Dagli ultimi giorni di febbraio in Macedonia si tengono numerose manifestazioni di piazza al grido di slogan nazionalisti e anti-albanesi, animate dai sostenitori dell’autocrate ed ex-premier Nikola Gruevski. Mentre la tensione politica sale, l’odio tra i due gruppi etnici principali del paese minaccia di degenerare.
L’origine di queste proteste è dovuta al caos politico in cui versa la Macedonia, la quale non ha ancora visto il formarsi una maggioranza di governo dalle elezioni dell’11 dicembre scorso. Le votazioni non hanno avuto un vero vincitore. Nicola Gruevski, ex premier e leader del partito conservaore VMRO ha ottenuto 51 seggi, mentre il suo storico rivale del Partito Socialdemocratico (SDSM) Zoran Zaev ne ha ottenuti 49.
Entrambi i partiti non hanno raggiunto il numero di voti necessari per formare una maggioranza in parlamento e la situazione sta diventando incandescente. Questo risultato trova le sue radici nella natura stessa delle forze in gioco, le uniche altre forze politiche approdate in Parlamento sono rappresentanti della minoranza albanese, spesso invisa alla maggioranza slavo-macedone della popolazione.
La scintilla che ha innescato le manifestazioni è stata la richiesta ufficiale di Zoran Zaev dello scorso 27 febbraio di essere nominato Primo Ministro, proponendo al Presidente della Repubblica una coalizione con tre partiti etnici albanesi che poteva contare sull’appoggio di 67 deputati. In cambio del loro supporto Zaev aveva accettato di appoggiare l’istanza di rendere l’albanese seconda lingua ufficiale della Macedonia, a questo punto i nazionalisti sono scesi in piazza guidati dagli attivisti del VMRO.
La reazione della piazza era più che prevedibile: la questione della lingua è sicuramente un aspetto centrale nel conflitto tra le forze politiche macedoni, come lo è dell’intero scontro etnico/politico tra le due componenti della popolazione, essendosi mosso in quella direzione Zaev doveva aspettarsi questa reazione. Lo stesso Gruevski aveva sospeso il dialogo per formare una coalizione con il maggiore partito etnico albanese (la Democratic Union for Integration) proprio su quest’elemento, decidendo di abbandonare la trattativa piuttosto che impegnarsi sulla questione.
Già dalla dissoluzione della Yugoslavia infatti le dinamiche etniche sono state centrali nella politica della repubblica balcanica e gli opposti nazionalismi sono stati spesso causa di violenze e tensioni interne. Il riconoscimento ufficiale della lingua albanese rappresenterebbe per la Macedonia la presa di coscienza di essere una società multietnica con un ruolo sociale importante anche per le minoranze, questo scenario trova una vasta opposizione nell’opinione pubblica slava.
Per comprendere ancor meglio la situazione è necessario valutare due ulteriori dati: la divisione etnica della Macedonia e la transizione politica seguita alla cauta di Gruevski.
Divisione etnica
Circa un quarto della popolazione macedone è di etnia e lingua albanese, una forte minoranza concentrata soprattutto nelle regioni occidentali del paese ma diversa dai compatrioti in almeno tre aspetti. Questa diversità consiste nella differente componente religiosa, che si affianca all’etnia e alla lingua. Gli albanesi sono principalmente musulmani, mentre gli slavo-macedoni principalmente cristiani ortodossi.
La tensione tra i due blocchi non deriva però solo da questo dato, ma anche da motivazioni poltiche: gli albanesi si percepiscono come esclusi o quantomeno marginalizzati dalla gestione del potere e ad acuire questa frattura contribuisce anche il passato recente. Nel 2001, infatti, nelle aree da loro popolate si svolse una guerra civile tra l’esercito regolare e alcuni gruppi di separatisti, fatto che tutt’oggi rende difficoltosa la comunicazione tra le comunità.
Gruevski ha calcato questa divisione nei suoi 10 anni di governo, sfruttando una propaganda apertamente nazionalista indirizzata alla popolazione slava per assicurarsi il grande consenso di cui ha goduto nei suoi anni di potere.
Transizione conflittuale
Gruevski, Zaev e i rispettivi partiti escono da un periodo di scontro politico su vasta scala e senza esclusione di colpi, durato tutti i dieci anni di leadership del conservatore, ma definitivamente degenerato nel 2015.
Nel gennaio di quell’anno Gruevski accusò pubblicamente il rivale di preparare un colpo di stato e gli fece sottrarre il passaporto, azione che Zaev ripagò facendo esplodere lo scandalo che fece cadere il governo. Emerse infatti che i vertici del VMRO avevano messo sotto intercettazioni almeno 200.000 macedoni, oltre che essere coinvolti in speculazioni illegali e mandanti di aggressioni contro gli oppositori politici.
Questo causò grandi proteste di piazza che obbligarono Gruevski a dimettersi, non prima però di aver salvato dal processo i membri del partito e aver organizzato contro-manifestazioni. Per evitare il precipitare nella violenza del paese i partiti maggiori e alcuni mediatori UE giunsero alla soluzione di indire le elezioni per il dicembre di quell’anno.
La preparazione delle elezioni è stata problematica. Le intercettazioni avevano già rivelato diverse frodi elettorali il ruolo che il potere mediatico del vecchio leader aveva giocato nel voto in passato. Gruevski ha condotto la sua campagna elettorale nello stile di Donal Trump: toni accesi, false notizie e il tentativo riuscito di sedurre i votanti delle rust belts, le aree impoverite dalla chiusura delle fabbriche in molte aree europee e americane.
Va detto inoltre che Zaev probabilmente non era l’uomo giusto per gestire la transizione, date anche le molte accuse di corruzione che ha ricevuto negli anni e il suo favore al neoliberismo economico. Questo elemento è stato provato dal fatto che sia riuscito a sottrarre solo poche migliaia di voti al suo rivale e tutt’ora goda di scarsissima fiducia.
All’inizio di marzo il Presidente della Repubblica macedone Gjorge Ivanov, esponente anch’esso del VMRO, ha comunque rifiutato di affidare a Zoran Zaev il compito di formare un governo e chiedere la fiducia in Parlamento. Le motivazioni ufficiali del rifiuto riguardano il fatto che il negoziato tra Zaev e gl esponenti albanesi coinvolgerebbe una forza politica straniera, con riferimento esplicito ai partiti etnici (legati alla politica interna dell’Albania) e alle loro richieste.
Una possibile nuova radicalizzazione della frattura sociale macedone potrebbe essere aggravata dall’innestarsi in essa di influenze e criticità provenienti dall’estero, che come altrove nell’area riguardano da vicino UE e Russia. Da Bruxells è infatti arrivata un’esortazione al paese di giungere in fretta alla formazione di un governo, con l’appoggio esplicito per la coalizione proposta da Zaev.
La replica da Mosca non ha tardato ad arrivare e ha definito la presa di posizione dell’Unione come un’interferenza nella politica di uno stato sovrano. Mentre si discute, la tensione interna e internazionale cresce e, a meno di una soluzione condivisa, lo scenario per il futuro prossimo appare assolutamente incerto.
Fonti e Approfondimenti
https://www.foreignaffairs.com/articles/southeastern-europe/2017-01-12/authoritarianism-macedonia
http://www.balkaninsight.com/en/article/news-02-28-2017
http://www.ipu.org/parline-e/reports/2313_E.htm
Altro sullo Spiegone: