I gruppi politici del Parlamento europeo: caratteristiche del sistema partitico europeo

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il Parlamento europeo è l’istituzione rappresentativa dell’Unione europea e dal 1979 viene eletto direttamente dai cittadini di ciascun Stato membro. Una volta eletti per rappresentare il proprio partito politico nazionale a Strasburgo, gli eurodeputati si organizzano in veri e propri gruppi parlamentari, nei quali i partiti nazionali entrano a far parte di grandi famiglie politiche europee.

Alcune di queste famiglie politiche sono molto antiche e consolidate; altre invece si sono formate negli ultimi anni per far fronte all’entrata di nuove forze all’interno del PE, dovuta all’allargamento a est, ma anche alla crescita di nuove correnti politiche come il sovranismo, il populismo e il sempre più crescente euroscetticismo.

Attraverso una serie di articoli analizzeremo le dinamiche interne al PE, esaminando di volta in volta i gruppi parlamentari in cui attualmente si suddividono gli europarlamentari di Strasburgo: il Partito Popolare Europeo, l’Alleanza Progressista dei Socialisti e Democratici, Renew Europe, i Verdi Europei, la Sinistra unitaria europea, Identità e Democrazia e i Conservatori e Riformisti europei.

 

Come, quando e perché nascono i gruppi parlamentari europei?

Si deve far risalire la nascita dei gruppi parlamentari ai tempi dell’Assemblea comune della CECA, quando i rappresentanti da inviare a Strasburgo ancora venivano nominati dai governi nazionali. Dopo i primi mesi in cui in seno all’Assemblea prevalsero i legami nazionali, iniziarono ad avviarsi contatti politici transnazionali, che in poco tempo vennero organizzati in veri e propri gruppi parlamentari.

Da quel momento in poi, i deputati non si sarebbero mai più organizzati per appartenenza nazionale ma solo per appartenenza politica, creando un principio di collegamento sovranazionale tra le grandi famiglie politiche occidentali del tempo: democristiani, socialisti e liberali. I gruppi parlamentari vennero riconosciuti ufficialmente nel 1953, quando venne loro riconosciuto anche un contributo finanziario.

 

L’elezione diretta del Parlamento europeo e gli europartiti

La situazione non mutò significativamente con il passaggio dall’Assemblea CECA all’Assemblea delle tre Comunità. Si ebbe invece uno scossone con la decisione di introdurre l’elezione diretta del PE. In quella fase i partiti nazionali capirono che diventava fondamentale confrontarsi sulle rispettive visioni e i progetti sull’integrazione europea. Fu proprio in questo contesto che nacquero le prime federazioni europee di partiti nazionali affini sotto il punto di vista ideologico.

I partiti politici europei nati alla fine degli anni Settanta sono ancora colonne portanti dell’organizzazione partitica transnazionale europea: il Partito Popolare Europeo (PPE), il Partito Socialista Europeo (PSE) e l’Alleanza dei Democratici e Liberali Europei (ALDE). Questi partiti europei, pur non corrispondendo direttamente ai gruppi politici all’interno del PE, vi sono profondamente legati: partiti europei e gruppi parlamentari, infatti, collaborano tra di loro in modo significativo.

L’entrata in vigore del trattato di Maastricht nel 1992 fu uno degli eventi che influenzarono in maniera più significativa l’evoluzione degli europartiti e dei gruppi parlamentari a loro collegati: il trattato riconosceva ufficialmente per la prima volta i partiti europei come un “fattore importante per l’integrazione in seno all’Unione”. La centralità dei partiti politici europei è stata successivamente ribadita anche con il Trattato di Lisbona.

 

Un sistema partitico europeo eletto su base nazionale

Negli anni, partiti e gruppi parlamentari europei hanno acquisito un’importanza sempre crescente e la loro forte organizzazione interna ha portato alla nascita di quello che può essere definito come un sistema partitico europeo. Un’eccezione a questo sistema sovranazionale è rappresentata dalle elezioni del PE che si tengono ancora su base nazionale, con campagne elettorali su temi prettamente nazionali e con un elettorato molto spesso propenso a utilizzare il voto europeo come fossero delle midterm elections per promuovere o bocciare l’operato del governo nazionale.

Una volta determinate le delegazioni di ogni Stato membro attraverso la consultazione elettorale, ciascun partito politico nazionale entra a far parte di un gruppo parlamentare. Per alcuni partiti, come quelli storici o che avevano raggiunto precedentemente degli accordi con i gruppi più grandi, questa fase è semplice e automatica. Per i partiti più piccoli o nuovi, invece, questo passaggio è di fondamentale importanza, spesso possono passare anche diversi mesi di lunghi negoziati prima di trovare una collocazione in un gruppo e alcune volte può accadere che un partito non trovi un accordo con nessun gruppo e che passi l’intera legislatura nel gruppo dei non iscritti.

Questa situazione è aggravata anche dai requisiti richiesti dal regolamento interno del PE per la formazione di un gruppo parlamentare: 25 deputati che rappresentino almeno un terzo degli Stati membri è una soglia molto alta che ha impedito la formazione di nuovi gruppi parlamentari, soprattutto dell’area populista.

 

Coesione e competitività nel PE

A questo punto è importante capire come i diversi partiti nazionali riescono a convivere all’interno di uno stesso gruppo parlamentare europeo. Uno degli indicatori da tenere in considerazione quando si analizza un gruppo parlamentare è la coesione, ossia il livello di accordo all’interno del gruppo in caso di votazione. Sotto questo punto di vista, quasi tutti i gruppi parlamentari riscontrano un alto livello di coesione, fatta eccezione per il PPE che a causa della fortissima eterogeneità dei partiti nazionali che vi aderiscono spesso vive delle forti fratture interne, portando il gruppo a votare senza avere un’indicazione comune.

Un’altra domanda cui la dottrina ha cercato di trovare una risposta è se le dinamiche all’interno del PE possano essere considerate effettivamente competitive, e cioè se i gruppi parlamentari votino rispettando quanto previsto dalle loro agende politiche, di base diversificate. Sotto questo punto di vista è stata invece riscontrata un’anomalia: soprattutto nello studio dei due gruppi principali, PPE e S&D, è emerso che i due gruppi, che rappresentano il centro-destra e il centro-sinistra europeo, si scontrano su temi economici e sociali, mentre spesso convergono su posizioni comuni quando si tratta di decisioni che riguardano aspetti istituzionali dell’UE. Con questo atteggiamento è come se i due gruppi sacrificassero le loro posizioni su temi riguardanti l’Unione europea a favore di un compromesso comune per preservare il corretto funzionamento dell’Assemblea.

In conclusione, si può quindi affermare che il Parlamento europeo, escludendo la sua elezione che resta su base nazionale e la sua tendenza a votare unitamente su temi istituzionali, si organizza e agisce come un parlamento nazionale e non presenta particolari anomalie. Se il PE può quindi essere visto come una vera istituzione europea essa deve comunque essere considerata come parte integrante di un sistema, quello dell’UE, in cui nelle istituzioni più importanti, come il Consiglio, prevalgono gli interessi nazionali.

 

 

Fonti e approfondimenti

– Guerrieri S., Un Parlamento oltre le Nazioni: l’Assemblea comune della CECA e le sfide dell’integrazione europea (1952-1958), Bologna, Il Mulino, 2016.

– Piermattei M., “I partiti dell’Unione: evoluzione storica e ricerche”, in Mascia M. (a cura di), Verso un sistema partitico europeo transnazionale, Bari, Cacucci, 2014.

– Hertner I., United in diversity? Europarties and their individual members’ rights, in “Journal of European Integration”, 2018.

– Fabbrini S., The European Union and the puzzle of Parliamentary Government in “Journal of European Integration”, 2015.

 

 

 

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