Voci di Secesija in Bosnia Erzegovina

Bosnia Erzegovina
@JøMa - Wikimedia - CC BY-SA 4.0

Quando nel 2016 Milorad Dodik, allora presidente della Repubblica Serba di Bosnia Erzegovina e attuale membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita, aveva proposto un referendum sull’indipendenza dell’entità serba, pochi avrebbero immaginato le conseguenze di tale dichiarazione negli anni seguenti.

L’organizzazione dello Stato di Bosnia Erzegovina

A partire dagli accordi di Dayton del 1995, lo Stato bosniaco è formato da due entità – la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia – e dal distretto autonomo di Brčko. La Federazione e la Repubblica Serba presentano parlamenti regionali con un alto grado di autonomia decisionale. Tuttavia, l’Assemblea parlamentare (bicamerale) della Bosnia Erzegovina rappresenta il parlamento nazionale, con sede a Sarajevo. Tale parlamento vigila sul rispetto costituzionale delle norme degli accordi di Dayton. L’attore internazionale di supervisione della Costituzione e dell’implementazione degli accordi è l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina, con poteri autonomi e super partes.
Tra i poteri dell’Alto Rappresentante figurano la supervisione e il rispetto degli accordi di Dayton da parte del governo centrale di Sarajevo e delle due entità della Bosnia, la rimozione dei rappresentanti pubblici locali e la promulgazione di leggi ed emendamenti nel caso in cui il parlamento nazionale non sia in grado di adempiere a questo ruolo, come nel caso dell’emendamento promosso dall’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko, nel luglio 2021.
L’organizzazione statale è completata da una Corte costituzionale e da una presidenza tripartita formata dai tre popoli costituenti: bosgnacchi, serbi-bosniaci e croati-bosniaci. Questi “popoli” sono gli unici soggetti etnici riconosciuti a livello giuridico dalla Costituzione, sebbene sentenze come la “Sejdic-Finci vs Bosnia Erzegovina” abbiano portato la questione della rappresentanza di altre minoranze all’attenzione della Corte europea dei Diritti dell’Uomo, nel dicembre 2009.

Segnali di divisione interna: il giorno della Republika Srpska

Anche se Dodik, leader dell’Alleanza dei Socialdemocratici Indipendenti (SNSD), aveva successivamente ritirato il quesito sull’indipendenza, era riuscito comunque a catalizzare l’attenzione dell’Unione europea e degli Stati Uniti con il referendum del settembre 2016, per l’istituzione, a partire dal 9 gennaio 2017, del giorno della Republika Srpska (RS) per commemorare le vittime della guerra degli anni Novanta. Tale referendum, considerato dalla Corte costituzionale bosniaca in contrasto con gli accordi di Dayton del 1995, non ha impedito che il 99,8% degli elettori votasse a favore dell’introduzione della giornata di commemorazione.
L’incostituzionalità del referendum e, quindi, della giornata della Repubblica di Serbia che esso avrebbe introdotto, rappresentano i segnali di una frattura della società che ancora non si è rimarginata dopo 27 anni. Al contrario, un crescente nazionalismo, sia tra le due entità sia all’interno delle stesse, tra i tre “popoli costituenti” ha accentuato le divergenze tra le forze politiche e la popolazione.

L’origine della crisi attuale

L’attuale crisi tra l’entità della Republika Srpska e il governo centrale di Sarajevo risale a luglio del 2021, quando Valentin Inzko, l’allora Alto Rappresentante, aveva imposto un emendamento al codice penale dello Stato bosniaco, per vietare ogni forma di negazionismo storico tra i tre popoli costituenti. La legge include anche la punizione per coloro che celebrano i criminali di guerra. 

In risposta all’azione di Inzko, i leader serbo-bosniaci, incluso Dodik, hanno ripetutamente negato il genocidio di Srebrenica, nonostante sia stato dichiarato tale in numerose sentenze del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia, e hanno celebrato i criminali di guerra – Radovan Karadžić, Ratko Mladić, Slobodan Milošević – che lo hanno commesso.

La retorica portata avanti da Dodik nell’ultimo decennio poggia le sue fondamenta su questo tipo di negazionismo e, al contempo, si oppone alla legge sul genocidio come mezzo per affermare il proprio nazionalismo. Christian Schmidt, Alto Rappresentante dal 1° agosto 2021, ha insistito che avrebbe revocato l’emendamento alla legge di Inzko, nel caso in cui il parlamento nazionale bosniaco ne avesse approvata una propria «seguendo le norme internazionali ed europee».

D’altro canto, Schmidt ha la legittimità di rimuovere Dodik dall’incarico di membro serbo-bosniaco della presidenza tripartita nel caso in cui dovesse rivelarsi una minaccia troppo evidente alla pace del Paese. L’Alto Rappresentante non ha negato che in futuro potrebbe avvalersi di tale prerogativa qualora fosse necessario.

Le recenti leggi sull’autonomia della RS

Nel dicembre 2021, il parlamento regionale della Republika Srpska (RS) ha votato con una maggioranza di 49 voti, su un totale di 83 seggi, a favore dell’autonomia giuridica e politica della RS dalla istituzioni nazionali in materia di fisco, magistratura e, non da ultime, forze armate. Le misure dovrebbero entrare in vigore entro giugno 2022, dopo che l’assemblea avrà apportato le modifiche necessarie alla Costituzione dell’entità.

«Negli ultimi due mesi, il comportamento di Dodik è passato dalla retorica politica alle azioni concrete», ha detto Ćamil Duraković, ex sindaco di Srebrenica. 

Nel frattempo i leader dell’opposizione, tra i quali Mirko Šarović, leader del Partito Democratico Serbo (SDS), hanno avvertito che tale legge potrebbe portare la Repubblica Serba a un nuovo conflitto con la Federazione di Bosnia Erzegovina e delle tensioni con la comunità internazionale. Sarovic, rivolgendosi ai membri del partito di Dodik ha affermato che «la strada che avete scelto è pericolosa per la Republika Srpska e non possiamo seguirla».

Dichiarazioni, manifestazioni e leggi che pongono in seria difficoltà l’integrità costituzionale dello Stato bosniaco, sono aumentate negli ultimi mesi. Lo scorso 9 gennaio, in concomitanza con le celebrazioni del giorno della Republika Srpska, numerose rivolte nazionaliste sono scoppiate in diverse città dell’entità serba tra cui la capitale de facto, Banja Luka. Secondo quanto riportato da POLITICO, Dodik, con i suoi tentativi di difendere i diritti dei cittadini serbo-bosniaci starebbe ponendo le basi per un effettivo tentativo di secessione. 

La risposta della comunità internazionale

A causa del continuo boicottaggio delle istituzioni centrali e delle minacce di secessione della Republika Srpska, all’inizio di gennaio 2022 l’Office of Foreign Assets Control del Dipartimento del Tesoro statunitense ha imposto una serie di nuove sanzioni nei confronti di Milorad Dodik, in risposta alle continue minacce alla stabilità e integrità territoriale della Bosnia Erzegovina. In aggiunta alle sanzioni statunitensi, l’Unione europea ha preso in considerazione una serie di provvedimenti verso i leader serbo-bosniaci, tuttavia rimasti bloccati dalla mancanza di un approccio comune da parte degli Stati membri.

In esplicito riferimento alla legge sull’autonomia votata dal parlamento della Republika Srpska, le ambasciate di Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Italia e la rappresentanza dell’Unione europea hanno espresso il timore che la mozione dell’assemblea rappresenti un passo verso un vero conflitto e non una semplice richiesta di autonomia amministrativa. Nella dichiarazione congiunta, i rappresentanti della comunità internazionale hanno indicato come «i membri della coalizione di governo nella Repubblica Serba devono essere consapevoli che continuare in questa direzione [di autonomia] è una sfida al quadro degli accordi di Dayton, e sta danneggiando le prospettive economiche dell’entità, minacciando la stabilità del paese e dell’intera regione e mettendo in pericolo il futuro della Bosnia nell’UE».

Il Peace Implementation Council (PIC), invece, organizzazione internazionale che controlla il rispetto dell’accordo di Dayton, ha recentemente avvertito che un ritiro unilaterale dalle istituzioni federali dello Stato di Bosnia Erzegovina non è possibile. Per questo motivo, il PIC ha minacciato conseguenze per qualsiasi parte, o entità, che violi le disposizioni dell’accordo di pace.

La mancanza di un’azione comune

Sebbene le dichiarazioni congiunte degli ambasciatori, dell’UE e del PIC siano state tempestive e accurate nel porre all’attenzione internazionale l’incostituzionalità e i rischi che comporta una scissione interna alla Bosnia Erzegovina, si nota una carenza di intenti sul piano dell’azione politica. La dichiarazione del Peace Implementation Council, per esempio, non è stata confermata dalla Russia nonostante sia anch’essa membro dell’organizzazione.

Negli ultimi anni, infatti, il Cremlino ha più volte sostenuto le azioni di Dodik, e il leader serbo-bosniaco ha incontrato il presidente russo Vladimir Putin a Mosca a inizio gennaio 2022. Tale vicinanza tra Russia e Repubblica Serba di Bosnia ha avuto ripercussioni anche in sede di Consiglio di Sicurezza dell’ONU: Schmidt, infatti, era atteso a New York il 3 novembre scorso per esporre il rapporto sulla situazione in Bosnia, descritta da lui stesso come un «imminente rischio di divisioni e conflitti» interni alla Bosnia. Russia e Cina, che non riconoscono la figura dell’Alto Rappresentante, hanno posto il veto e Schmidt non ha potuto assistere al Consiglio.

Nell’UE invece, nonostante la dichiarazione ufficiale che condanna fermamente la retorica di Dodik e minaccia di rivalutare la sua assistenza nella regione balcanica nel caso in cui la situazione dovesse degenerare, non tutti gli Stati membri sembrano d’accordo sulle sanzioni. L’Ungheria di Viktor Orbán, così come la Slovenia di Janez Janša, hanno manifestato sostegno alle politiche di autonomia della RS e alle dichiarazioni nazionaliste di Dodik. In particolare, il primo ministro ungherese ha promesso un pacchetto di aiuti di 100 milioni di euro a sostegno della Republika Srpska e si è opposto a qualsiasi potenziale sanzione da parte dell’UE, bloccando efficacemente una spinta tedesca per tali sanzioni. La mancanza dell’azione europea si è resa più evidente all’inizio di gennaio, quando gli Stati Uniti hanno promosso le proprie sanzioni contro Dodik e il suo partito.

 

Fonti e approfondimenti

Bonifati, Lidia. Molto rumore per nulla? Dieci anni dalla sentenza Sejdić-Finci. Forum di quaderni costituzionali, 1, 2020. 

Euronews. Balcani, in Bosnia Erzegovina più vicino il rischio secessione. 11/12/2021. 

  1. Bosnia: Serbs vote to leave key institutions in secession move. 11/12/2021.

Grbavac, Valentino. Violence in Bosnia and Herzegovina is possible, but war is extremely unlikely. European Western Balkans, 12/11/2021.

Hajdari, Una. Secession threats and nationalist strife shock Bosnia as EU offers limited response. POLITICO, 18/01/2022.

Jahić, Hatidža. Bosnia and Herzegovina’s puzzle: fitting the pieces and making them work together?. European Western Balkans, 02/02/2022.

Kuloglija, Nermina. Bosnia’s High Representative Imposes Genocide Denial Ban. Balkan Insight, 23/07/2021.

Sasso, Alfredo. Crisi in Bosnia Erzegovina, il cortile di periferia. Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa, 17/11/2021.

Seroka, Mateusz. The Serbian referendum in Bosnia and Herzegovina. Euractiv, 30/09/2016.

 

Editing a cura di Francesco Bertoldi

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