Soft Power in Medio Oriente

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il Medio Oriente è stato dipito negli ultimi due decenni come la regione dell’Hard Power. Le potenze straniere hanno utilizzate il potere militare in varie occasioni, dall’Afghanistan sovietico alle successive missioni americane, ma anche le potenze regionali ci hanno abituato a non fare sconti e a essere pronte ad escalation sanguinose, come la missione saudita in Yemen e la guerra Iran Iraq.

Nel 1990 Nye definì il soft power come l’abilità di uno stato di attrarre, persuadere o cooptare un altro senza alcuno strumento di coercizione. Le possibilità e gli strumenti sono vari e gli esempi nella storia e nel mondo sono tanti. La Cina, il cui soft power in questo momento è largamente analizzato, sta sicuramente usando molto questo strumento, ma non si può negare che anche gli Stati Uniti, la Russia e l’Europa lo facciano.

 

Un paese può riuscire ad ottenere i risultati che vuole attraverso l’uso della propria economia o del proprio status internazionale. In Medio Oriente lo scontro tra i soft power degli attori avviene principalmente su un campo differente: quello ideologico religioso.

È facile comprendere come questo sia possibile. Tendendo conto che stiamo parlando di una regione che non solo non ha confini storici, ma che è egemonizzata culturalmente da una religione così importante come l’Islam. Di conseguenza, in Medio Oriente il soft power assume una si delinea come forza che influenza la popolazione di un paese terzo. Protagonisti e vittime del soft power in Medio Oriente sono quelle “Arab streets or squares” che nel 2011 sono salite alla ribalta sulle pagine dei rotocalchi.

Tenendo a mente questo quadro è chiaro come la demografia e le caratteristiche di una popolazione inficino sul soft power di un paese. Il classico esempio è il caso di uno stato a maggioranza sciita che difficilmente può essere influenzato dal soft power di un paese a maggioranza sunnita. In questo quadro va inserito il dato dei media transnazionali, come Al Jazzera e Al Arabya, che hanno fortemente inciso sulla regione. Cerchiamo di analizzare come tre grandi paesi, la Turchia, l’Arabia Saudita e l’Iran usano il proprio soft power e quali sono le differenze che li contraddistinguono.

Arabia Saudita

L’Arabia Saudita è il principe del soft power sunnita. Fin dagli anni ’70 Ryahd ha iniziato a descriversi come il vero interprete dell’Islam sunnita, in particolare dopo la relativa scomparsa dell’università di Al Azzam al Cairo come centro della fede.

Centri del soft power saudita sono le moschee, ma non solo le moschee wahabite. Il Ministero per gli affari islamici saudita finanzia migliaia di centri di culto islamici in Medio Oriente (non è possibile quantificare il supporto perché soltanto ci sono dati extraregionali e molti fondi sono indiretti). Di questi centri l’Arabia Saudita copre gli stipendi dei religiosi, i costi della costruzione degli edifici e le opere di carità. Allo stesso tempo Ryahd fornisce uno degli elementi più importanti: l’educazione. I sauditi infatti riescono a fornire nelle madrase, scuole islamiche, una formazione pro saudita a bambini o adulti che spesso si ritrovano ad avere esclusivamente questa formula educativa, dato che i paesi in cui vivono sono in disfacimento.


Poter fornire l’educazione al popolo di un paese è un grande vantaggio per uno stato rivale
. Allo stesso tempo, l’Arabia Saudita resta il principale fornitore di energia, di infrastrutture e di denaro, in valuta straniera, della regione, tre elementi che sicuramente aumentano la sua influenza. Nell’ultimo anno con le promesse riforme del principe Bin Salman anche un’altra forma di dipendenza si sta aprendo: il tentativo è quello di influenzare i mediorientali laici che dopo anni e anni potrebbero vedere in lui uno spiraglio nel consueto oscurantismo religioso.

Iran

Il soft power iraniano passa invece attraverso un sentimento molto diffuso nella regione: quello dell’Antiamericanismo. Il regime di Teheran fin dal ’79 ha fatto germogliare in vari paesi, a maggioranza sciita e non, il seme della “Resistenza islamica”. Difesa dall’infedele occidente e autonomia religiosa sono diventate due termini cardine nello sviluppo della sua influenza. Va sottolineato che più un paese ha subito guerre, soprusi, genocidi e violenze e più è avvicinabile e avvicinato dalle parole dell’Iran, che da sempre professa la sua lotta per gli ultimi e i diseredati.


Da aggiungersi a questo va sottolineata la capacità iraniana di fornire un sistema di supporto ai propri alleati, e a chi accetti di dialogare con Teheran, senza pari nella regione
. Il paese ha infatti mostrato un volto amichevole anche verso stati sulla carta avversari in caso di bisogno, inviando, per esempio, moltissimi medici in Pakistan durante i vari terremoti.

Come l’Arabia Saudita anche gli Iraniani stanno imparando a trasformarsi in portatori di istruzione a paesi vicini, come nel caso dell’Iraq. Un elemento che è stato molto sfruttato dal paese degli Ayatollah è il sistema universitario nazionale affiancato da piani per portare studenti esteri a studiare in Iran. Alla base di questo scambio vi è l’intento di formare le future classi dirigenti di quei paesi facendole amiche.

Turchia

La Turchia è forse il più particolare soft power della regione, ma anche il più facile da comprendere per noi occidentali. Ankara non ha mai potuto competere con “pedigree religiosi” quali quelli sauditi e iraniani e di conseguenza ha dovuto sfruttare altre capacità. Due sono principalmente gli elementi che caratterizzano il soft power turco: capacità tecniche e relazione con l’occidente europeo.

Il primo punto spiega la grande quantità di personale turco, o turcofono, che per anni ha insegnato nelle università di grandi paesi mediorientali come la Siria, l’Egitto e la Giordania. Questo ha fornito ad Ankara classi dirigenti amiche, o comunque capaci di ragionare nello stesso modo. Il secondo punto è invece la relazione con l’Europa che i Turchi hanno a lungo coltivato e che gli forniva non solo innovazione culturale, ma anche tecnologica che loro hanno poi potuto riportare ad altri paesi.

La Turchia ha sofferto molto il periodo ottomano sotto l’aspetto del soft power. Principalmente perché, se è vero che si confrontano con delle classi dirigenti amiche, allo stesso tempo devono fronteggiare popolazioni altamente ostili dopo il lungo periodo di sottomissione.

Negli anni della presidenza Erdogan questa linea del soft power turco sta cambiando, come si sta modificando l’anima del paese. Una Turchia più islamica sta iniziando una competizione con l’Arabia Saudita e questo si vede, per esempio, dal ruolo che Ankara sta giocando nella questione palestinese. Allo stesso tempo rimane comunque forte il ruolo economico del paese nel rapporto con altri stati mediorientali: la Turchia resta in media il secondo o terzo partner commerciale di qualsiasi capitale mediorientale.

 

 

Fonti e Approfondimenti

https://www.cfr.org/report/saudi-arabia-new-middle-east

http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2016/01/oman-saudi-arabia-iran-tension-execution-nimr-mediator.html# [Accessed 27 Mar. 2016].

http://csis.org/files/media/csis/pubs/0408_menc.pdf [Accessed 7 Jan. 2016].

https://softpower30.com/country/turkey/

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