La Spagna sa di essere cambiata?

Uno scorcio di piazza di Spagna, sede dell'ambasciata spagnola in Italia
@Groume - Flickr - License CC BY-SA 2.0

Le elezioni politiche si sono tenute il 20 dicembre 2015. A marzo 2016 non esiste ancora un governo e la politica sembra essersi bloccata. È questo lo scenario della Spagna oggi e c’è da mettere un po’ di ordine per capire cosa sta succedendo.

I risultati delle scorse elezioni spagnole sono stati del tutto nuovi rispetto alle precedenti elezioni. Se prima potevamo parlare di un sistema bipolare nel quale PSOE e PP avevano la totale supremazia, dopo le elezioni di fine dicembre questo sistema è scomparso per fare posto a un sistema che potremmo definire multipartitico limitato. In Spagna oggi esistono quattro partiti forti: PSOE, PP, Podemos e Ciudadanios. La tendenza in questi casi è quella di portare a termine politiche moderate dato che, non avendo una maggioranza , dovrà essere formato un governo di coalizione che comporta un compromesso tra i diversi programmi elettorali.

La situazione spagnola però si complica ancora di più dato che i nuovi partiti forti che possono concorrere a governare il paese sono entrambi radicali. Questo entra in contrasto con il nuovo sistema che invece impone una moderazione e un compromesso necessario. Ecco quindi qual è il cortocircuito che sta fermando la Spagna.
Ciudadanos e Podemos non possono deludere i propri elettori nello scendere a compromessi con i partiti che hanno attaccato fortemente per tutta la campagna elettorale, ma dall’altra parte non possono non aprire al compromesso se non vogliono che si crei nuovamente l’alleanza PSOE-PP che ha dominato negli ultimi anni e contro la quale questi due nuovi partiti si sono scagliati ferocemente, al punto di partecipare alle elezioni.

Se il partito che ha ottenuto più seggi alle elezioni è stato il PP (partito popolare), il suo leader Mariano Rajoy non è stato incaricato di formare il governo, bensì è stata data questa possibilità al PSOE (partito socialista) con Pedro Sanchez. Il 2 marzo il primo ministro incaricato di formare il governo ha ricevuto la sfiducia e, subito dopo, il 4 marzo ha ricevuto il secondo rifiuto alla fiducia. Prima volta nella storia della Spagna che questo avviene.

L’ elemento che ancora di più sottolinea come la politica spagnola si stia sgretolando è che il 4 marzo, durante la seconda votazione di fiducia al governo,non era richiesta una maggioranza qualificata (ovvero una maggioranza più alta della semplice maggioranza del 50%+1) bensì una maggioranza semplice.

Ora come si procede? Il governo incaricato avrà due mesi di tempo, quindi fino a maggio, per poter comporre una maggioranza minimamente solida che gli dia la possibilità di diventare un governo effettivo. Se questo non dovesse accadere allora verranno indette nuove elezioni e gli spagnoli dovranno nuovamente determinare la maggioranza parlamentare.
Le dichiarazioni dei partiti in questa fase non sono molto attendibili perché non c’è nulla di veramente certo o di definitivo, siamo ancora nella situazione degli attacchi frontali e non del dialogo. Ciò che invece è interessante è come la contrapposizione tra PSOE e Podemos sembra più forte che mai e questo dà la possibilità al PP di formare un governo con a capo il suo leader, Mariano Rajoy.

Il nodo politico spagnolo si risolverà in gran parte nel momento in cui saranno prese delle posizioni nette da parte dei vari partiti rispetto alla questione indipendentista, i Baschi e la Catalogna in particolare. Ma questo tema non sarà affrontato fino a maggio. La situazione della possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, che il 23 giugno 2016 deciderà la propria sorte con un referendum, mette una pressione fortissima sulla politica spagnola. Le eventuali uscite della Scozia e dell’Irlanda del Nord, le zone più europeiste di tutto il Regno Unito, peseranno, in caso di BREXIT, sulle valutazione spagnole sulla Catalogna e sui Paesi Baschi poiché potranno fare ricorso a un referendum per sottrarsi dalle decisioni del governo centrale. Infatti, facendo appello alla loro parziale autonomia riguardo le decisioni di politica estera, e soprattutto di relazioni con l’Unione Europea, si potrebbe configurare il caso limite di divisione del Paese.

Se tutto questo dovesse prendere forma la Catalogna e i Paesi Baschi saranno i primi a dare battagli al proprio governo centrale per avere un’autonomia che li porti, come la situazione inglese, a decidere il proprio futuro. E questo potrebbe portare a un altro caso limite, ovvero l’uscita delle due regioni spagnole dall’Unione Europea. Questa analogia tra i due Paesi sta creando non pochi problemi all’interno dell’Europa e, nello specifico, a tutti quegli Stati che non sono in grado di gestire delle situazioni critiche come quelle descritte. Il cambiamento radicale che la Spagna ha intrapreso negli ultimi tre mesi porta a far pensare che, in questo gioco pericoloso, possa non avere tutti i requisiti per affrontare la situazione.

La Spagna sa di essere un nuovo Paese e di non poter applicare le politiche degli ultimi cinquant’anni?

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