Lo European People’s Party (Partito Popolare Europeo – PPE) è, insieme ai socialisti e ai liberali, uno dei tre gruppi storici del Parlamento europeo. Nato come gruppo di aggregazione delle forze democratico-cristiane in Europa, negli anni si è sviluppato come gruppo alternativo alla sinistra – che, a livello europeo, si era da sempre dimostrata più organizzata e coesa – fino a diventare il gruppo più importante all’interno del PE. Nonostante i problemi legati alla sua forte eterogeneità interna, il PPE si è confermato il gruppo politico più grande del Parlamento Europeeo anche con le elezioni del 2019, nonostante i numeri molto ridotti rispetto alle passate tornate elettorali.
Le origini del PPE all’interno dei democratici-cristiani europei
Fin dai primi mesi di lavoro dell’Assemblea Comune della CECA, i partiti di ispirazione democratico-cristiana dei paesi fondatori (tra cui la Democrazia Cristiana italiana e la CDU-CSU tedesca) avevano iniziato a sviluppare una forma di collaborazione transnazionale. Il partito nacque ufficialmente solo nel 1976 in vista delle prime elezioni europee del 1979. Divennero membri ufficiali del PPE sei partiti democratico-cristiani dei sei Paesi fondatori più il Fine Gael, partito democratico-cristiano irlandese. Nonostante il PPE fin da subito si fosse dimostrato un gruppo omogeneo e politicamente coeso, il forte radicamento nelle origini democratico-cristiane lo poneva in svantaggio rispetto alle forze socialiste, che infatti riuscirono a vincere le elezioni del 1979 e del 1984.
La svolta a destra e l’arrivo del successo elettorale
Negli anni Ottanta, dopo l’entrata nella CEE di Gran Bretagna e Danimarca e in vista di un ulteriore allargamento a Stati privi di significative forze politiche democristiane, il dibattito interno sul futuro del gruppo divenne importante. Fu in questo frangente che il PPE decise di reinventarsi come forza alternativa alla sinistra. Dal 1981 iniziarono a essere ammessi nel gruppo del PPE anche i deputati eletti nelle fila dei partiti conservatori di Grecia e Portogallo e del Partito Popolare spagnolo. Inizialmente questo cambio di rotta non portò al risultato sperato: alle europee del 1989 i punti percentuali di differenza tra PSE e PPE furono più di dieci (PSE 34,7% – PPE 23,4%).
Negli anni Novanta, con l’entrata dei conservatori britannici e danesi nel gruppo, iniziò l’inversione di rotta a livello elettorale, ma allo stesso tempo il gruppo divenne sempre più eterogeneo ammettendo al suo interno anche forze politiche che da sempre si ponevano su posizioni apertamente euroscettiche. La rimonta elettorale iniziò nel 1994 ma si verificò effettivamente solo durante la legislatura successiva, quando al PPE si aggiunsero anche gli europarlamentari di un neonato partito di centro-destra italiano: Forza Italia.
Da quel momento in poi ogni allargamento dei confini dell’UE, prima a Nord e poi a Est, portò nuove forze politiche – centriste, conservatrici, euroscettiche, popolari – all’interno del PPE. La strategia inclusiva portò il partito a vincere le elezioni del 1999 e di tutte le tornate elettorali europee successive, comprese quelle del maggio 2019.

Risultati elettorali del PPE 1979-2019 (Grafica: Lo Spiegone. Fonte Dati: Parlamento europeo)
L’eterogeneità del PPE: da valore aggiunto a fonte di spaccature interne
Questo importante allargamento a forze politicamente eterogenee non poteva non portare a delle forti contraddizioni ideologiche all’interno del gruppo. Questa tendenza è rimasta invariata anche negli anni successivi e l’allargamento a Est portò all’affermazione del PPE come forza stabilmente maggioritaria all’interno del PE. In quella fase infatti il PPE riuscì ad attirare al suo interno almeno un partito per ogni Stato membro, mentre l’assenza di una tradizione socialdemocratica dei nuovi Stati membri comportò un passo indietro dei socialisti europei.
Nelle tornate elettorali del 2014 e del 2019 il PPE ha dovuto fronteggiare una consistente perdita di voti. Pur mantenendo la maggioranza dei seggi al PE, che ha permesso loro di nominare come presidenti della Commissione europea Jean-Claude Juncker e Ursula von der Leyen, il PPE ha visto ridotti i propri seggi nell’assemblea di Strasburgo da 270 a 221 nel 2014, e da 221 a 182 nel 2019.
Con il 24,3% dei voti ottenuti alle elezioni dello scorso maggio i popolari hanno toccato il livello più basso dal 1989. I risultati più deludenti sono stati registrati in Italia con Forza Italia e in Francia con Les Républicains, mentre si sono dimostrate forze trainanti del gruppo la CDU/CSU tedesca, Piattaforma Civica in Polonia, i liberali in Romania e Fidesz in Ungheria.
Le cause che giustificano questa emorragia di voti sono molteplici. Uno degli aspetti principali è che il PPE oggi viene percepito dalla maggioranza degli elettori come “partito di governo dell’UE” e quindi anche come forza politica responsabile delle discusse politiche economiche messe in atto da Bruxelles. Deve poi esser presa in considerazione l’affermazione degli euroscettici che pongono la lotta contro i partiti tradizionali ed europeisti come uno dei punti principali delle loro campagne elettorali.
Il PPE e Orbán
L’aspetto che negli ultimi anni ha evidenziato il carattere ormai più pragmatico che ideologico dei popolari è l’appartenenza di Fidesz, partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, al gruppo del PPE.
L’ammissione e la permanenza nel gruppo di un partito ripetutamente accusato di non rispettare i valori fondamentali e lo stato di diritto rappresenta l’emblema di quello che oggi è diventato il PPE: un gruppo che ha superato del tutto le proprie origini centriste e che, più per vantaggio elettorale che per convinzioni politiche, si sposta verso la destra più estrema.
La presenza di Orbán all’interno del PPE ha prodotto molti problemi interni al gruppo. Questi si sono poi trasformati in una vera e propria spaccatura dinanzi alla votazione del PE sull’attivazione dell’art.7 TUE per l’avvio delle procedure sanzionatorie nei confronti dell’Ungheria. In quel caso le diverse anime del PPE sono emerse e alla fine non si è trovato un accordo tra le parti, tanto da portare il PPE a votare senza alcuna indicazione di voto.
Le divergenze non si sono attenuate nei mesi successivi: lo scorso marzo, dopo che alcuni partiti avevano richiesto l’espulsione del partito ungherese dal gruppo, l’Assemblea politica del PPE aveva optato per un compromesso, ponendo il partito di Orbán sotto l’osservazione speciale di una commissione per monitorarne le azioni. Il rapporto tra Orbán e PPE si è ulteriormente deteriorato dopo che i popolari hanno votato a favore della risoluzione del PE che invita il Consiglio a una più efficace applicazione delle procedure previste dall’art. 7. Quest’ultimo voto potrebbe rappresentare l’ultimo atto del rapporto tra i popolari e il presidente ungherese, anche se una parte degli eurodeputati popolari vorrebbe evitare che i 13 seggi di Fidesz vadano a rafforzare un gruppo politico euroscettico, indebolendo ancor di più il PPE.
Fonti e approfondimenti
– Delwit P., “The European People’s Party: stages and analysis of a transformation”, in Delwit P., Kulachi E., Van de Walle C., The Europarties. Organisation and influence, Free University of Brusseles, 2004.
– Emanuele V., “Allargamento e successo elettorale: la strategia vincente del PPE” in De Sio L., Emanuele V., Maggini N. (a cura di), Le elezioni europee 2014, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, 2014.
– Emanuele V., “Il PPE perde voti e seggi, ma rimane il primo gruppo nel Parlamento europeo”, in De Sio L., Emanuele V., Maggini N. (a cura di), Le elezioni europee 2014, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, 2014.
– EPP Group.