ll cinque giugno del 1981 venne pubblicato sul Morbidity and Mortality Weekly Report – un riassunto settimanale sullo stato della salute pubblica – del Center for Disease Control (CDC) un rapporto riguardante alcuni strani casi di polmonite. Un’insolita infezione polmonare, nota come polmonite da Pneumocystis carinii (PCP), era stata diagnosticata a Los Angeles a cinque giovani uomini, e due di loro erano morti.
Nel giro di pochi giorni il CDC apprese di molti altri casi simili, riscontrati in giovani che fino a quel momento erano stati in buona salute. In alcuni casi quegli uomini non soffrivano solo i di PCP, ma avevano anche altre infezioni, tra cui un cancro raro e aggressivo, noto come sarcoma di Kaposi (KS).
Inizialmente, i medici non riuscirono né a trovare un nesso tra questi casi, né a capire la provenienza delle infezioni. Nel giro di breve si apprese però che l’unica caratteristica comune tra questi pazienti era quella di essere uomini gay. Circa un mese dopo il primo rapporto sulle polmoniti, il resoconto del CDC contava 26 uomini tra New York e la California con questa diagnosi, un numero che sarebbe aumentato esponenzialmente nei mesi avvenire.
La particolarità di questo tipo di patologie è che non vengono quasi mai riscontrate in persone giovani e sane, con un sistema immunitario non compromesso. Le polmoniti, come stabilito circa due anni dopo, erano infatti dovute alla sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS), il devastante stadio avanzato dell’infezione da HIV. Questo virus avrebbe causato la morte di più di 700.000 persone negli Stati Uniti, e di oltre 32 milioni di persone in tutto il mondo.
Lo stigma dell’HIV
Secondo i resoconti, i primi anni dell’epidemia di AIDS furono un periodo incerto e inquietante, durante il quale il virus si diffuse a macchia d’olio, soprattutto nella comunità LGBTQ+. Negli stessi anni questa comunità stava lottando per rivendicare i propri diritti e per combattere contro le discriminazioni, e la rapida diffusione dell’AIDS fu particolarmente tragica. Molte persone, che avevano faticato nel trovare una comunità di appartenenza, persero rapidamente amici e persone care, tutti colpiti dal misterioso e letale virus.
Ad aggravare ulteriormente la crisi fu poi l’atteggiamento della società statunitense nel suo complesso. L’amministrazione del presidente Ronald Reagan prestò poca attenzione all’epidemia dell’HIV/AIDS. Gli scambi tra il segretario stampa di Reagan e i giornalisti nel 1982 e nel 1983 indicano che i funzionari dell’amministrazione Reagan considerassero la malattia come uno “scherzo”.
Quando Reagan finalmente cominciò ad affrontare l’epidemia – nel 1987 – quasi 23.000 persone erano già morte a causa dell’AIDS. Quell’anno, la presidenza sembro invertire la rotta sulla questione, etichettando il virus come “nemico n. 1 per la salute pubblica statunitense”. In realtà, sebbene ne riconoscesse la drammaticità, la classe dirigente continuo a trattarla come una “punizione divina” contro alcune categorie. A questo proposito, il New York Times riportò la notizia che Reagan avesse suggerito, come possibile metodo di prevenzione, l’astinenza da pratiche “poco consone”: «Dopo tutto, quando si tratta di prevenire l’AIDS, la medicina e la moralità non insegnano le stesse lezioni?».
L’atteggiamento dell’amministrazione Reagan e della società statunitense minò anche il lavoro dei medici in prima linea contro il virus. Tra loro vi era anche Anthony Fauci, che ora ci è noto come uno dei massimi esperti mondiali di Covid-19. Fauci ha ricordato come i pregiudizi sul virus, legati alla comunità LGBTQ+ prima, e ai tossicodipendenti dopo, ostacolarono l’utilizzo di risorse per la ricerca e contribuirono alla sua diffusione.
Un problema che permane
Attualmente, si stima che almeno 40 milioni di persone nel mondo siano sieropositive. Lo stigma e il tabù dell’HIV sono sfortunatamente ancora molto forti. Questo contribuisce alla diffusione del virus e alla mancanza di cure adeguate a molte persone, spesso trasformando quella che potrebbe essere una malattia cronica in una condanna a morte.
Anche se fino ad oggi non esiste una cura definitiva, i progressi della medicina hanno drasticamente cambiato la prognosi per i pazienti affetti da HIV/AIDS. In molte aree del mondo, dove vi è accesso alle cure, l’AIDS è diventata una malattia cronica gestibile. Ora come ieri è importante fare informazione, investire nella prevenzione e combattere i pregiudizi verso chi abbia contratto il virus.
Per richiedere supporto o avere informazioni scientificamente corrette e aggiornate sull’infezione Hiv, sull’Aids e sulle malattie sessualmente trasmissibili, si può telefonare al Telefono verde 800 861061 (TV AIDS e IST) dell’Istituto superiore di sanità, o visitare il sito www.uniticontrolaids.it.
Fonti e approfondimenti
CDC, Pneumocystis Pneumonia — Los Angeles (cdc.gov., 5/6/1981.
Newcott, Billy, Fauci recalls the terrifying early days of the AIDS epidemic (nationalgeographic.com, National Geographic, 3/6/2021.
Haynes, Suyin, ‘It’s a Sin’: History of 1980s Aid Crisis, Impact on Present | Time, TIME, 15/2/2021.
Gerald, M Boyd, Reagan Urges Abstinence for Young to Avoid AIDS – The New York Times (nytimes.com),The New York Times, 2/4/1987.
La Ganga, Maria, The first lady who looked away: Nancy and the Reagans’ troubling Aids legacy | Ronald Reagan | The Guardian, The Guardian, 11/3/2016.
Editing a cura di Matilde Mosca