Il 9 marzo 2022, Yoon Suk-yeol è stato eletto presidente della Corea del Sud nell’elezione più combattuta nella storia della giovane democrazia sudcoreana. Solitamente, il voto nel Paese si divide per linee regionali e generazionali: gli over 60 e la zona sud-orientale (Kyongsang) che si esprimono con un voto conservatore, in contrapposizione alla parte sud-occidentale (Cheolla) e ai cittadini tra 40 e 50 anni che tendono a votare democratico. In questo contesto, l’attenzione di entrambi i candidati si è rivolta alla popolazione under trenta, che ha rappresentato il fronte decisivo per l’elezione di Yoon.
Per la prima volta, il voto si è diviso ulteriormente secondo una linea di genere: soltanto il 30% delle elettrici under trenta ha votato per il candidato conservatore, rispetto al 59% degli elettori ventenni e al 53% degli uomini con meno di quarant’anni. Una delle chiavi della vittoria di Yoon è stato il sostegno ai movimenti anti-femministi, particolarmente diffusi tra i giovani uomini sudcoreani.
Discriminazione, violenza, femminismo
I più importanti movimenti femministi in Corea del Sud nacquero alla fine degli anni Ottanta, durante il processo di democratizzazione del Paese, iniziato dopo periodi di autoritarismo e diversi colpi di Stato. Questi movimenti, tra cui si ricorda principalmente il KWAU (Korean Women’s Association United) fondato nel 1987, si concentrarono sul voler abbattere il tradizionale sistema sociale. Tale paradigma, ancora fortemente radicato in molte società, prevede che le donne siano incaricate della cura di casa e famiglia e che gli uomini svolgano la funzione di lavoratori e soldati. Tra gli anni Novanta e Duemila, i movimenti femministi ottenero importanti conquiste, come l’abolizione del sistema patrilineare di registrazione familiare e l’adozione di leggi contro la discriminazione e la violenza domestica.
Oggi, le lotte femministe nel Paese continuano: nonostante le recenti conquiste, la società sudcoreana rimane infatti fortemente ineguale e discriminatoria. Potenza tecnologica e dodicesima economia al mondo per Prodotto Interno Lordo (PIL), la Corea del Sud ha il più alto divario retributivo di genere dei Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Le donne svolgono più del doppio dei lavori domestici non retribuiti rispetto agli uomini; benché il tasso di occupazione femminile sia aumentato costantemente nell’ultimo decennio, solo il 50% delle donne lavora, a fronte di un 70% degli uomini. A livello legislativo, esse rappresentano soltanto il 19% dei membri dell’Assemblea nazionale e alle presidenziali di marzo vi era soltanto una candidata, a fronte di 13 uomini. Infine, le donne si trovano difficilmente in posizione di potere, rappresentando soltanto il 5% dei membri del consiglio di amministrazione dei chaebol, i grandi conglomerati industriali coreani (come Samsung, LG, Hyundai).
Alle discriminazioni si uniscono le violenze. Nel Paese si registra uno dei più alti tassi di femminicidi e violenza sulle donne tra i Paesi OCSE. Secondo Korea Women’s Hotline, quasi il 90% delle donne ha subìto almeno una volta abusi fisici o emotivi da parte di un partner e l’80% ha subito molestie sessuali sul posto di lavoro o in luoghi pubblici.
Antifemminismo e meritocrazia
Le discriminazioni di genere e la violenza sulle donne sono tornate al centro del dibattito pubblico soprattutto sulla scia del movimento #metoo, che in Corea del Sud si concentra in particolare sulla lotta al revenge porn e alle spycams, telecamere nascoste nei bagni, negli spogliatoi e nelle camere da letto, il cui utilizzo rimane prettamente impunito.
Il nuovo slancio delle lotte di genere ha però riscontrato una risposta reazionaria rispetto ad altri Paesi: le posizioni femministe sono apertamente condannate e professarsi femministi (o anche solo essere percepiti come tali) può costare il proprio posto di lavoro, o portare a essere vittime di spietato cyberbullismo. Negli ultimi anni, il Paese ha visto una crescita molto forte del fronte anti-femminista tra gli idaenam, giovani uomini che ritengono che le politiche di genere favoriscano le coetanee. Se gli uomini coreani più anziani mantengono una visione tradizionalista della società e si identificano nel ruolo di patriarchi, gli uomini coreani più giovani si vedono come vittime del femminismo. Si tratta di un vero e proprio risentimento nei confronti delle lotte femministe, considerate non solo come infondate, ma anche come sovversive e violente. Le femministe vengono accusate di “odiare gli uomini”, essere “terroriste, malate di mente”, di esacerbare le tensioni sociali, e di essere responsabili del basso tasso di natalità del Paese, ultimo tra i Paesi OCSE.
Secondo numerosi esperti di questioni di genere, una delle principali spinte del nuovo sentimento antifemminista è una sostanziale distorsione della meritocrazia. Nel sistema scolastico e lavorativo sudcoreano, basato su una fortissima competizione, i giovani uomini ritengono che le loro coetanee continuino a ricevere un trattamento preferenziale nonostante abbiano raggiunto una sostanziale uguaglianza di opportunità nella società, se non delle forme di privilegio. Classico esempio in questo senso è quello della leva: poiché solo gli uomini devono svolgere quasi due anni di servizio militare obbligatorio dopo il liceo, essi ritengono che ciò avvantaggi le donne nel loro ingresso nel mondo del lavoro.
(Anti)femminismo alle elezioni presidenziali
La questione di genere è stata al centro della campagna elettorale dei due principali candidati alla Casa blu, ma non perché abbiano avanzato proposte per risolvere la discriminazione di genere strutturale che affligge il Paese. Al contrario, la volontà principale è stata quella di raccogliere consensi – o almeno, di non perderli – tra i giovani under trenta sudcoreani, che rappresentano circa un terzo degli aventi diritto al voto e che esprimono le posizioni anti-femministe più radicali.
In campagna elettorale, Yoon ha fatto proprie e amplificato molte delle posizioni del movimento anti-femminista, proponendo di aumentare le pene per chi denuncia falsi casi di violenza sessuale e di abolire il Ministero delle donne e della famiglia – l’equivalente del Ministero per le pari opportunità – sostenendo che sia discriminatorio nei confronti degli uomini, trattandoli come criminali. In realtà, il ministero fornisce in gran parte servizi familiari, istruzione e assistenza sociale per i bambini. Dopo la sua vittoria, Yoon non ha più fatto riferimento a questa proposta, che potrebbe comunque incontrare l’opposizione dell’Assemblea nazionale, saldamente controllata dai democratici.
Se Yoon ha assunto posizioni apertamente anti-femministe, il candidato democratico Lee non si è schierato in maniera netta a favore della causa femminista, cercando quindi di non alienare i giovani elettori sudcoreani. In campagna elettorale, ha dichiarato di esser contro tutti i tipi di discriminazione – anche quella, presunta, contro gli uomini – strizzando l’occhio ai movimenti anti-femministi. Inoltre, ha proposto di cambiare nome al sopracitato dicastero togliendo il riferimento alle Donne e rinominandolo ministero per la Famiglia. Questa mancata presa di posizione rientra in un più ampio problema del Partito democratico coreano, in cui numerosi membri sono stati recentemente accusati o condannati per episodi di violenza sessuale.
(Anti)femminismo come strumento politico
Nonostante Yoon abbia negato di aver sfruttato la questione di genere per trarne vantaggio politico, la sua campagna elettorale è riuscita a trasformare una comunità prevalentemente online di uomini che si oppongono al femminismo in una vera e propria forza politica. D’altronde, Lee Jun-seok, leader del Partito del potere dei nazionali (People Power Party) di Yoon – rappresenta l’ascesa del movimento anti-femminista in politica. Molto popolare tra gli idaenam, dichiara di non aver nulla contro le donne, ma che il femminismo ha assunto un aspetto totalitario con il presidente Moon Jae-in, tanto che esisterebbe una discriminazione “al contrario” nei confronti degli uomini.
Il fatto che il linguaggio dell’anti-femminismo sia arrivato a livelli così alti della politica spaventa le giovani donne sudcoreane, in quanto potrebbe legittimare ulteriormente posizioni che fino a questo momento venivano prevalentemente espresse online. L’uso della misoginia come tattica politica e l’accettazione del discorso anti-femminista sono fonte di preoccupazione in un Paese dove la discriminazione di genere è elevata e strutturale.
D’altra parte, anche la reazione del Partito democratico dopo la sconfitta non è incoraggiante. La guida della campagna elettorale in vista delle elezioni locali di giugno è stata assegnata a Park Ji-hyun, attivista femminista ventiseienne, con l’obiettivo di riguadagnare i voti delle donne sudcoreane. Tuttavia, anche in questo caso il femminismo viene visto come uno strumento politico, e anche il Partito democratico perde di vista l’obiettivo dell’uguaglianza di genere e delle lotte contro la discriminazione.
Fonti e approfondimenti
Draut, Darcie, “The South Korean Election’s Gender Conflict and the Future of Women Voters”, Council on Foreign Relations, 8 febbraio 2022
France24, “Anti-feminist political novice: South Korea’s new president Yoon”, 9 marzo 2022
Gunia, Amy, “How South Korea’s Yoon Suk-yeol Capitalized on Anti-Feminist Backlash to Win the Presidency”, Time, 10 marzo 2022
Kang, Hyun-kyung, “’Radical feminism as toxic as terrorism,’ says politician”, The Korea Times, 28 giugno 2019
Kuhn, Anthony, “As South Koreans go to the polls, a backlash against feminism has become political”, NPR, 8 marzo 2022
OECD, “Gender equality: Korea has come a long way, but there is more work to do”, 25 ottobre 2021
Park, Nathan S., “Why So Many Young Men in South Korea Hate Feminism”, Foreign Policy, 23 giugno 2021
Rich, Timothy S., Puhakka, Erika, Coyle, Josie & Alexis Mayne, “Anti-Feminism and South Korea’s Presidential Election”, The Diplomat, 10 marzo 2022
Seo, Yoonjung & Julia Hollingsworth, “How feminism became a hot topic in South Korea’s presidential election”, CNN, 9 marzo 2022
Suzuki, Sotaro, “Gender politics: South Korea’s presidential wedge issue”, Nikkei Asia Review, 8 marzo 2022
Editing a cura di Elena Noventa
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