La costruzione dell’America latina: l’indipendenza

Indipendenza
@MiguelVictoriano - Wikimedia Commons - CC BY SA 4.0

In questo articolo ci concentreremo sui legami che vi sono stati tra storia coloniale, dinamiche dell’indipendenza e realtà politiche successive in America latina.

Le contraddizioni

L’America latina è stata caratterizzata principalmente da quattro grandi contraddizioni. La prima riguarda questioni temporali, che ne fanno una realtà allo stesso tempo giovane e vecchia: in questi ultimi decenni le diverse nazioni celebrano il bicentenario delle loro indipendenze, ma la storia che le accomuna e che le ha plasmate è iniziata nel 1492, con l’arrivo dei conquistadores.
La seconda concerne l’equilibrio del patto politico e sociale: le diverse nazioni hanno attraversato molteplici tumulti popolari e golpes, ma allo stesso tempo le strutture sociali ed economiche di base – le disuguaglianze e lo sfruttamento – sopravvivono più o meno stabilmente dall’epoca coloniale.
La terza si riferisce invece alla dimensione della libertà rispetto a potenze esogene: l’America latina è passata da una condizione di colonia a quella di molteplici Stati politicamente indipendenti, ciononostante sottomessi a un neocolonialismo economico da parte delle grandi potenze, in primis gli Stati Uniti.
La quarta contraddizione è legata alla ricchezza: le enormi risorse naturali e minerarie sono sempre coesistite con un tasso di povertà molto alto, soprattutto presso chi lavora all’estrazione e alla coltivazione delle materie prime destinate all’esportazione.

L’America latina nello scacchiere internazionale

Già nel 1823, l’allora presidente degli Stati Uniti James Monroe enunciò le linee portanti della politica internazionale statunitense, sintetizzate col nome di dottrina Monroe. Con la formula “l’America agli americani” i nordamericani sancivano un avvertimento alle nazioni europee affinché non intervenissero nelle vicende delle neonate nazioni latinoamericane, in cambio dell’astensione statunitense da coinvolgimenti in quelle del vecchio continente. Così Washington intendeva proteggere l’indipendenza delle ex colonie iberiche, nascondendovi dietro la nascita della propria egemonia e del proprio unilateralismo nell’area. Questa divenne il “cortile di casa” degli Stati Uniti, con il susseguirsi di interventi diretti e indiretti nelle vicissitudini politiche locali.

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Un’indipendenza politica dalle basi fragili

Il fatto che i confini nazionali fossero il mero ricalco delle demarcazioni amministrative coloniali e che il potere fosse in mano a pochi creoli fece sì che mancasse un’identità comune nazionale sulla quale costruire una base politica ed economica forte.

Per quel che riguarda l’economia, il sistema coloniale aveva lasciato una realtà in cui mancavano sia mercati interni che industrie locali. Per di più, la ricchezza era distribuita in modo diseguale sia a livello geografico – concentrandosi intorno ai centri commerciali legati alle miniere e alle piantagioni – che sociale. A peggiorare la situazione si sommarono gli anni di lotta per l’indipendenza contro gli eserciti reali, che generarono costi enormi. E fu proprio in quelle guerre che nacque quel legame intrinseco tra patria e militari, che divenne una caratteristica spiccata della politica della regione per tutto l’Ottocento e gran parte del Novecento.

Il fallimento delle classi politiche

La peculiarità della regione è data dal fatto che gli eserciti e i caudillos sono nati prima degli Stati nazionali e delle classi politiche dirigenti, le quali non avevano l’esperienza necessaria per avviare la vita repubblicana. La società civile era estremamente debole, poco partecipativa e marginalizzata dalle decisioni. La classe politica era precaria, comportandosi più da dominatrice che da dirigente. Il taglio elitista della struttura sociale determinò così il mancato sostegno popolare a un eventuale progetto politico nazionale di lunga durata. Inoltre, i lunghi anni di conflitto avevano degradato l’apparato burocratico, nato durante la colonia, che assicurava l’ordine.

Il militarismo

Usciti trionfanti dalle guerre di indipendenza e senza concorrenti forti, i militari presero il potere. La legittimità acquisita sui campi di battaglia gli attribuì la legittimità a governare. Formatisi con la spada in mano, non la lasciarono riposare una volta al potere e nati autonomamente dallo Stato, si circondarono di persone di fiducia generando fenomeni quali clientelismo e corruzione. Inoltre, i sistemi politici che si andavano formando si basavano su istituzioni aliene, impiantate emulando i processi occidentali. Per la mancanza di una struttura locale, questi sistemi finirono con l’essere permeati di autoritarismo di stampo militare.

Il caudillismo creò quel circolo vizioso responsabile di uno dei drammi politici che ha accompagnato sin dall’indipendenza le nazioni del subcontinente: l’instabilità. La lotta per il potere tra le diverse fazioni militari ostacolava la nascita di una classe politica competente e rendeva endemica la fragilità dello Stato.

In tal modo il militarismo, nato dalla condiscendenza della classe politica fallita, ha condizionato negativamente la formazione degli Stati nazionali così come li intendiamo in Occidente.

Le frontiere e il nazionalismo

I militari tornarono presto sul campo di battaglia in occasione di diversi conflitti frontalieri, come ad esempio la Guerra del Pacifico tra Cile, Perù e Bolivia. Come conseguenza di questi scontri, nacque o si accentuò il nazionalismo in America Latina. In più, i militari poterono affermarsi ancora una volta come salvatori della patria. Il militarismo si inserì così come valore essenziale della nazione e della difesa dell’integrità territoriale. In questo clima, anche chi diffidava dei militari li temeva, alla luce dei loro privilegi e delle ricorrenti repressioni, motivo che spiega la loro longevità al potere.

Il nuovo ordine

A poco a poco, le altre forze interne riuscirono a convergere e a mettere in piedi alleanze, che includevano inevitabilmente i militari. Si delineò in tal modo il un nuovo ordine, che non poté fare a meno di un nuovo patto per rimpiazzare quello coloniale. Due fattori ne determinarono la natura. Innanzitutto, vi era il ruolo dell’America latina nell’economia-mondo come esportatrice di materie prime. Per di più, restava la sottomissione locale delle masse contadine, dei minatori e dei lavoratori urbani poveri – principalmente indigeni e neri – ai gruppi che avevano rimpiazzato gli iberici in quanto dominatori: i proprietari terrieri e in seguito gli emissari delle economie occidentali. Il nuovo patto fu dunque ancora una volta di stampo coloniale. In quest’ottica, nella seconda metà dell’Ottocento si sviluppò ulteriormente il fenomeno di accaparramento delle terre indigene. Sommandosi allo sfruttamento e alla marginalizzazione precedenti, nel nuovo secolo i nativi iniziarono a creare movimenti per recuperare le loro terre, acclamando la riforma agraria. Di conseguenza, la questione della terra ha segnato indelebilmente le vicende di nazioni intere, soprattutto quelle con alti tassi di popolazione indigena. Esempi di ciò furono il Messico della rivoluzione del 1910 legata alla figura di Emiliano Zapata, il Guatemala degli anni Cinquanta e il Cile degli anni Settanta, dove l’intento di riforma agraria ha decretato l’esilio o la morte dei presidenti che le volevano portare avanti e l’instaurazione di dittature militari di destra.

Verso l’istituzionalizzazione delle forze armate

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, si tentò di voltare la pagina del militarismo. La manovra consistette nel provare a convertire le forze armate in un’istituzione statale che potesse garantire il nuovo patto. L’istituzionalizzazione degli eserciti non sfociò nel loro allontanamento dal potere bensì li rese indispensabili al funzionamento del governo, sul quale continuarono a esercitare un forte controllo. Così, la regione fu condannata a un sottosviluppo politico che si è manifestato nei numerosi golpes attuati da militari qualora chi governasse non scendesse a patti con loro. Ne risultò una condivisione del potere tra politici e militari, per evitare dittature, che indebolì il potere discrezionale dell’autorità civile. La mancanza di meccanismi per risolvere le crisi politiche e la consuetudine dell’intervenzionismo militari sono stati grandi ostacoli alla democrazia latino-americana. Questa riuscì a instaurarsi, non esente da grandi lacune, solo nella seconda parte del Novecento.

La Chiesa cattolica

Con il distacco dalla Spagna finì anche il patronato regio, vale a dire il sistema di organizzazione della Chiesa cattolica nelle colonie controllato dalla Corona. Per proteggersi dall’ondata liberale fortemente anticlericale, la Chiesa cattolica pattuì dei concordati con le nuove nazioni. La prima perse parte del suo potere e le seconde – inizialmente – dichiararono il cattolicesimo come religione di Stato.

Durante l’epoca coloniale, l’enorme potere della Chiesa cattolica derivava dal suo monopolio sulla formazione culturale degli americani, nonché dall’essere l’unico credo presente nell’area. Queste condizioni determinarono un attaccamento molto forte da parte delle masse, soprattutto quelle indigene, che videro la Chiesa come loro unico difensore.

In una società in cui il potere è elitario e le masse sono marginalizzate, il ruolo della Chiesa divenne fondamentale per mantenere ordine e potere. Da qui nasce il compromesso tra la politica e la religione cattolica. Questo è sopravvissuto fino ai giorni nostri, nonostante l’evoluzione laica di molti Paesi della regione. Il Brasile ci offre due esempi recenti di quel compromesso storico.
L’ex presidente Lula venne eletto nel 2003 anche grazie all’appoggio della Chiesa cattolica, e l’importanza del sostegno della Chiesa evangelica è stata evidente nell’elezione dell’attuale presidente brasiliano Bolsonaro.

Certi fattori storicamente strutturali delle società latinoamericane – come la disuguaglianza – hanno aperto le porte all’alleanza tra mondo politico e religioso. Un esito di quest’alleanza è il ritardo di certe politiche pubbliche, frenate dal conservatorismo religioso.

La vita politica, sociale ed economica dell’America latina è stata dunque sempre plasmata dalla sua eredità coloniale, che non le ha permesso uno sviluppo autonomo. Oggi la situazione in certi Paesi è notevolmente migliorata. Ciononostante, anche il Cile, che detiene l’economia più forte della regione, ha attraversato di recente una lunga dittatura militare e vive tuttora contraddizioni interne legate alle questioni dell’estrazione mineraria e delle comunità indigene, in un clima di grande disuguaglianza.

Fonti e approfondimenti

Enrique Bernales Ballesteros, Rol y actuación de las Fuerzas
Armadas en América Latina

Tulio Halperín Donghi, Historia contemporánea de América Latina, Alianza Editorial, 2013

Daniele Pompejano, Storia dell’America Latina, Bruno Mondadori, 2012

Marta Osuchowska, The Influence of the Catholic Church in Latin America under the Concordat Regulations – Legal and Historical Studies, 2014
Thomas E. Skidmore & Peter H. Smith, Historia Contemporánea de América latina

Loris Zanatta, Storia dell’America Latina contemporanea, Editori Laterza, 2010

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