Il 28 dicembre, in Iran, nella città di Mashhad un centinaio di persone sono scese in piazza per protestare contro il caro vita e le nuove misure laiche del governo Rouhani. Queste proteste si sono allargate ad altre città vicine e ad altre zone del paese, in particolare nel Sud Ovest, dove l’economia è più fragile, e nel Nord Ovest, dove è avvenuto il terremoto pochi mesi fa. Da piccole proteste si sono trasformate in un grande problema per la Repubblica Islamica.
Sui media occidentali le proteste sono subito state inserite nella narrativa della “Primavera” del Paese. La popolazione è stata descritta come pronta a combattere il regime teocratico e a chiedere democrazia in salsa liberale. Tutto questo non è successo. Cerchiamo di fare chiarezza sulle ragioni, sui creatori e sulle conseguenze delle proteste.
“Non fomentare quello che non puoi controllare”
Per capire a fondo l’inizio delle prime proteste è necessario tornare al 10 dicembre 2017, quando Hassan Rouhani, in un discorso in Parlamento, ha attaccato in modo diretto il sistema conservatore iraniano. Il Presidente ha fatto una lista di enti nazionali che, nonostante siano in mano salda degli ultra conservatori, vengono pagati direttamente dal governo centrale.
Twenty-five percent of the money market is in the hands of six fraudulent institutions. When they want, they interfere with the money market, the gold market, the real estate market.
Con queste parole Rouhani ha sottolineato come le istituzioni governative nelle mani dei conservatori abbiano un potere assoluto sulla vita economica e politica della nazione. Le affermazioni hanno spaventato i conservatori iraniani, in particolare la parte secolare e militare che più è stata chiamata in causa da Rouhani.
La risposta non si è fatta attendere e nelle città del Nord sono state organizzate delle manifestazioni contro il governo. La popolazione è stata mobilitata dai gruppi ultra conservatori, tant’è che all’inizio i gruppi hanno inneggiato a Soleimani e a Kohemini contro Rouhani. L’attività di piazza della manifestazione ha, però, attirato anche i venditori di strada e i cittadini disoccupati, che frequentano molto le strade iraniane, e ha incominciato a modificare la propria natura. I manifesti contro la corruzione dei costumi di Rouhani sono stati sostituiti da cartelli contro il caro vita, contro la direzione economica del Paese e sono arrivati ad inneggiare alla cacciata del regime.
Le manifestazioni non sono una novità nel panorama iraniano, ma solitamente la polizia e le forze filo governative, come i bassijdi, sono sempre intorno ai manifestanti e non ne permettono il normale svolgimento. In questo caso però le proteste erano state organizzate dai conservatori e di conseguenza nessuno poteva impedire il loro svolgimento. I leader tradizionalisti provinciali si sono trovati per le mani una bomba che non riuscivano a controllare.
Le manifestazioni poi si sono allargate a macchia d’olio partendo dalle città del Nord. Il vento del malcontento, spinto dalla situazione economica, è andato prima verso Ovest e poi verso Sud Ovest trovando terreno fertile. Con le proteste che si moltiplicavano e i cittadini che formavano piccoli comitati territoriali il governo centrale, anche nella sua componente conservatrice, non poteva che reagire in modo duro e così è iniziata la repressione dei manifestanti.
Le ragioni della protesta
I media occidentali, e in particolare quelli americani, guardando le sommosse hanno subito additato la natura del regime iraniano come ragione alla base delle proteste, perdendosi molti dei fattori che le hanno scatenate.
La ragione principale che ha permesso a piccole manifestazioni nel Nord di trasformarsi in grandi manifestazioni nazionali può sicuramente essere trovata nella situazione economica del Paese. La disoccupazione resta al 12%, con una percentuale altissima tra le donne e i giovani, l’inflazione resta al 10%, e diventa anche più alta se si restringe al paniere di beni di prima necessità. Questo comporta un malcontento estremo nella popolazione iraniana, che si deve aggiungere alle ultime decisioni del governo Rouhani e alle aspettative frustrate della gente rispetto all’accordo sul nucleare.
Nelle ultime settimane, infatti, il governo ha portato a termine due operazioni, che erano previste dall’accordo sul nucleare, che hanno creato ulteriore scompiglio nell’economia. La prima azione è stata quella di chiudere piccole istituzioni finanziarie iraniane, largamente foraggiate dal governo negli anni, che fornivano prestiti al consumo alla popolazione. Questa decisione ha creato un enorme malcontento nella popolazione soprattuto perché questo sistema permetteva un supporto ai contadini durante il periodo di siccità annuale. La seconda decisione invece è stata quella di tagliare le sovvenzioni statali alle famiglie, per motivi di budget. Questa misura è stata percepita molto duramente dalle classi più povere, le quali vivono grazie a questi benefit.
La causa economica è sicuramente principale e centrale ma, allo stesso tempo, va presa in considerazione la motivazione legata alla frustrazione delle aspettative che la popolazione ha maturato negli ultimi anni. Il governo e il Supremo Leader avevano promesso che con l’accordo sul nucleare la popolazione avrebbe visto miglioramenti nella situazione economica, ma questo non è successo. In aggiunta la narrativa dei conservatori vicini ad Ahjamadinejad è riuscita a creare ulteriore malcontento nella popolazione.
Le conseguenze delle manifestazioni
La repressione ha portato 21 morti e circa 400 arresti, di cui la maggior parte sono stati rilasciati, ma oltre a questi effetti tangibili ha anche lasciato dei segni evidenti esterni e interni all’Iran.
La conseguenza esterna principale è che l’Iran ha mostrato la sua più grande debolezza ai suoi avversari internazionali: le divisioni interne. Fino a questo momento il paese degli Ayatollah era sembrato l’unico attore mediorientale a non mostrare difficoltà interne ergendosi a protagonista dell’area.
Per le conseguenze interne invece la prima è quella legata al mondo conservatore. Le elites tradizionaliste hanno dovuto attivare i propri uomini, bassidji e polizia locale, per reprimere la folla che avevano mobilitato loro stessi. Questo dato è stata sottolineato poco dai media internazionali, ma sicuramente avrà effetti soprattutto nelle città del Nord. Rouhani resta sicuramente il nemico numero uno in queste zone, dove il presidente ha preso pochissimi voti alle scorse elezioni, ma allo stesso tempo è riuscito ad allontanare i conservatori dalla popolazione e di conseguenza li costringerà a dover faticare per riavvicinarsi.
Se qualcosa ha guadagnato il governo del pragmatista Rouhani, allo stesso tempo i problemi restano molti. I conservatori, islamisti e secolari, sono comunque padroni dell’economia e della direzione estera del Paese, nonostante sia l’amministrazione Rouhani quella che verrà giudicata per il rendimento economico dei prossimi anni. Proprio per questo, nel famoso discorso del 28 Dicembre, il presidente aveva concluso affermando “Come posso guidare un Paese così?”. La risposta più efficace per il governo sarebbe quello di riuscire a dare garanzie alle richieste economiche popolari, ma allo stesso modo non ha gli strumenti per farlo.
La conseguenza più grande è sicuramente però legata alla natura del confronto politico all’interno dell’arena politica iraniana. La mossa dei conservatori ha mostrato ai riformisti che niente è vietato, anche mettere a rischio la stabilità stessa del paese. Questo porterà un’escalation di tensioni politiche che si riverserà anche in una possibile situazione di tensione quando l’ago della bilancia, Khamenei, farà un passo indietro.
Fonti e Approfondimenti:
https://www.voanews.com/a/iranian-leaders-divided-over-protests/4189173.html
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