Il Cile di Piñera verso la regolarizzazione di 300.000 migranti

Migranti Cile
@Leandro Kibisz - Flickr - Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

Lo scorso 9 aprile il neo eletto presidente del Cile Sebastian Piñera ha firmato il progetto di legge per rinnovare le norme sull’immigrazione nel Paese, ferme dal 1975 alla legislazione della dittatura di Pinochet. Il leader conservatore, insediatosi per la seconda volta alla presidenza l’11 marzo u.s., ha sorpreso tutti gli osservatori focalizzando l’attenzione sul tema dei migranti appena un mese dopo la propria elezione. Una scelta strategica quasi imprevedibile, considerando la completa assenza della tematica nelle pagine del Programa de Gobierno del 3 marzo 2017 e gli echi anti umanitari del progetto di legge proposto durante il suo mandato nel 2012, in cui, ad esempio, si escludevano gli immigrati irregolari dall’assistenza sanitaria nazionale.

Il successore di Bachelet, imprenditore multimilionario, si pone quindi come homo faber. “È arrivato il momento di fare ordine in questa casa, che è la casa di tutti” – ha dichiarato il presidente, annunciando che, in attesa dell’approvazione di una nuova legge da parte del parlamento, l’esecutivo normalizzerà per decreto “quelle situazioni che non possono aspettare oltre”.

I dati sull’immigrazione verso il Cile sottolineano la necessità di un cambiamento rispetto all’attuale legislazione, realizzata quando la percentuale di immigrati non arrivava allo 0.80% della popolazione totale del Paese ed erano molto più alti i numeri di chi, costretto o per volontà propria, abbandonava una nazione sottomessa alla dittatura. Questi numeri sono molto cambiati, pur restando sotto la percentuale media mondiale (3%), i cittadini stranieri presenti oggi in Cile superano il milione (2,1% della popolazione), seguendo una parabola ascendente che incomincia alla fine degli anni ’90 e continua a crescere esponenzialmente fino ai giorni nostri. I paesi maggiormente coinvolti nei flussi verso il Paese andino sono Perù (c.ca 300.000), Argentina (c.ca 150.00) e Bolivia (c.ca 90.000), i quali esportano prevalentemente lavoratori non specializzati, come nel caso dei migranti boliviani impiegati nelle miniere di rame nella regione di Antofagasta nel nord del Cile. Nello stesso tempo, pur rappresentando una parte esigua della popolazione, più del 40% di cileni ritiene gli immigrati responsabili dell’aumento delle attività criminali e ostacolo allo sviluppo economico. Ciò è rilevato in modo particolare nella suddetta regione di Antofagasta, al confine con la Bolivia, dove i partiti di estrema destra hanno vinto di molte distanze rispetto alle altre formazioni politiche. Forse anche per questo il primo effetto della nuova legge è stato l’abrogazione del visto di lavoro temporaneo per i lavoratori boliviani, lo scorso 23 aprile.

La nuova Ley Migratoria si pone l’obiettivo di regolarizzare circa 300.000 migranti irregolari attraverso l’attivazione di nuovi tipi di visti temporanei per lavoro e non. Uno dei cambiamenti più importanti riguarda il visto per turismo. Infatti, l’attuale legislazione permette ai cittadini stranieri entrati in Cile con questo visto, di chiedere il passaggio a uno di tipo lavorativo. Con il nuovo decreto, Piñera, elimina questa possibilità, consentendo l’emissione di questo permesso solo agli organi diplomatici cileni presenti nei paesi di provenienza dei migranti. Il testo poi, fa riferimento esplicito ai cittadini haitiani e venezuelani. Per i primi saranno previste facilitazioni nella richiesta di ingresso per “motivi di turismo, sport, salute, studio, affari, famiglia, religione o altro ma senza fini migratori o di lucro”. Per quanto riguarda i venezuelani invece, la nuova legge parla di un “visto di responsabilità democratica” in funzione della crisi che attraversa Caracas. Inoltre, viene esplicitamente vietato l’ingresso a tutti i richiedenti colpevoli di aver commesso reati, di qualunque natura, in Cile o nel paese di appartenenza, e sono autorizzati visti speciali per i così detti “highly skilled immigrants” provenienti da paesi più “sviluppati”.

Sembra quindi che la nuova amministrazione non propenda a distaccarsi dalla linea conservatrice e nazionalista tracciata dalla costituzione dell’epoca di Pinochet. Infatti, questa nuova politica sembra essere frutto di due volontà precise che scaturiscono dalla composizione del governo Piñera, quella neoliberale conservatrice e quella di estrema destra, alla quale sono stati affidati i ministeri dell’economia, dell’educazione, delle pari opportunità e dello sviluppo. I permessi di solidarietà democratica rivolti ai cittadini venezuelani (circa il 2% del totale degli immigrati in Cile) si rivelano essere uno strumento di soft power per attaccare ed isolare ancora di più il Paese di Maduro, già escluso dal Vertice delle Americhe, e nello stesso tempo, rimarcare l’inadeguatezza del modello di governo socialista. Eliminando la possibilità di trasformare il visto turistico in uno lavorativo, l’obiettivo è di limitare fortemente i flussi migratori dai paesi da cui arriva il numero più alto di lavoratori non specializzati. Ecco condensate le due dottrine, una volta a stringere i legami internazionali con i limitrofi governi conservatori e l’America del presidente Trump, l’altra a enfatizzare una politica protezionistica nazionale striata dalle venature del tipico populismo sudamericano.

In conclusione, le vite di chi abbandona la propria casa e intraprende viaggi interminabili e costellati di difficoltà, con il sogno e la speranza di costruire una nuova vita in un paese democratico, vengono continuamente ridotte a strumenti politici. Oggetti su cui basare la propria rielezione o i propri accordi internazionali, con buona pace della Convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo. Infatti, leggendo il programma della riforma, il progetto del primo mandato di escludere i migranti irregolari dall’assistenza sanitaria potrebbe divenire, a breve, realtà. In più, a sommarsi in uno scenario sempre più cupo, un reportage della BBC riporta le testimonianze di alcuni immigrati haitiani oggetto di persecuzione e discriminazione. In un Paese al 90% di discendenza europea e abituato ad un’immigrazione di questo tipo, l’arrivo di migliaia di migranti di colore in fuga dal disastro naturale che ha colpito l’isola nel 2010, ha scatenato reazioni “ungheresi” tra la popolazione e un sentimento di rifiuto che ha sicuramente pesato nel risultato delle scorse elezioni.

 

Fonti e approfondimenti:

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