“Restaurare l’accesso sovrano della Bolivia al mare farebbe una piccola differenza per il Cile, ma trasformerebbe il destino della Bolivia.” ha dichiarato l’ex presidente boliviano Eduardo Rodríguez Veltze dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia nel marzo del 2018.
Lo scorso 10 ottobre la Corte ha rifiutato l’istanza presentatagli dallo Stato Plurinazionale della Bolivia nel 2013 e, quindi, non ha riconosciuto l’obbligo da parte della Repubblica del Cile di negoziare con La Paz il pieno accesso sovrano all’Oceano Pacifico.
Il governo di Evo Morales, Presidente della Bolivia in carica dal 2006, si è appellato a un’acquisizione di derechos expectaticios (diritti di aspettativa), derivanti dalle proposte presentate da diversi governi cileni nel corso degli anni per rispondere alle pressanti richieste di restituzione di uno sbocco sull’oceano. Santiago sostiene che i vari tentativi di dialogare portati avanti dal Cile hanno rappresentato un atto di buona volontà e non il riconoscimento di un obbligo pendente verso lo Stato confinante, dato che i limiti frontalieri erano stati fissati e dunque la questione era già stata risolta con il Trattato de Paz y Amistad, stipulato nel 1904.
Con questo trattato i due Stati avevano posto, dopo decenni di negoziazioni, un sigillo al conflitto armato che li aveva contrapposti tra il 1879 e il 1884, a cui partecipò anche il Perù in quanto alleato della Bolivia. Il Cile acquisì territori boliviani per un’estensione di 120 000 km, che comprendevano il deserto di Atacama, grande serbatoio di risorse minerarie nonché grande attrazione turistica del Cile odierno, e l’unica costa di cui lo Stato andino disponesse. Il conflitto armato è passato alla storia come la Guerra del Pacifico, o del salnitro.
Lo scenario precedente e la Guerra
Sin dall’epoca coloniale, la Bolivia è stata una delle maggiori esportatrici di materie prime minerarie della regione, destinate alle piazze europee. Al primo posto vi era l’argento, estratto dalla più grande miniera del continente: il Cerro Rico di Potosí, che veniva trasportato verso la costa pacifica e da lì imbarcato per raggiungere il porto spagnolo di Siviglia. Da ciò si può intuire l’importanza dello sbocco marittimo per lo Stato andino per il commercio, prima coloniale e in seguito nazionale, e per la sua condizione geografica, che lo ha schiacciato tra le Ande, l’Amazzonia e i colossi argentini e brasiliani.
L’arrivo sulla costa era difficile in quanto bisognava attraversare l’aridissimo deserto di Atacama e il consolidamento degli accessi al mare fu sempre all’ordine del giorno per i governi ottocenteschi, il che alimentò le tensioni politiche già esistenti. La Bolivia ha di fatto vissuto un’instabilità politica molto forte sin dall’indipendenza del 1825, con un numero di golpes oltre le due cifre.

Il deserto di Atacama, Fonte: Lo Spiegone
Dopo l’argento, nella seconda metà del XIX secolo furono protagonisti altri minerali. La regione, una cui parte fu espropriata nella Guerra del Pacifico, l’attuale Norte Chico cileno, divenne la maggior esportatrice di salnitro, minerale dall’enorme valore in quanto molto richiesto come fertilizzante in Europa e soprattutto per la fabbricazione della polvere da sparo. I mediatori principali di questi scambi furono i commercianti britannici, che si arricchirono notevolmente grazie allo sfruttamento locale e acquisirono interessi prioritari su quei territori. Eduardo Galeano sintetizzò il paradosso della dipendenza economica del subcontinente americano verso l’Occidente, legata all’abbondanza di risorse del primo, dichiarando: “La nostra ricchezza ha sempre generato la povertà per accrescere la prosperità degli altri“.
Lo sviluppo e il popolamento del Norte Chico andarono di pari passo con l’estrazione mineraria. Molti cileni attraversarono il confine e si stabilirono in quei territori, allora appartenenti alla Bolivia, in quanto minatori o proprietari di imprese estrattrici, accrescendo in tal modo la loro influenza sulla zona e di conseguenza anche l’idea di prenderne possesso, dietro le pressioni dei britannici.
Il casus belli fu direttamente determinato dall’importanza economica dei minerali e arrivò nel 1878, quando il governo di La Paz, violando gli accordi stabiliti con il Paese limitrofo, decise di decretare una tassa di dieci centesimi per ogni quintale di salnitro estratto dall’Atacama. La risposta del Cile fu un’occupazione del deserto, che culminò nella Guerra del Pacifico, le cui conseguenze abbiamo riportato prima.
Il Trattato de Paz y Amistad del 1904
Per sopperire alla privazione di un accesso al mare, il trattato prevedeva una serie di clausole che racchiudevano obblighi da parte cilena, tra cui la costruzione di una ferrovia tra il porto di Arica e La Paz e diritti di libero transito verso i propri porti. La Bolivia sostiene l’inadempienza di Santiago a questi obblighi e l’ha usata come carta fondamentale nel ricorso alla Corte Internazionale di Giustizia, mentre il Cile insiste sul contrario. La questione si è poi evoluta, in quanto quel che la Bolivia chiede non è più un accesso agevolato ai porti cileni, bensì un accesso sovrano. Concretamente, il Paese vorrebbe un corridoio di 10 km di larghezza che parta dalla frontiera e arrivi sul Pacifico.
L’aspetto politico
La tempistica del ricorso dinnanzi alla Corte non è del tutto casuale e la sentenza arriva in un momento politico delicato: il presidente Morales, dopo essere riuscito a instaurare un numero illimitato di candidature presidenziali, riaffronterà per la quarta volta consecutiva le elezioni, nel 2019. In quanto primo presidente indigeno nella storia del continente, è spesso dipinto come idolo politico degli indigeni, che rappresentano il 50% della popolazione, nonché la sua base elettorale iniziale. Nonostante le numerose riforme per il riconoscimento dei diritti delle comunità autoctone portate avanti con successo dal presidente, di recente queste hanno iniziato a mettere in dubbio il loro appoggio a Morales, che è dunque in cerca di nuovi consensi.
All’interno di questo quadro si pone la perseveranza per la questione del mare, che può essere letta come una manovra politica nell’intento di riaccendere lo spirito nazionalistico: in effetti viene ciclicamente riproposta a tale scopo. Per illustrare l’importanza della causa basta sottolineare che ogni 23 marzo si celebra il Día del Mar, per commemorare la perdita del litorale.
Un’altra chiave di lettura potrebbe essere quella acclamata dal presidente sin dalla sua elezione, vale a dire la volontà di decolonizzare il Paese, attraverso la ripresa del controllo delle risorse naturali e la volontà di tirarlo fuori dalla povertà che lo contraddistingue, e che secondo molti è causata anche dalla mancanza di uno sbocco sul mare.
Quando ci si avvicinò a negoziare
Nel 1975 le condizioni politiche sembravano favorevoli: entrambi i governi erano guidati da dittature militari di destra ideologicamente affini. Augusto Pinochet da Santiago e Hugo Banzer da La Paz si incontrarono per negoziare, ma malgrado la speranza l’accordo non resse per il rifiuto peruviano legato ai territori che sarebbero stati ceduti. Dopo di che arrivò l’idea di un progetto decisamente originale proposto da Lima che però non vide la luce. Si prevedeva la tripartizione di un territorio tra i tre Paesi. In seguito a questi ripetuti fallimenti, le delegazioni diplomatiche si ritirarono e dal 1978 il Cile e la Bolivia mantengono solo relazioni consolari.
Più di recente, con l’elezione simultanea di Morales e Bachelet, i due governi instaurarono un’agenda di questioni da affrontare nella quale il conflitto marittimo ricopriva il primo posto. Le negoziazioni avvennero per lo più in segreto e non si è fatto alcun passo in avanti.
Oltre il Cile
In realtà la Bolivia dispone di alternative per usufruire dell’accesso al mare. Nel 1992 ha firmato un trattato con il Perù col quale quest’ultimo le ha ceduto il porto di Ilo per 99 anni per scopi commerciali e turistici, con la costruzione di Boliviamar, una spiaggia balneabile. Oltre 25 anni dopo purtroppo la Bolivia non è riuscita a sfruttare la concessione, abbandonando i luoghi.
L’unico altro Stato del continente a non avere uno sbocco sul mare è il Paraguay, dal quale la Bolivia, in conseguenza della guerra persa negli anni Trenta per la regione del Chaco, ha ottenuto un porto sul Río Paraguay, fiume che sfocia nell’Atlantico all’altezza dell’Argentina. A causa delle grandi distanze per raggiungere il porto e in seguito le acque marittime, il porto Busch è sfruttato al minimo.
Infine, la Bolivia ha stipulato con l’Argentina, il Brasile e l’Uruguay diversi trattati che le hanno concesso agevolazioni per esportare dai loro porti.
Lo Stato andino non riesce tuttavia ad approfittare di queste concessioni e la mancanza di fondi e di infrastrutture influiscono sicuramente, ma il vero tallone d’Achille boliviano resta la mancanza di un accesso sovrano al mare, che porta lo Stato a insistere sul dialogo con il Cile, dato che i territori sottratti nel lontano conflitto ottocentesco rappresentano (idealmente e nostalgicamente) l’unica possibilità di sventolare la bandiera rossa gialla e verde sul litorale.
Il nazionalismo e il rancore boliviani sorreggono questa crociata da più di un secolo, ma il Cile non ha intenzione di cedere alcun territorio. Il governo di Santiago dovrebbe venire incontro alla Bolivia tramite ulteriori agevolazioni, in quanto questo problema ostacola anche l’integrazione del continente, ma probabilmente l’unica opzione concreta per il governo di La Paz resta quella di potenziare gli accordi esistenti elencati precedentemente.
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