Il difficile rapporto tra Orbán e il PPE

L'Ungheria di Orbán è un attore fondamentale nei Balcani.
@EPP - Flickr.com - CC BY 2.0

Il rapporto tra il gruppo del Partito Popolare Europeo e Viktor Orbán si fa sempre più teso, soprattutto alla luce della decisione del primo ministro ungherese di farsi riconoscere dal Parlamento i pieni poteri, dopo aver dichiarato lo stato d’emergenza a causa della pandemia di Covid-19.

Ma il legame tra i popolari e il leader di Fidesz era già da tempo compromesso e la permanenza del partito di estrema destra nel gruppo potrebbe essere vicina alla fine. Intanto, gli euroscettici sperano nella rottura definitiva.

Le reazioni del PPE alla presa dei pieni poteri di Orbán

Subito dopo il voto del Parlamento ungherese, che limita in maniera sostanziale il funzionamento delle istituzioni democratiche, la libertà d’informazione e, in generale, i valori dello Stato di diritto riconosciuti dai Trattati europei, diversi esponenti del gruppo popolare hanno dichiarato la loro totale contrarietà. In molti considerano le misure in questione pericolose e sproporzionate rispetto al tipo di emergenza sanitaria che l’Ungheria, come tutti gli altri Paesi, è costretta a fronteggiare.

Tre giorni dopo l’adozione della controversa legge ungherese, 13 leader di partiti membri del PPE (rappresentanti di 11 diversi Stati) hanno inviato una lettera al presidente del Partito Popolare Europeo, Donald Tusk. In questa lettera si fa esplicita richiesta al presidente di espellere Fidesz dal gruppo, in quanto la presa dei pieni poteri da parte di Orbán viene considerata come una «chiara violazione dei principi fondamentali dell’Europa liberale e dei valori europei».

La sospensione di Fidesz

Del resto, la permanenza di Fidesz all’interno del PPE era stata già contestata in diverse occasioni da altri partiti membri del gruppo. Il malcontento generale si era acutizzato durante la campagna elettorale per le elezioni europee del 2019, quando Orbán aveva avviato una vera e propria campagna diffamatoria nei confronti dell’Unione europea e dell’allora presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, accusato di favorire l’immigrazione clandestina.

Lo scontro si era risolto con la sospensione di Fidesz dal PPE. La decisione era stata presa nel marzo del 2019 dall’Assemblea politica del gruppo. In quell’occasione i popolari si erano dimostrati uniti contro il partito di estrema destra ungherese, con 190 voti a favore della sospensione e solo 3 contrari. Il provvedimento è stato, inoltre, prolungato con un ulteriore voto dell’Assemblea nel marzo 2020.

La decisione è stata ufficialmente giustificata dal PPE affermando che i valori su cui si fonda il gruppo popolare non possono essere messi in discussione e per questo al suo interno non possono essere tollerate limitazioni alla democrazia, al principio di legalità, alla libertà di stampa. Inoltre, si condanna ogni forma di retorica anti-europeista. 

Di fatto la sospensione impedisce agli europarlamentari di Fidesz di partecipare alle riunioni di partito e alle votazioni interne al gruppo, ma non intacca in nessun modo i loro diritti in seno al Parlamento europeo.

L’attivazione dell’art. 7 TUE e la spaccatura interna al gruppo

Se per il voto sulla sospensione di Fidesz i popolari si sono dimostrati uniti nell’intraprendere la linea dura, ciò non è accaduto per un altro voto riguardante Orbán e il suo partito. Nel settembre del 2018, quando il Parlamento europeo ha votato per l’attivazione dell’art. 7 TUE (che prevede la sospensione dei diritti di adesione all’Unione europea in caso di gravi violazioni dei principi comunitari), all’interno del PPE si sono create diverse fratture.

Le posizioni tenute all’interno dei popolari furono tre. Il gruppo maggioritario era quello della linea più dura, favorevole all’attivazione dell’art. 7, alla sospensione del partito ungherese dal PPE e non del tutto restio all’idea di una possibile espulsione. Linea decisamente più morbida quella espressa dall’allora presidente del PE, Antonio Tajani, che minimizzava le violazioni dei principi democratici da parte del primo ministro ungherese. Linea a metà tra la fermezza e la flessibilità quella adottata da Manfred Weber, all’epoca spitzenkandidat del PPE, che, pur non negando l’esistenza di problemi gravi di Stato di diritto in Ungheria, pensava che essi dovessero essere risolti attraverso una discussione costruttiva all’interno del gruppo e non allontanando Orbán dal PPE.

Alla votazione gli eurodeputati popolari si presentarono senza un’indicazione di voto da parte del gruppo, ma la maggioranza di essi votò per l’applicazione dell’art. 7.

Perché il PPE non espelle Fidesz?

I motivi che stanno alla base di questo controverso rapporto, in cui in molti sembrano essere contrari alla permanenza di Fidesz nel PPE ma pochi sembrano essere davvero convinti che espellere il partito ungherese sia la scelta giusta, sono tanti e di diversa natura.

Il PPE davanti ai comportamenti di Orbán si trova da sempre diviso tra opportunismo politico e questioni di principio. Il giudizio critico sull’atteggiamento anti-democratico e anti-europeista del Primo ministro ungherese è ormai unanime all’interno dei popolari, ma esiste una parte considerevole dei partiti membri disposta a chiudere un occhio sulle ripetute violazioni di Orbán pur di tenerlo all’interno del gruppo.

Il problema principale è che il PPE teme che la fuoriuscita dei 12 eurodeputati di Fidesz possa indebolire la posizione del gruppo e modificare, seppur in minima parte, gli equilibri all’interno del Parlamento europeo. La compagine dei popolari che condivide questo timore non è soltanto numerosa ma anche molto potente, facendone parte Forza Italia, i popolari spagnoli, i repubblicani francesi e, soprattutto la CDU/CSU tedesca.

Perché Orbán non vuole lasciare il PPE?

Dal canto suo Viktor Orbán, pur essendo spesso molto critico nei confronti dei popolari, non ha mai dichiarato di aver preso in seria considerazione l’idea di lasciare il PPE per aderire a uno dei gruppi della destra sovranista ed euroscettica.

Questo innanzitutto perché appartenere al gruppo più grande e prestigioso del PE ha un impatto notevole sulla sua immagine a livello internazionale. Far parte del gruppo parlamentare al potere nell’UE significa prender parte alle decisioni importanti e avere più voce in capitolo di quanta ne avrebbe facendo parte di un gruppo euroscettico e dell’opposizione.

Ma lo scopo di Orbán potrebbe essere diverso, più ideologico che politicamente strategico. Secondo il leader ungherese infatti sarebbe importante rimanere all’interno del PPE per avere la possibilità di cambiarlo dall’interno, trovando alleati che possano appoggiare il suo piano di spostare il gruppo dal centro-destra alla destra più estrema, per poter poi pensare a un’alleanza con i gruppi euroscettici e spostare gli equilibri di potere dell’intera Unione.

Le trattative tra Orbán e i gruppi euroscettici

Ovviamente questo è un piano di difficile attuazione e, anche qualora dovesse funzionare, sarebbe più sul lungo periodo che nel breve termine. Per questo motivo, e soprattutto per tutelarsi in caso di espulsione dal PPE, Orbán mantiene numerosi contatti con i principali partiti euroscettici che da anni lo corteggiano affinché decida di abbandonare i popolari per prender parte a uno dei due gruppi sovranisti di destra presenti nel PE.

Proprio negli ultimi mesi sembrerebbero essere aumentati i contatti tra Fidesz e il partito di estrema destra polacco Diritto e Giustizia. Argomento principale di questi scambi sembrerebbe la possibilità per Fidesz di aderire al gruppo dei Conservatori e Riformisti europei come punto di riferimento, al pari del partito polacco. Invece, Orbán sembrerebbe contrario a una qualsiasi collaborazione con il gruppo Identità e Democrazia, guidato dalla coppia Salvini-Le Pen.

Il PPE davanti a una scelta decisiva

Allo stato attuale delle cose, con Orbán che ha violato in maniera ancor più decisiva lo Stato di diritto in Ungheria e il nuovo presidente del PPE Tusk sempre più restio a chiudere un occhio sulle decisioni anti democratiche del leader ungherese, il legame tra i popolari e Fidesz potrebbe essere arrivato al punto di svolta decisivo. Ovviamente la crisi legata alla pandemia Covid-19 paralizza le decisioni al riguardo e un’assemblea politica dei popolari per decidere a riguardo potrebbe aver luogo soltanto a settembre.

I rapporti tra i popolari e il partito ungherese non sono mai stati così tesi, in queste circostanze il PPE dovrà quindi decidere quale linea seguire e scegliere tra il mantenersi fedele ai principi democratici, liberali ed europeisti su cui si fonda oppure trovare l’ennesimo compromesso pur di mantenere l’equilibrio all’interno del Parlamento di Strasburgo.

 

Fonti e approfondimenti

Congiu M., “L’Ungheria di Orbán e il PPE“, Repubblica, 20/03/2020.

Bayer L., “Orbán considering leaving EPP, says senior Fidesz member“, POLITICO, 01/03/2020.

De La Baume M. & Bayer L., “Hungary’s Orbán clings on to Europe’s power centre“, POLITICO, 19/04/2019.

Euractiv, “Orbán seeks EPP backing for his absolute powers“, 02/04/2020.

Financial Times, “Orbán attacks EPP leadership as he tightens domestic grip“, 02/04/2020.

EPP Group, “FIDESZ membership suspended after EPP Political Assembly“, 20/03/2019.

Reuters, “Hungary could resumeanti-EU campaigns, says PM Orbán“, 24/03/2019.

De La Baume M. & Bayer L. & Barigazzi J., “EPP prolongs suspension of Hungary’s Fidesz indefinitely“, POLITICO, 02/04/2020.

 

 

 

 

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