La violenza ostetrica: comprenderla per contrastarla

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

I diritti alla salute sessuale e riproduttiva sono sempre più al centro dell’attenzione da parte della comunità internazionale. Ci sono, però, forme di violenza e di abuso ancora nascoste e stigmatizzate, da portare alla luce per riconoscerle e, soprattutto, contrastarle. Tra queste, la violenza ostetrica colpisce le donne a livello sia fisico che mentale, nell’assenza generalizzata di tutele e consapevolezza. 

Ma cos’è la violenza ostetrica? E perché non se ne sente (quasi mai) parlare, nemmeno nel nostro Paese?

La violenza ostetrica: da “problema sudamericano” a tema internazionale

L’espressione “violenza ostetrica” trova definizione giuridica per la prima volta nel 2007, in Venezuela, all’articolo 15.3 della Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia.

L’articolo 15.3 della Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia contro la violenza ostetrica

(Rielaborazione de Lo Spiegone. Articolo 15.3 della Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia)

 

Da allora molto è cambiato, e quello che sembrava essere un “problema” soltanto in America latina (si pensi all’attenzione per la materia nelle legislazioni di Porto Rico e Argentina) ha ottenuto spazio nel dibattito internazionale.

A tal proposito, è utile ricordare alcuni passi avanti compiuti negli ultimi anni. Nel 2014, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha pubblicato una Dichiarazione per la prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere, in cui vengono elencati i tipi di trattamenti «irrispettosi e abusanti» tenuti nei confronti delle donne durante il parto. A seguire, nel 2018, le Raccomandazioni dell’Oms sull’assistenza per «un’esperienza di parto positiva» hanno fornito delle linee guida ai Paesi della comunità internazionale basate sulla tutela e sul rispetto dei diritti umani.

Nel 2019, il Rapporto sui maltrattamenti e la violenza ostetrica durante il parto della relatrice speciale sulla violenza contro le donne delle Nazioni Unite e la Res. 2306/2019 del Consiglio d’Europa hanno esplicitamente collegato il fenomeno alla violenza e alla discriminazione contro le donne, come già previsto sia dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’eliminazione della violenza contro le donne del 1993 che dalla Convenzione di Istanbul del 2011.

 

In cosa consiste la violenza ostetrica

Oggi, la definizione di violenza ostetrica comprende numerose categorie di abuso, sia nel corso della gravidanza che del parto. Tra questi: l’abuso fisico, verbale e psicologico, la mancanza di consenso informato e di privacy, il ricorso a procedure eccessive e dolorose senza che venga fornita un’adeguata terapia del dolore. Alcune di queste procedure sono altamente sconsigliate dall’Oms: ad esempio, l’episiotomia, ossia l’incisione del perineo, e la manovra Kristeller, una forte pressione del fondo uterino praticata durante le contrazioni. Altre si riconducono a un’eccessiva medicalizzazione della nascita, come l’utilizzo di ossitocina sintetica (un ormone somministrato per indurre il parto) e il ricorso al parto cesareo anche quando non necessario. 

A queste pratiche si accompagnano, poi, tutta una serie di violenze meno percettibili, ma che lasciano segni altrettanto gravi sulle vittime. Fra i numerosi soprusi riportati sono presenti: abusi verbali e umiliazioni (riscontrati soprattutto nei confronti di donne appartenenti a minoranze), divieto di scegliere la posizione del parto o di avere con sé in sala una persona di fiducia, situazioni di totale mancanza di riservatezza, privazione di cibo e acqua, impossibilità di tenere il bambino nella propria camera subito dopo la nascita.

 

Le radici della violenza ostetrica

Le cause alla base di questo tipo di violenza sono diverse, ma tutte riconducibili agli stessi problemi di fondo: le condizioni del sistema sanitario e gli stereotipi generati dalla cultura patriarcale (con “patriarcato” si intende un sistema di potere sbilanciato a favore degli uomini in ambito politico, economico, sociale, culturale e sessuale che può essere introiettato anche dalle donne). 

Come delinea il rapporto dell’Onu del 2019, nel contesto dell’assistenza sanitaria materna e riproduttiva, «le cattive condizioni di lavoro di molti operatori sanitari e la storica sovrarappresentazione degli uomini in campo ginecologico e ostetrico» giocano un ruolo fondamentale. 

La «sovrarappresentazione degli uomini» si è progressivamente ridotta in Italia, dove il numero di ginecologi è ormai di poco superiore a quello delle ginecologhe. Eppure, la percentuale di donne nelle posizioni apicali in ginecologia e ostetricia resta bassa: nel 2017, solo il 17% di loro era al vertice del settore. Le «relazioni di potere sbilanciate all’interno dei sistemi sanitari» che derivano da questo squilibrio rivestono un grosso peso nel limitare gli sforzi delle ostetriche per assicurare un parto rispettoso dei diritti umani alle proprie pazienti, come rilevato dalla prima consultazione globale del personale ostetrico condotta nel 2016.

La mancanza di personale, l’afflusso elevato di pazienti, gli stipendi bassi, i turni lunghissimi e la mancanza di infrastrutture sono altri problemi, comuni a numerosi sistemi sanitari del mondo, che creano delle condizioni di lavoro stressanti e, a volte, facilitano comportamenti irrispettosi e poco professionali da parte del personale medico. Se gli Stati non garantiscono risorse adeguate alla salute femminile nei propri bilanci, diventa difficile assicurare ai professionisti sanitari un’adeguata formazione etica e non discriminatoria.

A livello sociale e culturale, poi, gli stereotipi di genere si rivelano (una volta in più) estremamente nocivi per le donne, limitandone l’autonomia e la competenza decisionale anche in ambito medico. Uno di questi è l’idea che la maternità richieda sofferenza, una convinzione che può portare gli operatori sanitari a svalutare la salute fisica ed emotiva delle partorienti. Il presupposto è che l’inclinazione generale delle donne sia quella di essere “madri che si sacrificano” e mettono gli interessi del nascituro al di sopra dei propri. Anche quando si tratta di necessità fondamentali. 

A volte alle donne incinte vengono negati i trattamenti medicalmente indicati per la cura di condizioni non correlate alla gravidanza, come malattie cardiovascolari e tumori, perché tali trattamenti possono compromettere la sopravvivenza o il benessere del feto. Lo stereotipo della vulnerabilità ed emotività delle donne può anche indurre il personale sanitario a non condividere informazioni necessarie per il consenso informato, perché potrebbero essere “troppo angoscianti” per la paziente.

 

La situazione attuale in Italia 

La prima e unica indagine nazionale sul fenomeno risale al 2017: condotta dall’istituto Doxa su iniziativa dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia (OvoItalia), è finita subito al centro di aspre critiche. Tra queste, l’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani ha imputato alla ricerca «un grave effetto denigratorio per i professionisti del settore» ostetrico, accusato di «deplorevoli comportamenti mai tenuti e mai provati». 

Eppure, molte voci hanno iniziato a levarsi per denunciare la violenza ostetrica ben prima del 2017: l’indagine di Doxa-OvoItalia rappresenta infatti l’evoluzione della campagna di sensibilizzazione “#BastaTacere: le madri hanno voce, lanciata sui social media l’anno precedente. Su un campione rappresentativo di circa cinque milioni di donne italiane tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni, “Le donne e il parto ha analizzato i diversi aspetti di un momento così delicato come la nascita. 

Il quadro che ne è emerso non è dei più rassicuranti. Circa un milione di madri hanno affermato di essere state vittime di una qualche forma di violenza ostetrica alla loro prima esperienza di maternità – come l’episiotomia senza consenso informato. Un’esperienza così traumatica che il 6% del totale, negli ultimi quattordici anni, ha dichiarato di non aver voluto affrontare una seconda gravidanza

D’altronde anche il Cedap del 2018 (Certificato di assistenza al parto) – un rapporto pubblicato periodicamente dal Ministero della Salute – descrive un’eccessiva medicalizzazione dei parti negli ultimi decenni. I tagli cesarei sono passati dal 10% dei primi anni Ottanta al 32,3% del 2018 (la raccomandazione dell’Oms sarebbe di mantenerli tra 10% e il 15%). Mentre gli scarsissimi dati ufficiali sull’impiego dell’analgesia epidurale sembrano dimostrare che in Italia, durante il parto, le donne soffrono di più rispetto ad altri Paesi: nel 2018, gli anestesisti erano presenti solo al 42,15% dei parti.

 

Un sistema di assistenza ancora profondamente diseguale 

In Italia sono ancora poche le tutele per contrastare la violenza ostetrica. Tuttavia, qualche sporadico tentativo a livello nazionale è stato compiuto negli ultimi anni: come l’Accordo Stato-Regioni del 2010 per la riduzione del taglio cesareo, il disegno di legge Zaccagnini del 2016 (proposta di legge mai approvata) e l’istituzione del Comitato Percorso Nascita Nazionale nel 2018. 

Inoltre, a seconda del territorio e delle singole iniziative del personale sanitario, si sono iniziati a vedere alcuni lenti miglioramenti nella nostra penisola. Per esempio, l’Emilia-Romagna ha creato il sito “Nascere in Emilia-Romagna” per mettere a disposizione tutte le informazioni necessarie per una scelta consapevole sul luogo del parto (ospedale, domicilio o casa di maternità). In Trentino, il “percorso nascita prevede la tempestiva presa in carico della partoriente da parte di un’ostetrica dedicata, che seguirà la gravidanza fino ad anche otto settimane dopo il parto, senza costi aggiuntivi.

Un passo indispensabile per contrastare la violenza ostetrica, infatti, è informare le donne rispetto ai loro diritti e alle loro possibilità per aiutarle a effettuare scelte consapevoli. Gli Incontri di accompagnamento alla nascita (Ian) da parte dei servizi pubblici necessitano di un potenziamento, così come la rete dei consultori.

Per porre fine ai maltrattamenti bisogna parlarne e soprattutto riconoscerli come tali, con l’obiettivo di formare il personale sanitario a un’assistenza al parto rispettosa ed empatica. Sia a livello internazionale che nazionale, serve definire e misurare scientificamente le pratiche dannose per la salute psico-fisica delle donne durante il parto, se si vuole valutarne l’impatto e, infine, evitarlo.

 

 

Fonti e approfondimenti

Assemblea Generale Onu. 1993. Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne.

Camera dei Deputati. 2016. Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico, Proposta di legge C. 3670. 

Conferenza Unificata Stato-Regioni e Stato-Città ed Autonomie Locali. 2019. Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualita’, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo

Congreso de la Natión Argentina. 2004. Ley de Parto Humanizado, Ley 25.929

Doxa-OvoItalia. 2017. Le Donne e il parto #bastatacere, Indagine Doxa – OVOItalia sulla violenza ostetrica.

Dubravka Šimonović, United Nations Special Rapporteur on violence against women. 2019. A human rights-based approach to mistreatment and violence against women in reproductive health services with a focus on childbirth and obstetric violence.

Epicentro. 2015. Dall’Oms uno statement sul taglio cesareo.

International Federation of Gynecology and Obstetrics, Committee for the Study of Ethical Aspects of Human Reproduction and Women’s Health. 2012. Ethical issues in obstetrics and gynecology.

La Asamblea Nacional de la República Bolivariana de Venezuela. 2007. Ley Orgánica Sobre El Derecho De Las Mujeres A Una Vida Libre De Violencia, Ley 38.688.

LexJuris Puerto Rico. 2006. Ley de Acompañamiento durante el Trabajo de Parto, Nacimiento y Post-parto, L. 156 de 2006.

Ministero della Salute. 2018. Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita – Anno 2018.

Ohchr. 2019. Submission on Obstetric Violence in Italy, OVOItalia.

OMS. 2014. La Prevenzione ed eliminazione dell’abuso e della mancanza di rispetto durante l’assistenza al parto presso le strutture ospedaliere.

Parliamentary Assembly, Council of Europe. 2019. Obstetrical and gynaecological violence, Resolution 2306 (2019).

Sbiroli, Carlo.2013. “Se la ginecologia è donna”. Gyneco Aogoi: Numero 1/2 -2013.

World Health Organization. 2016. WHO and partners call for better working conditions for midwives.

World Health Organization. Prevention and elimination of disrespect and abuse during childbirth.

 

 

Editing a cura di Niki Figus

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