I volti delle donne d’Africa: la condizione delle donne affette da HIV

Il volto tratteggiato di una donna, composto con i contorni dei confini dei Paesi dell'Africa
Foto di Armando D'Amaro - Lo Spiegone

A quasi quarant’anni dalla scoperta dell’HIV, come riporta l’UNAIDS, l’Africa sub-sahariana, con il 67% delle trentasette milioni di persone sieropositive in tutto mondo, è la regione più colpita. Il Sudafrica, da solo, registra quasi otto milioni di casi di persone attualmente affette da HIV.

In Africa, l’HIV colpisce in maniera sproporzionata le donne e le giovani donne a causa di disuguaglianze di tipo sociale, culturale ed economico. La violenza contro le donne e pratiche tradizionali dannose, come i matrimoni precoci e una struttura sociale profondamente patriarcale, rafforzano questa differenza, soprattutto per le giovani donne e le adolescenti.

Programmi volti alla prevenzione e al rallentamento del virus, come la diffusione di preservativi, farmaci microbicidi, farmaci antiretrovirali e la profilassi pre-esposizione (PrEP), possono essere dei metodi molto efficaci sia per evitare di trasmettere la malattia, sia per rallentare il suo decorso. In Africa, però, questi metodi si scontrano sia con le difficoltà nel reperire tali medicinali, sia con la scarsa adesione ai programmi di prevenzione e cura proposti.

L’incidenza di positivi da HIV in Africa

La trasmissione dell’HIV avviene prevalentemente tramite rapporti eterosessuali e, fin dalla comparsa della malattia, le donne in numerose regioni del mondo ne sono state colpite in maniera ampiamente sproporzionata rispetto agli uomini. Infatti, secondo i dati di UNAIDS, nel 2019 le donne nel mondo rappresentavano più della metà delle persone in vita affette da HIV e da malattie legate all’AIDS, le quali sono una delle principali cause di morte per le donne di età compresa tra quindici e quarantanove anni. Come è noto, infatti, l’HIV è il virus che può portare le persone ad ammalarsi di AIDS, la sindrome da immunodeficienza acquisita, che causa un considerevole indebolimento del sistema immunitario dei soggetti colpiti.

Secondo UNAIDS, in Africa sub-sahariana, nel 2020, più del 60% delle nuove infezioni riguardava le donne. I numeri sono ancora più elevati, rispetto ai coetanei maschi, nel caso di giovani donne e adolescenti tra i quindici e i ventiquattro anni. Secondo UNAIDS, infatti, nel continente, nel 2020, circa l’85% delle nuove infezioni da HIV in questa fascia di età riguardava le ragazze. In Africa orientale e meridionale, le donne si infettano tra i cinque e i sette anni prima rispetto ai loro coetanei maschi, con un rapporto di sette nuove ragazze infettate ogni tre ragazzi. In Africa occidentale e centrale, il rapporto scende a cinque ragazze ogni tre maschi. 

Nel 2011, il 92% delle donne incinte sieropositive viveva in Africa sub-sahariana. Molti Paesi africani, infatti, monitorano lo stato della diffusione della malattia basandosi quasi esclusivamente sui dati derivanti dalle analisi effettuate durante la gravidanza, sottostimando quindi sia l’incidenza sia la diffusione generali del virus tra la popolazione.

Mancanza di accesso ai servizi sanitari

In Africa, soprattutto nei contesti extraurbani, le donne incontrano importanti difficoltà di accesso ai sistemi sanitari e assistenziali. Le barriere all’accesso di questi servizi possono prendere varie forme: mancanza dei servizi richiesti, discriminazione nei confronti delle donne, stigmi di tipo sessuale e scarsa qualità dei servizi offerti. Questi ostacoli non solo possono aggravare la già fragile situazione di una donna o una ragazza affetta da HIV, ma impediscono loro anche di avere una conoscenza approfondita delle modalità di trasmissione del virus e di convivenza con la malattia, mancando la conoscenza della salute sessuale e riproduttiva. Lo scoraggiamento delle donne nei confronti di un sistema sanitario così limitato e stigmatizzante non fa altro che ridurre ulteriormente il numero di ragazze e donne che decidono di rivolgersi a dei professionisti per monitorare il proprio stato di salute. 

Inoltre, in alcuni Paesi dell’Africa sub-sahariana, si è stimato che circa la metà delle adolescenti sia in aree urbane sia in aree rurali non abbia potere decisionale sulla propria salute. Ne deriva che in Paesi come Kenia, Ruanda e Senegal, più del 70% delle ragazze sessualmente attive e non sposate tra i quindici e i diciannove anni non abbia avuto la possibilità di reperire metodi contraccettivi adeguati non solo per il controllo delle nascite, ma anche per impedire la diffusione dell’HIV.

La correlazione tra lo status socioeconomico e la diffusione dell’HIV

Molti studi hanno dimostrato che un aumento dell’accesso all’istruzione tra le donne e le ragazze è direttamente collegato a un migliore rapporto con la propria salute sessuale e riproduttiva. Tra i risultati più importanti non ci sono solo la diminuzione di matrimoni e gravidanze in giovane età, nascite e aborti più sicuri, ma anche un tasso inferiore di infezione da malattie sessualmente trasmissibili come l’HIV. Donne più istruite sono anche meno soggette al rischio di violenze da parte degli uomini e, quindi, alla possibilità di contrarre l’HIV. Secondo uno studio di UNAIDS, per esempio, in Botswana ogni anno aggiuntivo di scuola riduce dell’11% la probabilità per una ragazza di contrarre l’HIV. 

Nonostante le potenzialità dei servizi educativi per la riduzione della trasmissione dell’HIV, in molti Paesi africani, le difficoltà nell’accedervi per le ragazze, unite alla mancanza di adeguati servizi sociali, sanitari e assistenziali e alla diffusa povertà, possono causare indirettamente la diffusione della malattia. La povertà, in particolare, porta spesso le ragazze ad avere rapporti sessuali non protetti, con numerosi partner diversi, anche di tipo violento o a pagamento. In un contesto dove la povertà è così diffusa, rallentare la diffusione dell’HIV non rappresenta sempre una priorità per le ragazze e le donne che hanno come unico mezzo di sostentamento la prostituzione.

Gli interventi di prevenzione in Africa

Nei Paesi in via di sviluppo, dove la differenza nell’infezione da HIV tra donne e uomini è rilevante, esistono diversi metodi per prevenire la diffusione della malattia.

I preservativi maschili sono tendenzialmente il modo migliore per prevenire la trasmissione del virus. Tuttavia, è noto che la scelta di utilizzare un preservativo maschile non ricada sulla donna, che spesso deve sottostare alla volontà dell’uomo. Esistono anche preservativi femminili il cui uso, però, richiede comunque una fase di “negoziazione” con l’uomo. Le violenze sessuali nei confronti delle donne e la loro scarsa possibilità di scelta fanno sì che questi metodi di prevenzione della trasmissione della malattia, sebbene altamente efficaci, non siano sfruttati adeguatamente.

L’utilizzo di microbicidi da applicare per via vaginale o rettale, con l’obiettivo di prevenire il virus, o di farmaci antiretrovirali, ossia medicinali in grado di rallentare la progressione della malattia, sono una scelta diffusa e valida. Un terzo metodo è la profilassi pre-esposizione (PrEP), che consiste nel prendere dei farmaci contro l’HIV da parte di persone ancora sieronegative. Tuttavia, tutti questi metodi sono efficaci in misura proporzionale all’utilizzo che ne viene fatto: quasi ovunque, in Africa, c’è stata una scarsa adesione all’utilizzo di questi metodi di prevenzione. Un caso a parte è il Sudafrica, che ha visto una riduzione della diffusione dell’HIV, anche grazie all’utilizzo di farmaci antiretrovirali. 

Il Sudafrica come simbolo di lotta all’HIV

Il Sudafrica è famoso per essere tra i Paesi più colpiti dall’HIV non solo in Africa, ma anche su scala mondiale. Nel 2020, infatti, erano quasi otto milioni i sudafricani affetti da HIV. In più, il Paese da solo conta circa un terzo delle nuove infezioni annue in Africa meridionale, circa duecentoquarantamila nel 2018. Anche in Sudafrica, le donne sono le più colpite dall’HIV. Si conta che nel 2017 circa il 26% delle donne sudafricane era affetto da HIV, contro il 15% degli uomini. Come accennato in precedenza, povertà, marginalizzazione socioeconomica delle donne e violenza, anche e soprattutto sessuale, nei loro confronti sono le ragioni principali di questa disparità.

Per combattere e prevenire la diffusione dell’HIV, dal 2004, il Paese ha organizzato quello che poi è diventato il più grande programma antiretrovirale al mondo. Questo viene finanziato principalmente dal governo, che nel 2017 ha deciso di investire più di un miliardo e mezzo di dollari. Il risultato principale di questa iniziativa è sicuramente l’aumento dell’aspettativa di vita nel Paese, passata dai cinquantasei anni del 2010 ai sessantatré del 2018.

Il Sudafrica sta facendo grandi progressi per realizzare gli obiettivi 90-90-90 di UNAIDS. Secondo questi obiettivi, almeno il 90% delle persone affette da HIV deve essere a conoscenza della propria condizione, almeno il 90% dei sieropositivi deve ricevere una terapia antiretrovirale e almeno il 90% di coloro che ricevono queste cure deve avere una soppressione virale. In Sudafrica, nel 2018, circa il 90% delle persone affette da HIV conosceva la propria situazione e il 68% di loro stava seguendo trattamenti antiretrovirali. Tra quelli che li seguivano, l’87% aveva soppresso il virus. Sull’intera popolazione sudafricana affetta da HIV, significa che il 62% sta seguendo un trattamento e il 54% ha soppresso il virus. 

 

 

Fonti e approfondimenti 

ActionAid. AIDS: una battaglia che si può vincere.  

Avert. 2017. UNAIDS 90-90-90 target.  

Avert. 2020. HIV and AIDS in South Africa

Avert. 2020. Women and girls, HIV and AIDS

Ramjee, Gita, & Brodie Daniels. 2013. “Women and HIV in Sub-Saharan Africa”. AIDS Research and Therapy10(30). 

Joint United Nations Programme on HIV and AIDS (UNAIDS). 2021. Global HIV & AIDS statistics – Fact sheet.

 

 

Editing a cura di Niki Figus

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