Antislamismo o semplice islamofobia?

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Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

In seguito al 7 ottobre e all’escalation militare in corso a Gaza, il dibattito inerente alla questione palestinese si è fatto più acceso, spesso sfociando nel razzismo. Se da un lato è diventato evidente come anche in ambienti di sinistra circolino idee antisemite, dall’altro opinionisti, intellettuali ed elettori di destra o centro hanno dimostrato di non saper distinguere l’antislamismo dall’islamofobia

Sebbene si tratti di un processo iniziato in Europa il secolo scorso, la sovrapposizione delle due “visioni” ha subito un’accelerata negli ultimi anni. Soprattutto in seguito agli attentati del 2015, dando sfogo a sentimenti e considerazioni ignoranti, razziste e orientaliste dell’Islam. 

L’islamofobia come nuova frontiera razzista d’Europa

Nonostante il termine sia dibattuto, per islamofobia si intende un atteggiamento di ostilità e pregiudizio nei confronti dei musulmani, dei Paesi a maggioranza musulmana e dell’Islam in generale, motivato da un’irrazionale paura. 

Si tratta di una forma di razzismo che colpisce i musulmani ma anche le persone – laiche o di altre confessioni – “assimilabili” al mondo islamico. Succede, ad esempio, ai membri delle comunità cristiane di Iraq, Palestina e Libano che si trovano in Europa così come alle persone provenienti dalle aree a maggioranza cristiana dell’Africa Subsahariana. 

Si tratta quindi di una forma di razzismo che si interseca con la xenofobia, in quanto spesso prende la forma di paure complottiste che vedono i processi migratori come parte di più ampi piani di sostituzione etnica o come minacce dirette alle radici culturali e sociali dell’Occidente. Sebbene il termine sia stato coniato nella prima metà del XX secolo in relazione alla paura dei modernisti dei Paesi arabi nei confronti delle più recenti correnti dell’Islam politico, in epoca moderna il suo senso è stato “occidentalizzato”.

L’islamofobia nell’Europa contemporanea

I sentimenti islamofobi europei nascono soprattutto in Francia a cavallo tra la guerra d’indipendenza algerina e la fine dei cosiddetti Trenta Gloriosi (il periodo che va dal 1945 al 1975, caratterizzato da un forte sviluppo economico e sociale). 

Se la prima ha impresso nella mente dei francesi gli attentati terroristici e gli episodi di guerriglia nell’ex territorio d’oltremare, la seconda ha coinciso con le tensioni sociali causate dalla fine dell’espansione economica del secondo dopoguerra. In mezzo, la crisi petrolifera del 1973 e la Rivoluzione khomeinista iraniana del 1979 hanno contribuito all’associazione tra Islam e violenza agli occhi del pubblico (ad esempio l’idea che ogni musulmano è un potenziale terrorista). Associazione che, va sempre ribadito, è più una costruzione sociale e mediatica che altro.

Secondo diversi studiosi come Tariq Modood, Nasser Meer, Abdelmalek Sayad, Lila Abu Lughod e molti altri, le radici del decennale sentimento islamofobo europeo vanno ricercate principalmente in tre fattori. 

Il primo è la visione coloniale, imperialista ed eurocentrica della cultura, della storia e della geopolitica comune alle autorità e all’opinione pubblica del mondo occidentale. Il secondo è il periodo del terrore iniziato con l’11 settembre e proseguito con gli attentati degli ultimi due decenni. Il terzo, invece, è la “visibilità” delle persone musulmane – o presunte tali – intesa come colore della pelle e simboli religiosi (ad esempio il velo), che risultano “minacciosi” in Stati che si fondano ancora sul presunto connubio esclusivo tra un territorio geograficamente limitato e un popolo inteso come etnia definita da determinate caratteristiche fisiche e culturali.

L’antislamismo come visione politica nata nel mondo musulmano

Se l’islamofobia è pienamente un fenomeno razzista l’antislamismo ha una prospettiva  più “politica”. Con quest’ultimo termine, infatti, si indica l’opposizione ideologica all’islamismoo Islam politco, secondo il quale  i precetti religiosidovrebbero essere adottati come bussola sociale e politica oltre che personale. 

Anche in questo caso, però, la tendenza dei media occidentali è quella di appiattire l’universo intero dell’Islam politico su posizioni estremiste che, da un lato, rendono l’intera corrente monolitica nell’immaginario pubblico, dall’altro, lo pongono in contrapposizione al mondo occidentale e ai suoi valori. 

In entrambi i casi si tratta di falsità. Nel primo caso, ad esempio, viene meno qualsiasi tentativo di analisi che affronti la pluralità dell’Islam politico – erede indiretto delle difficoltà dimostrate nell’affrontare la diversità della religione islamica in sé. All’interno del cosiddetto islamismo, infatti, si distinguono diverse correnti. 

Le correnti dell’Islamismo 

L’islamismo può essere quello dei Talebani, che si basa sulla scuola di pensiero Deobandi e sul Pashtunwali (codice d’onore pashtun) e punta alla creazione di una società quanto più possibile simile a quella del Profeta Muhammad (erroneamente italianizzato in Maometto) tramite un’interpretazione letterale dei Testi sacri. 

Oppure quello dello Stato islamico di Iraq e Siria, che oltre a voler ricreare una società “autentica” e “pura” voleva organizzarsi in califfato, quindi sotto la guida di un leader considerato autorevole sia dal punto di vista politico, sia religioso – come nel caso dell’ex leader Abu Bakr al Baghdadi. Che appunto calca nome e titolo di Abu Bakr, primo califfo dell’Islam dopo la morte del Profeta.  

L’islamismo può però prendere anche le forme espresse dal Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) di Recep Tayyip Erdogan. Considerato il ramo turco dei Fratelli musulmani, ricade all’interno della definizione di islamismo liberale. Quindi in disaccordo con un’interpretazione letterale dei Testi sacri – sebbene d’impostazione fortemente religiosa – e, in certi sensi, progressista. 

L’idea dell’antislamismo 

Va anche sottolineato come negli ultimi decenni l’idea dell’antislamismo sia stata fatta coincidere con l’Occidente. In linea con la classica, suprematista visione di un’Europa pura che difende i propri valori dall’oscurantismo orientale. In realtà, l’idea stessa di antislamismo è nata – come è ovvio che sia – nel mondo a maggioranza musulmana. 

Esattamente come durante l’Illuminismo si fecero strada in Europa l’anticlericalismo, e l’idea della separazione dei poteri temporali e spirituali, l’era dei nazionalismi (XIX secolo) portò nel mondo musulmano gli stessi principi. I Giovani turchi che si opponevano al califfato ottomano, così come le élite militari di stampo laico e a tratti socialista che nel secondo dopoguerra guidarono Paesi come l’Egitto, la Siria e l’Iraq, trassero parte del proprio patrimonio ideologico dalla contrapposizione agli islamisti – ma non ai musulmani, quindi non in maniera islamofoba nel senso contemporaneo e occidentale.

Infine, non si può fare a meno di ricordare come gli islamisti siano stati spesso foraggiati dall’Occidente proprio contro i governi laici. Come nel caso dei mujaheddin afghani finanziati in chiave antisovietica, o del dividi et impera statunitense nell’Iraq post 2003. Circa dieci anni prima che quell’universo di milizie sunnite armate per contrastare i paramilitari sciiti filo-iraniani si unissero dando vita a Daesh. 

Perché l’islamismo in Occidente è solo uno specchio per allodole

La sovrapposizione di islamismo e islamofobia è quindi dovuta a ignoranza, xenofobia e razzismo. Ma è giusto sottolineare che le preoccupazioni inerenti all’islamismo sono tutt’al più esagerate. Non solo perché non esiste, in tutta Europa, un partito politico o un’organizzazione che abbia come obiettivo l’instaurazione di una dimensione politica e statale islamista. Ma anche perché una tale realtà non potrà mai esistere. 

Decenni di studi sociologici dimostrano come spesso i cittadini europei di fede musulmana – discendenti degli immigrati che spaventano tanta gente – sviluppano forme di religiosità privatizzate, secolarizzate e individualizzate. Rigettando di per sé l’idea di un’unione tra poteri temporali e religiosi – stesso identico processo delle altre confessioni. Discorso diverso, parzialmente, vale per il rischio terroristico legato al fondamentalismo islamico. Se è vero che la radicalizzazione rimane una minaccia, è anche vero che questa passa principalmente dall’esclusione sociale ed economica e dal nichilismo generazionale di stampo capitalista. 

È la mancanza di prospettive a spingere giovani di ogni etnia e religione a trovare valori e visioni di vita ovunque, anche negli estremismi. Ne sono un esempio gli studi condotti in carcere, luogo per eccellenza della radicalizzazione, o sugli spazi virtuali, miniera d’oro se si cercano materiali di ogni tipo e orientamento. Radicalizzazioni che quindi non avvengono nelle moschee, luoghi che piuttosto fungono da elementi stabilizzatori e di prevenzione, almeno a detta dei servizi di sicurezza interna di Francia, Regno Unito e Germania. Un pericolo che ha poco a che fare con l’Islam e molto con il nostro sistema sociale ed economico, che rende di conseguenza le politiche securitarie inefficienti.  

 

Fonti e approfondimenti

Abu-Lughod L. “Do Muslim Women Need Saving?”. Harvard University Press, Londra 2017.

Guolo R. “Il fondamentalismo islamico”. Laterza, Roma-Bari 2003.

Guolo R. “Sociologia dell’Islam. Religione e Politica”. Mondadori, Milano 2016.

Kaya A. “Islamophobia as a form of Governmentality: Unbearable Weightiness of the Politics of Fear”. Willy Brandt Series of Working Papers in International Migration and Ethnic Relations, 1(11).

Khosrokhavar F. “L’Islam dans les prisons”. Balland, Parigi 2004.

Maniscalco M. L. “Islam Europeo. Sociologia di un incontro”. Franco Angelini, Milano 2012.

Modood T. & Meer N. “For “Jewish” Read “Muslim”? Islamophobia as a Form of Racialisation of Ethno-Religious Groups in Britain Today”. ISLAMOPHOBIA STUDIES JOURNAL VOLUME 1, NO. 1, SPRING 2012, PP. 34-53. 

Roy O. “Generazione ISIS. Chi sono i giovani che scelgono il califfato e perché combattono l’Occidente”. Feltrinelli, Milano 2017.

Sayad A. “L’immigration ou les paradoxes de l’altérité. 2. Les enfants illégitimes”. Raisons d’agir, Parigi 2006.

Sayad A. “L’immigration ou les paradoxes de l’altérité. 3. La fabrication des identités culturelles”. Raisons d’agir, Parigi 2014.



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