Dopo aver analizzato le affinità e le differenze fra il jihadismo europeo e quello italiano, possiamo ora analizzare più a fondo l’esperienza del radicalismo nel nostro Paese. Perchè l’Italia è stata risparmiata? La domanda resta, ma le risposte più efficaci cambiano, oggi forniremo sia un’analisi a livello generale sia la descrizione di tre casi che possono farci arrivare a una risposta il più possibile esaustiva alla nostra emblematica domanda.
Iniziamo da dove ci eravamo fermati. Nel 2007 Giuliano Amato, allora ministro dell’Interno, dichiarò: “Non ho mai sentito, né letto in rapporti segreti di musulmani di seconda generazione sospettati di attività terroristica. Per ora, non è un problema italiano. Ma vi posso dire che temiamo che diverrà un problema in futuro”. Pochi ma significativi casi confermano i timori di Amato.
Occorre premettere e tenere a mente che l’Italia ha un numero estremamente basso di sospetti militanti jihadisti. Diversi casi, inoltre, hanno dimostrato quanto sia ambigua la classificazione di militante jihadista. È stato spesso posto il dilemma del distinguere un pericoloso fondamentalista rispetto a una persona emotivamente provata, esclusa o mentalmente instabile. Ad ogni modo gli esperti indicano che i soggetti attivamente coinvolti in questa nuova scena autoctona italiana siano una quarantina, forse una cinquantina. Allo stesso modo, si può stimare che il numero di coloro che in vario modo e con differenti livelli d’intensità simpatizzino con l’ideologia jihadista sia di qualche centinaio. Va da subito chiarito che perlopiù questi soggetti non sono coinvolti in alcuna attività violenta, limitando la propria militanza a un’attività spesso spasmodica su internet, mirata a pubblicare e disseminare materiale sia teologico sia operativo.
Altro dato da sottolineare è la distanza di questi individui dalle moschee, sia per loro scelta sia per scelta dei membri delle comunità religiose che desiderano professare in maniera civile la loro vita religiosa. Dal punto di vista etnico è interessante notare innanzitutto la presenza di convertiti italiani. Sfatando ogni pregiudizio è dimostrato che i soggetti di origine nordafricana, demograficamente la componente più grande dell’islam italiano e (almeno nella prima fase) forze trainanti del jihadismo italiano, non siano presenti in gran numero. Sono invece molti i soggetti di origine albanese, kosovara e, in misura minore, bosniaca.
Il quadro jihadista italiano è caratterizzato da una bassa propensione all’attività terroristica; tuttavia, come i casi di Jarmoune, el-Abboubi e Delnevo hanno dimostrato, a volte alcuni membri di questa scena informale passano – o perlomeno cercano di farlo – dalla militanza virtuale a quella reale.
Caso Jarmoune
Jarmoune può essere considerato il primo caso giudiziario riguardante un jihadista autoctono italiano “puro”. Il carattere di purezza è dato dal fatto che Jarmoune fosse “sociologicamente italiano”. Arrivato in Italia da bambino, il giovane sviluppò la propria socializzazione nel nostro Paese, così come la propria radicalizzazione.
Il caso presenta ulteriori caratteristiche tali da definirlo “autoctono”: l’assenza di frequentazione della moschea, assenza di legami con gruppi strutturati e, soprattutto, utilizzo spasmodico di internet.
Il 15 marzo 2012 gli inquirenti decisero di arrestare il giovane e di sequestrare tutto il suo materiale informatico. Nella sua macchina furono rinvenuti due orologi analogici collegati a fili elettrici. Nei mesi precedenti il ragazzo aveva spesso visitato Google Maps cercando la sede della comunità ebraica di Milano.
Jarmoune fu accusato in base all‘articolo 270 quinquies del codice penale di aver addestrato un numero imprecisato di persone e di aver loro fornito informazioni sulla fabbricazione di materiale esplosivo e su tecniche e metodi per il compimento di atti terroristici. L’accusa di attentato terroristico saltò durante il giudizio ma fu condannato a 5 anni e 4 mesi ai sensi dell’articolo 270 quinquies.
Caso el-Abboubi
Nato a Marrakech nel 1992, el-Abboubi si trasferì in Italia all’età di sette anni. Ben integrato insieme alla famiglia nel bresciano, il giovane sviluppò da subito la passione per la musica rap facendosi conoscere sul palco come McKhalif e arrivando anche a raccontare la propria storia alle telecamere di MTV. Proprio dal documentario emergono la personalità forte del ragazzo e la percezione di una doppia identità italiana e marocchina. El-Abboubi manifesta nel video anche tutto il suo astio verso la Lega Nord e la sua azione politica xenofoba e divisiva.
Dopo l’apparizione su MTV tuttavia il quadro cambia. Il ragazzo passa dall’essere il tipico adolescente che cerca nelle droghe leggere e nell’alcool una forma di ribellione, a un più complesso rapper ispirato all’Islam fino ad evolversi in un preoccupante militante islamico, nuova identità che lo porta a ripudiare anche la sua passione per il rap, definito da lui stesso come attività “haram” (impura e vietata dalla fede islamica).
Verso la fine del 2012 el-Abboubi esprimeva il suo desiderio di lasciare l’Italia per combattere il jihad, iniziò pertanto a cercare dei contatti per raggiungere la Siria. Parallelamente fondò il gruppo “Sharia 4 Italy” praticando proselitismo sia sul web che per strada. Risulta dai fascicoli degli inquirenti che il giovane iniziò a fare ricerche su Google Maps.
Il 12 giugno 2013 la Digos arrestò el-Abboubi sulla base della violazione dell’articolo 270 quinquies; il tribunale di primo grado accolse il ricorso degli avvocati del giovane, ma, mentre si attendeva la pronuncia della Cassazione, el-Abboubi fece perdere le sue tracce. Riapparse su Facebook con il nome Anas al-Italy residente ad Aleppo. La sua presenza in Siria venne confermata anche dagli esperti di antiterrorismo.
Caso Delnevo
Delnevo nacque a Genova nel 1989, secondogenito di una coppia che si separò poco dopo la sua nascita. Crebbe con la madre in un quartiere multiculturale del centro di Genova. Il ragazzo nutriva simpatie fasciste frequentando saltuariamente sedi di gruppi neo-fascisti della città ligure. Descritto come introverso e con difficoltà di socializzazione, si trasferì ad Ancona dove iniziò la propria conversione all’Islam, tornato a Genova fallì l’esperienza universitaria decidendo di abbandonare gli studi per dedicarsi esclusivamente alla propria fede. Venne più volte allontanato dalle moschee della città per i suoi comportamenti antisociali e per le sue visioni radicali.
Dopo il naufragio del tentativo di creare un gruppo jihadista a Genova provò a raggiungere la Siria fallendo la prima volta, ma riuscendo al secondo tentativo. Morì durante i combattimenti lasciando un ultimo messaggio al padre in cui gli chiedeva di pregare per lui. Giuliano Delnevo è stato il primo foreign fighter italiano a morire nel teatro siriano.
La risposta che generalmente viene data al fenomeno terroristico di matrice islamista è la questione dell’integrazione. Tuttavia, nell’analisi proposta abbiamo notato che è semplicistico inquadrare il fenomeno terroristico in categorie uniche e fornire soluzioni uniche.
L’analisi: tra psicologia e sociologia
Un’analisi dei casi di jihadisti autoctoni in Europa e Nord America dimostra che molti, per non dire la maggior parte di essi, non soffrissero di alcuna carenza d’integrazione o marginalizzazione socio-economica. Molti erano sbandati, individui che avevano sofferto di problemi che andavano dall’uso di droghe pesanti all’essere perennemente disoccupati e in ristrettezze economiche. Molti altri erano, però, studenti universitari o professionisti di successo, che spesso vivevano in condizioni migliori dei loro coetanei, parlavano perfettamente la lingua del paese in cui vivevano e avevano vite sociali e familiari stabili.
Risulta utile per la nostra analisi il concetto di “relative deprivation”: nei casi descritti è l’individuo a percepire un freno che la società gli impone. Non possono giungere a ciò che aspirano poiché pensano che la società glielo neghi categoricamente, senza che nella realtà sia presente tale ostacolo.
Più valida della teoria della mancanza di integrazione c’è il fatto che i giovani siano spesso attratti da ideologie anti-sistema. Il terrorismo italiano degli anni ’70 ne è dimostrazione, così come i radicalismi di destra e di sinistra dei decenni successivi agli anni di piombo; esempi al di fuori della sfera politica sono le sub-culture sociali come quelle musicali.
Nei tre casi di jihadismo autoctono in Italia tutti e tre gli individui, anche se in maniera diversa, ebbero difficoltà nel trovare una propria identità e simpatizzarono con altre ideologie o mode anti-sistema prima di abbracciare il jihadismo (Delnevo con il fascismo, el-Abboubi con l’hip hop). Le scelte personali sono molto più determinanti di quelle socio-economiche. E’ il caso di sottolinearlo: la psicologia ci è più utile della sociologia.
Fonti e approfondimenti:
www.ispionline.it/it/EBook/Il_jihadismo_autoctono_in_Italia.pdf