Secondo articolo del ciclo sui candidati alle Primarie democratiche in cui andremo a conoscere chi sono i nomi in campo, la loro storia politica, le loro possibilità di vittoria e i possibili scenari che si aprono con la loro candidatura. Oggi parliamo di Cory Booker e John Delaney.
Cory Booker
Esperienze pregresse e temi
Cory Booker, senatore del New Jersey, è uno dei nomi più interessanti nel panorama dei candidati democratici alle prossime presidenziali. Laureatosi a Stanford in scienze politiche nel 1991, l’anno seguente prende un master in sociologia. In seguito vince una borsa di studio, grazie alla quale si laurea con lode in storia presso l’università di Oxford. Consegue successivamente, nel 1997, un dottorato in giurisprudenza alla Yale Law School, gestendo cliniche legali gratuite per i residenti con un basso reddito a New Haven, nel Connecticut.
Dopo essere stato sindaco di Newark per 7 anni, dal 2006 al 2013, Booker si è candidato con successo al Senato, diventando il primo senatore afroamericano del suo stato. Ha annunciato in un video la sua candidatura il primo giorno del Black History Month dichiarando che “La storia della nostra nazione è definita dall’azione collettiva, dai destini intrecciati di schiavi e abolizionisti, di quelli nati qui e di quelli che hanno scelto l’America come casa.”
I’m running for president. Join me on this journey. https://t.co/fEDqOVIfwh pic.twitter.com/h1FTPUYRzo
— Cory Booker (@CoryBooker) February 1, 2019
Essendo un ambizioso e talentuoso politico afroamericano, è stato più volte comparato a Barack Obama, da lui sostenuto in entrambe le sue corse alla presidenza. Si è dichiarato favorevole all’assistenza sanitaria per tutti, e ha annunciato che per questa campagna non prenderà più soldi derivanti dai PAC opponendosi a chi li utilizzerà, dopo essere stato in precedenza criticato da molti progressisti a causa dell’aiuto che in passato ha ricevuto da alcune donazioni provenienti da Wall Street.
I sostenitori di Booker ritengono che la sua storia da sindaco e amministratore lontano da Washington potrebbero aiutarlo visti i buoni risultati ottenuti a Newark, a discapito dei critici che invece lo accusano di non essere stato in grado di mantenere le sue promesse di rimodellare la città.
Il manager della sua campagna sarà Addisu Demissie, che già nella sua candidatura al Senato nel 2013 aveva lavorato con lui, e che in passato ha collaborato con John Kerry nel 2004 e con Hillary Clinton nel 2008.
Possibilità di vittoria
Secondo il modello a cinque blocchi di FiveThirtyEight, Cory Booker è uno dei candidati che presenta il maggiore equilibrio in tutte queste categorie. Booker è considerato uno dei democratici di punta per conquistare votanti neri e millennials, mentre l’unica categoria in cui è in difficoltà sono gli elettori di sinistra. Il Senatore del New Jersey, infatti, ha costruito la sua carriera politica su programmi liberali, che lo avvicinano all’ala più centrista del partito ma lo rendono meno appetibile per l’ala socialdemocratica che si sta sviluppando nel Partito Democratico statunitense.
In funzione di questo equilibrio, Booker parte da una base solida, che lo rende uno degli outsider al di là del duo Sanders-Harris (con Biden alla finestra, se l’ex vicepresidente dovesse candidarsi) con maggiori chance di upset, ovvero di far saltare il banco. Booker potrebbe rendere la vita difficile ai nomi grossi, mantenendo il proprio nome in corsa fino agli ultimi Stati ed, eventualmente, costruendo una base solida quantomento per conquistarsi il ruolo di vice.
Gran parte delle sue chance passerà da un buon risultato nei primi caucus, che potrebbe convincere Booker, qualora dovesse essere almeno in 3°-4° posizione, a sostenere lo sforzo della campagna elettorale a lungo. Se, poi, si dovesse confermare come uomo di punta per millennials e afroamericani, senza perdere troppo terreno nelle altre fasce della popolazione, una sua vittoria potrebbe diventare possibile.
Giudizio complessivo: candidato di seconda fascia
Possibili scenari
Per Booker, il best case scenario si realizza se riesce a tenere nei caucus a grande maggioranza bianca e in quelli che, secondo le proiezioni, saranno più spostati a sinistra (nelle zone della Rust Belt e del Midwest). Inoltre, dovrebbe provare a vincere la gara con Kamala sui votanti afroamericani e con Bernie sui millennials, scenario che, come detto, non sarebbe impossibile. La sua campagna, che avrà un’impronta molto idealista e liberal, potrebbe trovare terreno fertile in un’America che ha bisogno di speranza dopo l’era Trump.
Un’altra possibilità è quella già paventata precedentemente, ovvero che non riesca a vincere la candidatura democratica, ma che un risultato dignitoso lo proietti a candidato di punta per la vicepresidenza, soprattutto nel caso in cui le primarie andassero a un bianco. Si garantirebbero così rappresentatività alla minoranza afroamericana e maggiori chance di vittoria ai Democratici.
John Delaney
Esperienze pregresse e temi
Il deputato del Maryland John Delaney, è stato invece il primo ad annunciare la sua candidatura alle primarie del Partito Democratico. Laureato in legge alla Georgetown University, Delaney è un imprenditore di successo che ha co-fondato due società: la Health Care Financial Partners (HCFP) nel 1993, per mettere a disposizione prestiti a fornitori di servizi sanitari di piccole dimensioni presumibilmente ignorati da banche più grandi e nel 2000 la CapitalSource, un istituto di credito commerciale con sede a Chevy Chase, nel Maryland.
Quest’ultima società ha fornito capitale a circa 5.000 piccole e medie imprese ricevendo un premio dal Fondo per le Istituzioni Finanziarie di sviluppo della Comunità da parte del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti per gli investimenti nelle comunità a basso reddito e in difficoltà economica.
Di orientamento moderato, Delaney non sembra essere particolarmente vicino alla spinta progressista che in questo momento caratterizza il partito. In passato, ha infatti sostenuto il Trattato economico Trans-Pacifico e il bisogno di un aumento del salario minimo per gli importi inferiori ai 15$ al contrario dell’ala progressista del partito.
Per quanto riguarda la sua campagna elettorale, il deputato del Maryland sostiene che bisogna guardare al futuro favorendo la produttività, creando nuove infrastrutture e dare vita a una nuova riforma fiscale. Importanti in tal senso gli investimenti in istruzione, scienza e ricerca, attraverso le quali creare una classe media più forte, incoraggiando una forma più inclusiva di capitalismo aiutando le nuove imprese per implementare l’assunzione di nuovi lavoratori.
Per Delaney vanno inoltre riformati i sistemi di istruzione, di assistenza sanitaria e di immigrazione incoraggiando a fare più volontariato. Questi, i temi della sua campagna.
Possibilità di vittoria
Primo ad annunciare la sua candidatura, addirittura nel lontano luglio 2017, Delaney è un candidato che ha decisamente poche chance anche solo per farsi notare durante le primarie o per creare una base e un movimento solidi – o quantomeno paragonabili a quelli dei candidati di prima o seconda fascia, che saranno probabilmente massicci – che possano aiutarlo in una campagna elettorale che si preannuncia molto combattuta, in cui organizzazione, finanziamenti e volontari saranno cruciali.
Il suo messaggio di bipartisanship avrà probabilmente poco successo, in un momento in cui la conflittualità sociale in America è molto alta e il compromesso coi Repubblicani inviso a molti elettori e membri del Partito, che chiedono la linea dura contro Trump e le sue politiche. Nel modello di FiveThirtyEight, a questo proposito, Delaney ha un punteggio basso in tutte le categorie di votanti, che molto probabilmente gli preferirebbero un candidato più giovane, convincente o conosciuto, qualunque sia la loro provenienza etnica o sociale.
Giudizio complessivo: candidato di quarta fascia
Possibili scenari
Anche in un campo aperto come questo, il nome di Delaney sembra destinato a finire presto nel dimenticatoio. La cosa più probabile, per ora, sembra essere una campagna elettorale sottotono, poco appetibile e che lo veda ritirarsi già dai primi Stati, in cui è difficile vederlo entrare nei primi dieci per preferenze dell’elettorato. Qualsiasi scenario che lo veda gareggiare al pari dei nomi di punta di questa corsa sarebbe una sopresa per tutti, sia analisti che politici.
L’unico suo vantaggio è che, essendo un nome poco conosciuto e che avrà poca copertura, potrebbe evitare di finire nel fuoco incrociato degli altri candidati. Nell’improbabile caso che tutti i big si eliminino a vicenda, in un gioco a somma zero, il nome di Delaney potrebbe uscire fuori dall’anonimato.
Fonti e approfondimenti:
John Delaney, John Delaney: Why I’m running for president, 28/07/2018, The Washington Post
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