraddistinto nella sua lunga carriera. La madre, Laura Vélez, lo introdusse alla politica: come attivista liberale fu tra le prime donne a votare nel 1957, l’anno del plebiscito popolare per la costituzione del Frente Nacional.

Dopo la separazione dei genitori, Uribe si iscrisse alla facoltà di Diritto dell’Università dell’Antioquia nel 1970. A quel periodo risale la prima lotta del futuro presidente contro la sinistra. Militante della gioventù liberale, si alleò con i conservatori per creare il Movimento per la Normalità Accademica e opporsi con successo a uno sciopero studentesco.

La scalata verso la Plaza Bolivar di Bogotà, sede del governo, iniziò subito dopo aver terminato gli studi. Prima svolse il ruolo di capo dei beni delle imprese pubbliche di Medellín nel 1976, poi passò al ministero del Lavoro nel ‘77 come segretario generale e nell’80 approdò all’Aeronautica Civile da direttore. Qui cominciò a far parlare di sé, per il semplice fatto di esserne uscito senza un graffio. I due predecessori erano stati uccisi per aver chiuso piste clandestine utilizzate dai narcotrafficanti nelle rotte della droga. Ci si attendeva lo stesso destino per Uribe, ma ciò non avvenne. Per gli oppositori non c’era altra spiegazione: aveva un legame con i cartelli.

Le stesse accuse si ripresentarono due anni dopo, quando venne designato sindaco di Medellín dal presidente Belisario Betancur, come voleva la legge colombiana prima della riforma del 1988, che introdusse le elezioni locali. Lasciò l’incarico quattro mesi dopo, secondo alcuni intimato dal capo di Stato di dimettersi per la sua vicinanza ai narcos. Da quel momento, Uribe si candidò a varie elezioni, vincendole praticamente tutte. Come candidato del Partito Liberale, tornò a Medellin da consigliere comunale tra l’84 e l’86, poi giunse in Senato, dove rimase fino al 1994. Lì si fece strada come principale promotore della Ley 100, alla base del sistema sanitario nazionale prevalentemente privatizzato. 

L’ascesa al governo dell’Antioquia

Alle elezioni regionali del 30 ottobre 1994, Uribe riuscì a ribaltare il risultato e a prendere il comando dell’Antioquia. Nei suoi tre anni di gestione è passato alla storia per aver contribuito alla formazione delle Convivir, una rete di gruppi che offrivano vigilanza privata a una comunità sotto retribuzione. In realtà, si trattava di eserciti privati utili ai grandi proprietari terrieri per difendere i loro possedimenti dalle aggressioni delle guerriglie. In questa specie di inquadramento legale rientravano i gruppi paramilitari, particolarmente diffusi all’epoca e capitanati dalle Autodefensas Unidas de Colombia (Auc) dei fratelli Castaño

I primi nuclei paramilitari nacquero all’inizio degli anni Ottanta sotto la protezione dei narcotrafficanti. Più avanti si trasformarono in uno strumento di repressione anche nei confronti di coloro considerati simpatizzanti delle guerriglie, tra cui contadini, dirigenti sindacali e attivisti. Nel 1997, il procuratore Ivan Velásquez coordinò un’investigazione chiamata Parqueadero Padilla dedicata ai finanziamenti del Bloque Metro, uno dei fronti delle Auc. Secondo alcune testimonianze, sarebbe sorto proprio nell’hacienda dove morì il padre di Uribe.

L’avvocato e attivista Jesús María Valle incontrò il governatore per chiedergli aiuto: alcuni paramilitari provenienti dai Convivir stavano assassinando cittadini accusati di essere alleati delle guerriglie. Di fronte al silenzio di Uribe, Valle denunciò pubblicamente il suo legame con le Forze Armate e i paramilitari nei massacri avvenuti a El Aro e La Granja, dove morirono circa 20 persone. Qualche giorno dopo, fu assassinato nel suo ufficio.

Dal settembre 2020, la procura ha in mano le indagini preliminari sulla responsabilità di Uribe nei fatti di El Aro e La Granja, nel massacro di San Roque e nell’omicidio di Valle. Tutti questi eventi sono avvenuti durante il suo mandato regionale.

Il ruolo di San Vicente del Caguán

Uribe lasciò la Colombia per studiare a Oxford in uno degli anni più convulsi della storia recente del Paese andino. Nel 1998, si concluse il mandato di Ernesto Samper, coinvolto nello scandalo di tangenti denominato Proceso 8000. La sua campagna elettorale era stata finanziata dai soldi del narcotraffico, indignando le Farc, che rifiutarono ogni contatto con un capo di Stato considerato illegittimo. Per questo motivo i cittadini scelsero come successore Andrés Pastrana, intenzionato a intavolare un dialogo con la guerriglia più longeva dell’America latina.

Una parte del grande successo di Uribe nelle successive elezioni del 2002 si deve proprio al fallimento dei dialoghi proposti da Pastrana, avvenuti a San Vicente del Caguán. Le Farc si accordarono con il governo per la concessione di una zona de despeje, un’area neutrale di 42.000 chilometri quadrati senza condizioni né regole. Una tattica che i guerriglieri sfruttarono per riorganizzarsi ed espandersi ulteriormente. 

Di ritorno da Oxford, Uribe promosse come candidato liberale alla presidenza Horacio Serpa, ma cambiò idea quando seppe del suo appoggio alle trattative di San Vicente. A quel punto, da completo sconosciuto, si presentò come indipendente con il partito Primero Colombia. Alla fine del 2000, i sondaggi lo davano al 4%, ma era solo l’inizio di una repentina scalata verso il vertice.

Carlos Duque, che aveva gestito la campagna elettorale di Luis Carlos Galán nel 1989, divenne l’acquisto fondamentale del nuovo astro nascente della politica colombiana. È lui l’ideatore dell’iconica foto di Uribe intento a guardare verso l’orizzonte con la mano sul cuore sotto lo slogan “mano firme, corazón grande. Data la scarsa considerazione della televisione nazionale, trovarono nelle radio e nelle reti locali una piattaforma di espressione e alla fine, come disse l’ex ministro delle Finanze Rudolf Hommes, Uribe “si intrufolò nei media senza che questi se ne rendessero conto”. 

L’elezione alla presidenza

Il candidato di Primero Colombia era presente su ogni fronte. Passava di villaggio in villaggio approfittando della sua prodigiosa memoria per ricordare con gli autoctoni gli eventi epocali del luogo, da attentati a catastrofi naturali. Si fece velocemente strada proponendosi come primo vero oppositore di un dialogo con le guerriglie. Uribe reclamava il ritorno dello Stato nella gestione del monopolio della violenza per far fronte al “nemico pubblico”. Più che un presidente, si presentava come “primo soldato della Colombia”. Come viene riportato nel libro La culebra sigue viva: miedo y política, il sociologo Alfredo Molano sosteneva l’importanza dell’utilizzo della “carta della guerra” per la vittoria, così come per Pastrana fu necessaria invece la “carta della pace”.

Ma i colombiani erano stanchi di cercare la pace e per questa ragione Serpa non poteva rappresentare il sentimento crescente dell’opinione pubblica. Il candidato liberale aveva appoggiato Samper come ministro e lavorato per i dialoghi con le guerriglie nei governi Betancur, Trujillo e Pastrana. La sua carriera, in questo caso, giocava a suo sfavore.

Con l’attentato alle Torri Gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001, la popolarità di Uribe subì una forte accelerata. Il conflitto interno colombiano si stava infatti inserendo all’interno della minaccia internazionale del terrorismo, favorendo il discorso del prossimo presidente. Da quel momento, lo spazio concesso in televisione e nelle radio aumentò radicalmente così come l’apprezzamento nei sondaggi, che a marzo del 2002 lo davano al 60%. Gli fu sufficiente per vincere al primo turno: nella storia del Paese non aveva mai trionfato un candidato che non fosse liberale o conservatore

Il giorno dell’insediamento, le Farc compirono quello che secondo un editoriale di El Espectador fu un “errore storico”: l’assalto al palazzo del governo che causò 21 morti e 65 feriti. La guerriglia aveva già tentato di attaccare Uribe in campagna elettorale durante un atto a Barranquilla, in cui quattro persone persero la vita. L’anno seguente, un attentato al Club El Nogal della capitale provocò 36 morti. Il neopresidente accusò le Farc, che rifiutarono ogni tipo di responsabilità, pur considerando il luogo un ritrovo di politici legati al paramilitarismo. Il conflitto entrava in una delle sue fasi più violente.

La seguridad democrática

Durante il primo mandato, Uribe raggiunse un livello di apprezzamento enorme proseguendo con la stessa tattica della campagna elettorale. Creò i consejos comunitarios, una serie di incontri in vari municipi per ascoltare le richieste dei cittadini, e comparse continuamente sui media. Così convinse il Paese della necessità di una maggior presenza dell’esercito per contrastare l’azione delle guerriglie, nella politica che prese il nome di Seguridad Democratica.

Si trattava di un pacchetto di iniziative già esposto nel Manifiesto Democrático, il programma della campagna elettorale. Tra le proposte, uno “statuto antiterrorista” che facilitasse la detenzione e la cattura dei guerriglieri, il potenziamento delle Forze Armate e, soprattutto, un maggiore coinvolgimento dei colombiani. Con l’aumento dei fondi per la difesa, Uribe ideò i soldati campesinos e il “giorno della ricompensa”. Ogni lunedì, il governo premiava i cittadini che avevano aiutato lo Stato con informazioni essenziali alla prevenzione degli attentati o alla cattura dei responsabili. 

Il Plan Colombia

L’inserimento del conflitto interno nella guerra al terrore del presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, conferiva alla repressione militare di Uribe legittimità internazionale. Il suo predecessore, Pastrana, aveva firmato con Bill Clinton il Plan Colombia, un accordo per finanziare l’eradicazione della droga e impedire il traffico della cocaina verso nord. Si sviluppò nell’arco di 12 anni per un costo totale di 8 miliardi di dollari, che hanno in parte rafforzato l’esercito. Con l’avvento di Bush alla Casa Bianca, la guerra al narcotraffico si trasformò in guerra al terrorismo. 

In un anno, la coltivazione di coca crebbe del 27% nella regione di Putumayo. La campagna di eradicazione in molti casi ebbe l’effetto di danneggiare l’ambiente e la salute dei contadini, che spostarono i campi altrove. Ma gli investimenti statunitensi servirono a Uribe per rispettare la promessa della “mano firme” fatta agli elettori. Anche per questa ragione appoggiò la guerra in Iraq e permise a Barack Obama di aprire sette basi militari in territorio colombiano.

Il presidente lanciò subito un messaggio alle guerriglie. Dodici ore dopo l’insediamento, si recò a Valledupar, nel nord del Paese, per inaugurare la creazione di una sorta di esercito per il controllo delle strade: vigilantes de carreteras. Poi dichiarò lo stato d’allarme.

Alla base del suo programma c’era la convinzione che restaurando l’ordine si potessero attirare investimenti stranieri. L’economia colombiana crebbe del 6,7% tra il 2005 e 2007 ma si concentrò nel settore minerario e negli idrocarburi, dove lavorava solo l’1% della popolazione. Dopo il secondo mandato, più di sette milioni di persone guadagnavano meno del salario minimo, i poveri arrivarono a 20 milioni, gli indigenti a 8 milioni.

Riscatto umanitario contro intervento militare

L’opinione pubblica colombiana si divideva su quale fosse la forma migliore per liberare gli ostaggi delle guerriglie. Gli uribisti hanno sempre difeso l’azione militare, spesso spingendo le Farc a uccidere i propri prigionieri, come il governatore dell’Antioquia Guillermo Gaviria. Diverso il caso dell’ex candidata alla presidenza Ingrid Betancourt, tre statunitensi e 11 militari che il governo riscattò nell’intervento passato alla storia come Operación Jaque. 

Nel 2007, il professore Gustavo Moncayo, padre del sottufficiale sequestrato Pablo Emilio, intraprese un viaggio di mille chilometri a piedi fino alla Plaza Bolivar, dove si accampò per esigere un accordo umanitario. Uribe parlò con lui per quattro ore, ma fu la senatrice di sinistra Piedad Córdoba a mediare con le Farc fino a ottenere la liberazione nel 2010. 

Lo scontro con le guerriglie provocò problemi con i vicini. Nel 2004, l’esercito colombiano arrestò a Caracas Rodrigo Granda, membro delle Farc, causando un incidente diplomatico con Hugo Chávez. Ancora più grave fu l’uccisione in territorio ecuadoriano di Raúl Reyes e di altri 22 guerriglieri nell’Operación Fénix, dove morirono anche quattro studenti messicani. Per la violazione della sovranità territoriale, l’Ecuador chiese un mandato di cattura internazionale per l’allora ministro della Difesa, Juan Manuel Santos.   

Lo smantellamento dei paramilitari

Nonostante il clima di tensione con il governo, le Farc riaffermarono la volontà di riaprire le trattative anche subito dopo l’elezione di Uribe. Il presidente mise sullo stesso piano paramilitari e guerriglie, associandoli al terrorismo, e sollecitò la mediazione del segretario dell’Onu, Kofi Annan, per intessere un dialogo. Ma la proposta fu considerata dalle Farc una dichiarazione di guerra totale, un tentativo di delegittimare il loro ruolo politico, spogliando lo Stato di qualsiasi responsabilità. In cambio, richiesero la demilitarizzazione di un’area più grande della zona de despeje dell’epoca Pastrana, l’esclusione dal linguaggio dei termini “terroristi” e “narcoterroristi” e la smobilitazione dei paramilitari. 

Le Auc dei fratelli Castaño accolsero invece con interesse l’idea di un dialogo, che iniziò formalmente con la firma dell’accordo di Santa Fe de Ralito nel 2003. L’obiettivo consisteva nello smobilitare tutti i paramilitari entro due anni e favorire il loro reinserimento nella società. Le trattative proseguirono con qualche intoppo: i Castaño fuggirono per occupare la zona di Ralito accusando il governo di non essersi impegnato nel garantire la sicurezza contro l’arrivo dei guerriglieri. Alla fine, il patto venne sancito con l’inquadramento giuridico dato dalla Ley de Justicia y Paz.

18.000 membri delle Auc deposero le armi e affrontarono pene tra i 5 e gli 8 anni anche in caso di delitti gravi: bastava confessare parzialmente le proprie azioni. Questa condizione attirò le critiche di chi considerava la legge una garanzia per l’impunità. Altri 14 capi paramilitari scontarono le loro pene estradati negli Stati Uniti, per alcuni uno stratagemma di Uribe per impedire che rivelassero legami con il governo. Chi non si prestò al meccanismo fondò nuove bande criminali, tra cui le Bacrim, un gruppo implicato nel traffico di droga.

La rielezione

La Costituzione del 1991 stabiliva il mandato unico ma già dalla metà del primo periodo presidenziale cominciarono a girare voci su una modifica che avrebbe permesso a Uribe di ricandidarsi. Poco prima di insediarsi, aveva lasciato intendere che non ci avrebbe provato. Tuttavia, un gruppo di congressisti dalla sua formazione si mobilitò per attivare il processo. Tra i più attivi c’era Mario Uribe, cugino del presidente, che promosse la riforma come un “avanzamento democratico”

Nel 2004, Uribe uscì allo scoperto ammettendo l’intenzione di ricandidarsi per impedire l’interruzione della Seguridad Democrática, che avrebbe provocato, a suo dire, un nuovo periodo di auge guerrigliero. I suoi alleati avevano preparato un piano b, il referendum popolare, ma non ce ne fu bisogno: la modifica dell’articolo della Costituzione passò. Solo nel 2008 si scoprì che dietro l’approvazione c’erano i decisivi accordi sottobanco con i deputati Yiddis Molina, che votò a favore in cambio di tangenti, e Teodolindo Avendaño, che non si presentò in aula. Molina fu condannata per corruzione. 

La Colombia riconfermò al potere Uribe, che nel frattempo aveva fondato il Partido de la U (Partito Sociale di Unità Nazionale), con il 62% dei voti. Il linguaggio del presidente si fece sempre più aggressivo nei confronti di oppositori, alcuni chiamati “guerriglieri in abiti civili”, e ONG. La mania di controllare ogni mossa degli avversari trasformò il Departamento Administrativo de Seguridad (Das) in una specie di servizio di spionaggio. Nel 2007, il Paese scoprì che il Das aveva intercettato giornalisti, magistrati e oppositori nello scandalo chiamato chuzadas, portando all’arresto di vari esponenti dell’organo. “Nessuno può dire di aver ricevuto neanche una parola da me per violare la legge”, disse il presidente.

Lo scandalo della parapolítica

Nello stesso tumultuoso periodo scoppiò il caso della parapolítica, un altro celebre scandalo del secondo mandato che portava allo scoperto i legami dei politici con i paramilitari. Alcuni dei combattenti smobilitati avevano rivelato il modus operandi delle loro azioni: difendevano le élite economiche e imprenditoriali spogliando i contadini delle loro terre e silenziando sindacalisti, leader sociali e attivisti per i diritti umani. Un programma nazionale di sussidi per i piccoli produttori agrari era stato filtrato dai narcotrafficanti e dai grandi proprietari terrieri in un’impresa criminale che connetteva le Auc e altri gruppi al supporto politico. Alcuni parlamentari, sindaci, governatori e funzionari avevano inoltre firmato con loro un patto per “rifondare la patria”. Oltre 30 deputati finirono in manette.

Appellandosi di nuovo alla possibile “ecatombe” che avrebbe causato la fine della Seguridad Democrática, Uribe tentò ancora di ricandidarsi. Questa volta, però, la Corte Costituzionale si dichiarò contraria. Finiva così il periodo da presidente, ma non l’uribismo. 

I falsi positivi

Alla fine del 2008, il ministro della Difesa Juan Manuel Santos, affrontò il caso dei falsos positivos licenziando 27 “mele marce” dell’Esercito. Con l’espressione “falsi positivi” si intendono gli omicidi arbitrari eseguiti dalle Forze Armate ai danni di civili fatti passare per guerriglieri caduti in battaglia. La Jurisdicción Especial para la Paz (Jep), uno degli organi sorti dall’accordo di pace tra Farc e governo nel 2016, ha elevato la cifra delle vittime da 2.248 a 6.402. Alcuni testimoni hanno raccontato di pressioni interne per aumentare il dato dei morti e ottenere in cambio ricompense. 

Per l’accaduto Uribe è stato denunciato dalle Madri di Soacha, un collettivo che riunisce parenti dei falsi positivi. L’Esercito aveva reclutato i figli e i fratelli di queste donne con la promessa di un lavoro: non sapevano che sarebbero andati incontro a morte certa. Il presidente arrivò a dire che “per essere stati uccisi, sicuramente non stavano raccogliendo caffè”. Parte dei corpi sono stati rinvenuti a Dabeida, in una fossa comune.

Organi come la Jep fanno parte del sistema giuridico speciale sorto dopo gli accordi di pace, promossi proprio da Santos. Uribe, che l’aveva scelto come suo successore, ruppe i rapporti con lui perché contrario a ogni concessione a favore delle Farc e da anni chiede di cancellare tutto il sistema creato per la transizione pacifica. La campagna per il no al referendum del 2016 vinse soprattutto grazie alla sua influenza, ancora enorme, ma dopo alcuni cambi il processo venne portato ugualmente a termine.

Santos, che governò per due mandati fino al 2018, si era ormai impossessato del Partido de la U. Uribe decise quindi di crearne un altro, il Centro Democrático, con cui diventò senatore nel 2014. Con la stessa piattaforma ha lanciato il ritorno dell’uribismo attraverso la candidatura di Iván Duque, uno sconosciuto diventato presidente nel 2018 e attualmente sotto accusa per la repressione violenta delle proteste scaturite dalla sua riforma fiscale. 

Il declino

Paradossalmente, l’unico processo contro Uribe che per il momento ha avuto conseguenze, seppur minime, è stato iniziato da lui stesso. Nel 2012, il senatore di sinistra Iván Cepeda stava preparando alcuni dibattiti nel Congresso per dimostrare il legame dell’ex presidente con i paramilitari. Viaggiò fino a Guacharacas, dove raccolse la testimonianza di Juan Guillermo Monsalve, un ex paramilitare che confermò la creazione di un gruppo di autodifesa nella stessa finca. A quel punto, Uribe lo denunciò accusandolo di ordire un complotto con falsi testimoni. Nel 2018 avvenne il colpo di scena: il tribunale assolse Cepeda e aprì un caso contro il senatore del Centro Democrático per manipolazione di testimoni. 

Nell’agosto del 2020, la Corte Suprema ha ordinato in via preventiva gli arresti domiciliari, annuncio che ha costretto Uribe a lasciare il suo seggio in Senato. Poco dopo, un giudice ha rettificato la decisione e gli ha concesso la libertà spostando il caso dal Supremo alla Fiscalía. Questa ha deciso di far cadere le accuse perché “le prove stabiliscono che varie delle condotte attribuite all’ex senatore non hanno la caratteristica di delitto o non si possono attribuire a lui come autore o partecipe”. La decisione in realtà era attesa sia da Cepeda che da altri oppositori senza troppe speranze: il magistrato Francisco Barbosa è un intimo amico di Duque. Adesso dovrà comunque esporre le sue considerazioni di fronte a un altro giudice.

Subito dopo la liberazione, Uribe è tornato a chiedere l’abrogazione della Jep. Dopo 40 anni di politica e numerosi scandali, a 68 anni si trova ancora sulla scena, sempre da protagonista.  

 

Fonti e approfondimenti

La Silla Vacía, Biografía de Álvaro Uribe Vélez, 2/09/20.

Oquendo, C. Osorio, S. Torrado, S. Palomino, Uribe, la sombra política de Colombia, El País, 24/10/20.

Semana, Uribe: un hombre sin puntos medios, 4/8/20.

El Espectador, Se agita el caso Uribe, que está a semanas de una decisión esencial, 20/02/21.

DW, Justicia de Paz de Colombia eleva a 6.402 el número de “falsos positivos”, 18/02/21.

Torrado, La Fiscalía de Colombia pide no investigar a Álvaro Uribe por manipulación de testigos, El País, 5/03/21.

J.D. Rosen, Lecciones y resultados del Plan Colombia (2000-2012), Contextualizaciones Latinoamericanas.

G.P. Rodríguez, Álvaro Uribe y Juan Manuel Santos, ¿una misma derecha?, Nueva Sociedad, 2014.

L.M. Cardona Zuleta, La culebra sigue viva: miedo y política, Universidad Nacional de Colombia, pp. 1-352, 2020.

Álvaro Uribe, No hay causa perdida, Celebra, 2012.

 

Editing a cura di Elena Noventa

 

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