In un panorama politico sempre più complesso e rappreso su sé stesso l’astensionismo diventa una reale possibilità per l’elettore. L’Italia è sempre stata una Nazione con una percentuale di partecipazione alle urne molto alta rispetto al resto d’Europa, mantenendo fino alle elezioni del 1983 un’affluenza intorno al 90%. Oggi ci stiamo sempre di più avvicinando alle percentuali di astensione degli altri Stati europei e questo ha delle ripercussioni forti sulla legittimità dell’intero sistema politico.
Secondo Joseph Schumpeter “il metodo democratico si basa sulla capacità istituzionale di arrivare alle decisioni politiche nelle quali gli individui acquisiscono il potere di decidere attraverso la contrapposizione elettorale nella quale l’attore principale è il voto del popolo“. Secondo questo assunto, quindi, il voto è la base della democrazia e la competizione dei partiti per acquisire potere è il mezzo attraverso il quale la democrazia si autolegittima. La delegazione decisionale del cittadino nei confronti del politico è quindi un elemento sacro per il benessere di tutto il sistema democratico.
Allora perché i cittadini sempre di più rifiutano questo passaggio fondamentale? Perché la delegazione implica fiducia e vicinanza ideologica tra il delegante e il delegato. L’Italia ha infatti sempre di più visto erodere l’alleanza tra i cittadini e i propri delegati in Parlamento; questo distacco è dovuto principalmente a scandali, crisi economiche e immobilismo.
Nonostante l’abbassamento dell’affluenza elettorale sia un fenomeno iniziato durante la fine degli anni settanta e mai veramente fermatosi, possiamo delineare almeno due grandi scossoni all’interno del nostro sistema politico che hanno provocato la riduzione dell’affluenza in maniera più evidente.
La crisi di sistema del 1994
Tangentopoli e la caduta dei grandi Partiti di massa sono stati due grandissimi colpi che l’elettorato italiano ha subito negli anni novanta. Lo scioglimento del Partito Comunista Italiano nel febbraio del 1991 e della Democrazia Cristiana nel gennaio 1994 hanno provocato sicuramente un senso di mancanza per un elettorato che era stato sempre abituato a votare per appartenenza partitica e, soprattutto, in contrasto alle altre forze politiche esistenti. In quegli anni il partito di massa aveva già lasciato spazio al ‘partito pigliatutto‘. Questo nuovo modello di partito, a differenza del precedente, non basava il rapporto con il proprio elettorato sull’ideologia, sull’appartenenza, ma su tematiche traversali in grado di coinvolgere tutta la popolazione. In questo modo quindi i partiti avevano già cambiato modalità di fare politica. Questo nuovo approccio dei partiti alla politica portò non solo le vittorie elettorali ma anche all’intensificarsi di un sistema corrotto che esplose nel 1994 con il grande processo di Tangentopoli e Mani Pulite. In questo panorama l’astensionismo si fece sentire durante le elezioni successive, portando l’asticella dell’affluenza sotto la soglia del 85%, mai raggiunta fino ad allora.
La Grande Recessione e le elezioni del 2008
La crisi economica che ha investito le vite degli elettori dal 2007 in poi ha provocato una seconda “svolta” per l’astensionismo. Infatti, se dall’altra parte dell’Oceano Atlantico Barack Obama veniva eletto come Presidente degli Stati Uniti d’America dopo una campagna elettorale fortemente incentrata sulla volontà di uscire dalla crisi, in Europa questo non è avvenuto. In Italia, ancor più nello specifico, gli elettori hanno subìto una classe politica e un apparato partitico che non è stato in grado di comunicare abilmente quello che stava succedendo o di proporre strategie che potessero alleviare una crisi economica al di fuori delle loro capacità.
Il risultato, scontato ma non capito a pieno, è stato ancora una volta un ampliamento dell’astensionismo come risposta a un non-dialogo da parte del delegato nei confronti del delegante. Mentre le campagne elettorali andavano avanti, infatti, i temi trattati non appartenevano a quello che doveva essere la guida di un Paese. Dopo un lieve rialzo della percentuale di affluenza al voto nel 2006, dovuto anche al grande scontro tra Berlusconi e Prodi, il 2008, dopo la bocciatura dall’interno del Governo Prodi, ha aperto un nuovo capitolo, ancora non finito, riguardo all’affluenza alle urne.
Il divario del 3% tra il 2006 e il 2008 è il primo dato, seguito da un ulteriore divario del 5% tra il 2008 e il 2013, quando l’affluenza ha registrato un altro minimo storico: 75,2%. In sei anni l’affluenza alle urne per le elezioni nazionali del popolo italiano è sceso dell’8%.
Cosa aspettarsi oggi
In questo scenario un altro elemento si aggiunge alla paura di un elettorato sempre più risicato che rischia di battere ancora una volta il record storico negativo italiano per affluenza alle urne. I partiti più grandi in corsa per le elezioni del 4 marzo sono guidati da leader che non hanno fatto della vicinanza ai cittadini uno dei temi centrali della propria campagna elettorale. La paura di perdere voti, di non far parte dell’alleanza di governo e di entrare, invece, in una crisi interna, stanno facendo sviluppare la campagna elettorale su linee poco rassicuranti. Al di là della capacità di mantenere o meno le promesse fatte durante questi due mesi, quello che l’elettore inizia a chiedersi è se vale veramente la pena intervenire nell’arena politica prendendo le parti di qualcuno.
L’astensionismo è sicuramente una voce entrata perentoriamente, e con sempre maggiore frequenza, nel nostro dibattito politico: bisogna prendere in considerazione questa fetta di popolazione non come ignorante o sfaticata. Al contrario, l’astensione è sempre di più omogenea all’interno della società italiana, senza distinzione di grado di istruzione od occupazione. L’appello di Mattarella per i giovani Millenials che saranno chiamati a votare per la prima volta in questo clima è molto significativo in una duplice direzione. Nella sua prima accezione, il discorso del Presidente della Repubblica fa il suo lavoro chiamando la popolazione italiana a prendere parte al voto di marzo, ricordando la fatica partigiana contro il fascismo che portò alla luce la democrazia e quindi anche la libertà di votare. Dall’altra, il Capo dello Stato si limita però a fare un appello sterile, già sentito e poco attraente in quanto trasmette poco a una popolazione che ha iniziato a capire come l’astensione sia una leva per essere liberi di scegliere. O anche di non scegliere, per evitare di schierarsi all’interno di un’arena politica in cui la fiducia tra elettore ed eletto è stata fortemente incrinata.
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