L’African National Congress: passato e presente del partito sudafricano

ANC
@Tommy Miles via Flickr, CC BY-SA 2.0

La Repubblica Sudafricana è l’African National Congress: il legame storico è indissolubile. Possiamo infatti ben definire l’ANC come il partito politico che più di tutti fu fautore dell’emancipazione sociale del Sudafrica, liberandolo dal giogo dell’apartheid e ponendo le prime fondamenta della struttura giuridica dell’odierno Paese.

 

I primi anni del partito e l’introduzione dell’apartheid

L’African National Congress nacque l’8 gennaio 1912 a Bloemfontein.  Il suo nome originario era “South African Native National Congress”; è stato fondato dal politico e filosofo John Dube, dall’attivista Pixley ka Isaka Seme e da un altro intellettuale, Sol Plaatje ed è il più antico movimento di liberazione africano. 

Verso la fine degli anni ’20, i leader dell’ANC si divisero sulla questione della cooperazione con il Partito comunista, fondato nel 1921, e la conseguente vittoria dei conservatori negli anni ’30 lasciò il partito disorganizzato. Negli anni ’40, tuttavia, l’ANC si rianimò sotto la guida di giovani leader che insistevano per una posizione più attiva contro la segregazione in Sud Africa. Tra questi giovani c’era anche Nelson Mandela che nel 1944 fondò, insieme a Walter Sisulu e Oliver Tambo, l’ANC Youth League.

Il movimento è stato il principale catalizzatore delle proteste, anche violente, contro la discriminazione nei confronti della popolazione nera del Sudafrica, soprattutto dopo la politica di apartheid promossa dal governo del National Party di Daniel François Malan. Una volta salito al potere nel 1948, il National Party stabilì per legge l’apartheid e, nel contempo, la promozione della cultura degli afrikaners, ossia la popolazione in Sudafrica di pelle bianca, di origine europea e di estrazione calvinista che parla l’afrikaans.

Di conseguenza, all’inzio degli anni Cinquanta, l’ANC iniziò a sponsorizzare proteste nonviolente, scioperi, boicottaggi e marce contro le politiche di apartheid, sotto il comando di Albert John Lutuli. In questo contesto di forte rivalità tra il partito e  il Governo, gli ideali dell’ANC si diffusero in larga misura tra la comunità nera, coloured, ovvero i figli di coppie miste, e asiatica: l’adesione al partito crebbe rapidamente.

Una campagna contro le leggi sui passaporti per i neri,  ovvero dei pass che indicavano il loro status lavorativo, e altre politiche del governo, culminarono nella Defiance Campaign del 1952: la prima mobilitazione politica su larga scala contro le leggi dell’apartheid sotto una leadership comuneL’ANC giunse nel 1955, all’approvazione della sua Freedom Charter, la carta delle libertà, che alcuni decenni dopo sarebbe stata utilizzata come base del suo programma di governo. Dopo la campagna i leader dell’ANC diventarono bersaglio delle molestie della polizia: tra il 1956 e il 1959, per mezzo di quello che viene ricordato come Treason Trial, molti di essi furono arrestati e accusati di tradimento.  

Nel 1959 ci fu una scissione all’interno dell’ANC. Scoppiarono alcuni dissensi tra coloro che sostenevano posizioni africaniste, capitanati da Robert Sobukwe, e altri che invece si basavano su idee più nazionaliste. La rottura definitiva avvenne il 6 Aprile 1959, quando gli “africanisti” vennero esclusi dal congresso provinciale dell’ANC e fondarono il Congresso Panafricano (PAC), con a capo Sobukwe. 

Nel 1960 il PAC si rese protagonista del movimento anti-apartheid, organizzando massicce dimostrazioni contro le leggi sui passaporti, durante le quali la polizia uccise 69 manifestanti disarmati a Sharpeville (a sud di Johannesburg). Il National Party mise al bando l’ANC e tutti gli altri movimenti contrari all’Apartheid furono dichiarati illegali. La comunità internazionale rispose con l’isolamento politico del Sudafrica e con l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace ad Albert John Lutuli.

Nonostante il movimento fosse diventato clandestino, le proteste e le azioni di sabotaggio continuarono incessantemente anche negli anni Sessanta. Nel 1961 alcuni militanti dell’ANC, con a capo Mandela, fondarono l’Umkhonto we Sizwe “Spear of the Nation”, un’organizzazione dedita ad atti di sabotaggio, utilizzati come mezzo per la continuazione della campagna contro l’apartheid. Mandela e altri leader dell’ANC furono condannati all’ergastolo nel processo di Rivonia del 1964. Sebbene la campagna di guerriglia condotta dall’ANC fosse sostanzialmente inefficace a causa delle rigorose misure di sicurezza, i quadri superstiti dell’ANC mantennero viva l’organizzazione in Tanzania e in Zambia, sotto la guida di Tambo.  

Gli anni ’70 fecero segnare un aumento della conflittualità sociale e razziale in Sudafrica. Nel 1973 un’ondata di scioperi nel settore minerario portò alla concessione di aumenti salariali e alla registrazione dei principali sindacati dei lavoratori africani e nel 1976 fu repressa con oltre 1000 morti una rivolta scoppiata a Soweto contro un progetto di riforma dell’istruzione, che prevedeva fra l’altro l’introduzione dell’afrikaans nelle scuole riservate ai neri.

 La fine dell’apartheid e il governo dell’ANC

Nel 1984 entrò in vigore la nuova Costituzione, caratterizzata dalla presenza in Parlamento di tre camere, ognuna eletta da un corrispondente gruppo: i bianchi, gli asiatici e i coloureds. I neri erano ancora lasciati da parte e il governo continuava a rispondere alle loro proteste con la repressione armata (1984-85) che causò migliaia di morti. La comunità internazionale reagì con nuove sanzioni economiche.

Nel 1989 Pieter Willem Botha, presidente dal 1984, si dimise e fu sostituito da Frederik De Klerk, che promosse negoziati con i neri (1990-91) per eliminare progressivamente l’apartheid, legalizzò l’ANC e scarcerò il suo leader, Mandela.

Nel 1991, a seguito delle trattative tra bianchi e neri e delle contestazioni dei nazionalisti tanto boeri quanto zulu, furono abolite le leggi più vessatorie e nel 1994, contestualmente al ritiro delle sanzioni internazionali e al varo della Costituzione provvisoria, si tennero le prime elezioni libere, vinte dall’ANC. Ne seguì un governo di unità nazionale, presieduto da Mandela in qualità di Presidente della Repubblica con De Klerk alla vicepresidenza, che permise al paese di tornare a far parte della comunità internazionale, cercando di risolvere i problemi socioeconomici ereditati dal passato.

La figura di Mandela, già carismatica nel lunghissimo periodo di detenzione, diventò quella di un padre della patria, equilibrato e al di sopra delle parti, che coniugava aspetti di continuità della tradizione africana con quelli di modernità di un capo di Stato democratico.

La Commissione per la verità e la riconciliazione assunse un ruolo estremamente importante nella fase di transizione (1995-98). Voluta da Mandela e presieduta dal vescovo anglicano D. Tutu, premio Nobel per la pace nel 1984, essa aveva il compito di stilare un elenco di coloro che, sia bianchi sia neri, avevano subito violenze durante il regime di apartheid: questo per individuare i colpevoli dei crimini e amnistiarli solo nel caso in cui avessero reso piena confessione, dimostrando che il reato era stato commesso per motivi politici e non personali.

La nuova Costituzione, che sottolineava la difesa delle garanzie individuali e prevedeva, all’interno di una visione centralistica dello Stato, il riconoscimento di una limitata forma di autonomia alle province, fu promulgata nel 1996. In una situazione di relativa stabilità politica, ma di sofferto equilibrio complessivo, la decisione di Mandela di non ricandidarsi alla presidenza della Repubblica, pur suscitando preoccupazioni, confermò lo sforzo del Sudafrica di superare una visione personalistica del potere e di continuare nel processo di democratizzazione.

Nel 1999 a Mandela succedette T. Mbeki, già vicepresidente e riconfermato presidente nel 2004. Leader pragmatico, apprezzato nel mondo degli affari, convinto sostenitore della necessità di un ‘rinascimento africano’, Mbeki cercò di garantire continuità sia sul piano interno sia su quello internazionale, ma incontrò notevoli difficoltà, non potendo contare sul carisma e sull’indiscussa popolarità di Mandela. Sfiduciato dall’ANC, Mbeki si dimise dalla carica nel settembre 2008 e dopo la breve presidenza di K. Motlanthe, nel 2009 fu nominato presidente J. Zuma, con Motlanthe vicepresidente. Nel dicembre 2012 Zuma fu rieletto a larga maggioranza alla guida dell’ANC per i successivi cinque anni, mentre il ruolo di vicepresidente fu affidato l’ex sindacalista C. Ramaphosa.

Alle elezioni generali – le prime dopo la scomparsa di Mandela  – tenutesi nel maggio 2014 con una massiccia affluenza alle urne (72%) l’ANC ottenne la maggioranza assoluta (62,1%), consentendo al presidente uscente Zuma di ottenere un secondo mandato, mentre la Democratic Alliance, seconda forza politica del Paese e primo partito d’opposizione, ha ricevuto il 22,2% dei consensi e all’Economic Freedom Fighters è andato il 6,3% dei voti.

I casi di corruzione all’interno delll’ANC hanno comunque alimentato la sfiducia degli elettori, e controversa è apparsa la stessa figura di Zuma, indagato per diversi casi di corruzione, stupro, frode e riciclaggio di denaro. Alle amministrative del 2016, anche in ragione dell’aggravarsi della crisi economica che da anni affligge il Paese, l’ANC ha ottenuto i risultati peggiori di sempre e, nei mesi successivi, numerose manifestazioni di piazza hanno chiesto le dimissioni del capo di Stato, che nonostante le mozioni di sfiducia (nove dalla sua elezione) è riuscito a rimanere in carica. Il 18 dicembre 2017 Ramaphosa è subentrato a Zuma nella carica di leader dell’ANC, posizione che potrebbe aprirgli la strada per la presidenza del Paese.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.sahistory.org.za/

https://www.britannica.com/topic/African-National-Congress

http://www.anc.org.za/

http://www.aljazeera.com/programmes/insidestory/2018/01/south-africa-anc-180114114057430.html

http://www.sahistory.org.za/topic/pan-africanist-congress-pac

 

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