Gli anni Duemila: dalla Costituzione Europea a Lisbona

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William Murphy, Flickr (CC BY-SA 2.0)

Il trattato di Lisbona, che oggi regola il funzionamento dell’Unione Europea, è solo l’ultimo passo in un lungo processo di riforma dei trattati iniziato nel 1992 con Maastricht. Amsterdam (1997) e Nizza (2001) avevano avviato alcune riforme istituzionali, evitando però la questione del futuro politico dell’Unione. Con l’allargamento imminente e la questione balcanica, insieme al lancio dell’euro, la discussione non era più rimandabile.

Il Consiglio Europeo di Laeken del 2001 diede così mandato a una Convenzione Europea, o Convenzione sul futuro dell’Europa, di discutere un progetto di Costituzione Europea basato su quattro temi fondamentali: la ripartizione e la definizione delle competenze, la semplificazione dei trattati, architettura istituzionale e la via verso una Costituzione per i cittadini europei.

2003-2004: verso una Costituzione europea?

Il normale procedimento di modifica dei trattati  è la conferenza intergovernativa (CIG): le delegazioni diplomatiche degli Stati membri lavorano al testo e lo sottopongono all’approvazione dei leader politici. La Convenzione, invece, seguiva un modello innovativo, già sperimentato durante la stesura della Dichiarazione dei Diritti e ispirato ai principi di trasparenza e partecipazione.

I suoi 102 membri includevano le delegazioni degli Stati membri e dei Paesi candidati, ma anche rappresentanti delle istituzioni europee, dei parlamenti nazionali e della società civile. Per le stesse ragioni, gli atti dei lavori erano pubblicati online.

Nel 2003, sotto la presidenza italiana, fu convocata una conferenza intergovernativa per discutere il trattato proposto dalla Convenzione. Dopo una prima fase di stallo, la presidenza irlandese rilanciò i negoziati e, il 29 ottobre del 2004, i capi di Stato e di governo dei 25 Stati membri e candidati firmarono la Costituzione per l’Europa. Il testo riprendeva quasi integralmente la bozza stilata dalla convenzione.

Il nuovo trattato sarebbe entrato in vigore solo al termine dell’iter di ratifica in tutti gli Stati membri. Di norma, questa avviene per via parlamentare e solo l’Irlanda prevede un referendum obbligatorio. In quest’occasione, però, altri nove Stati membri decisero di convocare una consultazione popolare: Spagna, Lussemburgo, Francia, Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia, Portogallo e Regno Unito.

2005: la “crisi costituzionale”

A metà del 2005, quando 9 Stati su 25 avevano già completato le procedure di ratifica, si verificò un evento imprevisto. Il 29 maggio, gli elettori francesi respinsero la Costituzione per l’Europa con il 55% dei voti, seguiti, il 1° giugno, dagli olandesi con il 61,6%. Non era la prima volta che un referendum bloccava un trattato: era già accaduto in Irlanda nel 2002, e in quell’occasione il governo, dopo aver negoziato alcune concessioni, aveva tenuto una seconda consultazione, stavolta con esito positivo.

I referendum del 2005 erano molto più significativi per due ragioni. Francia e Paesi Bassi sono due Stati fondatori della CECA e della CEE e due Paesi storicamente europeisti, anche se con approcci diversi. Inoltre, la bocciatura era avvenuta nonostante i partiti al governo avessero fatto campagna a favore del referendum.

Lo shock del no alla Costituzione per l’Europa non va letto come un incidente di percorso, e non fu così all’epoca. L’evento causò una vera e propria crisi nell’Unione Europea e diede avvio a un periodo di pausa che si protrasse per più di un anno. La sospensione del processo di ratifica fu accolta con malcelato sollievo da diversi Stati membri, dal Regno Unito all’Ungheria, restii se non apertamente ostili all’idea di una Costituzione europea.

Le ragioni del “Non”

In prospettiva, l’esito, anche se inaspettato nelle dimensioni, non era forse del tutto imprevisto. Nel 1992 i francesi avevano approvato a maggioranza il trattato di Maastricht, ma solo con il 51% dei voti. Interpretare il significato del voto, dunque, non è semplice.

Sicuramente, per la Francia, ha giocato un ruolo il malcontento nei confronti del governo di centrodestra e del presidente Jacques Chirac. Le elezioni europee, e di riflesso i referendum, sono spesso definite elezioni di second’ordine perché gli elettori tendono a essere influenzati da dinamiche politiche nazionali.

Ridurre la spiegazione a problematiche interne, tuttavia, oscura considerazioni doverose sul rapporto tra i cittadini e l’UE. Nonostante le procedure fossero state molto più aperte che in passato, era mancato un vero e proprio dibattito sul contenuto del trattato: il referendum era dunque diventato quasi una consultazione sull’UE. Non mancavano inquietudini sull’allargamento a est e sull’aumento dell’immigrazione dai nuovi Stati membri, né preoccupazioni sulla rinuncia alla sovranità nazionale. Molti, inoltre, contestavano la direzione economica imboccata dall’UE dopo Maastricht e l’erosione delle tutele sociali: il partito comunista francese, ad esempio, aveva fatto campagna per il “No” al referendum.

Sicuramente, soprattutto nei Paesi Bassi, ha pesato anche una certa apatia nei confronti della questione. Il partito di maggioranza, dando per scontata la vittoria del sì, aveva iniziato la campagna relativamente tardi, lasciando ampio spazio all’opposizione.

2007: il rilancio delle riforme e il trattato di Lisbona

Il fallimento era stato così evidente che un nuovo referendum, come era stato per l’Irlanda pochi anni prima, non era una strada percorribile. Per di più, con la presidenza britannica nel 2006, qualsiasi discorso sull’integrazione politica fu messo da parte. Tra i leader europei, tuttavia, era chiara la volontà di portare avanti il progetto di Costituzione europea, seppur in forme diverse. La spinta arrivò dalla Germania, con la cancelliera Angela Merkel, e dal nuovo presidente francese Nicolas Sarkozy, eletto nel 2007. In campagna elettorale, Sarkozy aveva dichiarato che avrebbe appoggiato la riforma dei trattati senza consultazione popolare.

Stavolta fu una “classica” conferenza intergovernativa a stilare il nuovo testo, firmato a Lisbona nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009. Il risultante “Trattato di Lisbona che modifica il trattato sull’Unione europea e il trattato che istituisce la Comunità europea” è un documento di 271 pagine contenente 7 emendamenti.

Anche stavolta, l’Irlanda, unico Stato membro a prevedere il referendum obbligatorio, bocciò il trattato con il 53,4% dei voti e un’affluenza a poco più del 50%. Come per Nizza, il governo negoziò delle condizioni più favorevoli e convocò una seconda consultazione, che approvò il trattato.

Lisbona: una scelta pragmatica

Qual è il bilancio del trattato di Lisbona? Fornire una valutazione univoca di quest’ultimo tentativo di riforma non è semplice. Per i federalisti europei, si tratta di un’occasione sprecata per portare avanti un progetto d’integrazione politica; gli euroscettici, invece, ritengono che Lisbona abbia tradito la volontà popolare espressa nei referendum del 2005, rafforzando Bruxelles ed erodendo la sovranità degli Stati membri.

Se l’iter costituzionale del 2003-2005 era stato ispirato alla trasparenza, a Lisbona domina il pragmatismo. Scompaiono i riferimenti più espliciti a simboli “nazionali”, come l’inno o la bandiera. I poteri della Commissione e del Parlamento aumentano, ma non in misura significativa.

Nonostante questi limiti, il contenuto del trattato di Lisbona non è poi così lontano da quello della defunta costituzione del 2004-2005. Alcuni critici accusano i leader europei di aver approvato una Costituzione nei fatti, anche se non nel nome.

Il trattato di Maastricht aveva istituito la struttura a tre pilastri: Comunità Europea, Politica Estera e di Sicurezza Comune, Cooperazione Giudiziaria e di Polizia in Materia Penale. Questa creava una rigida separazione tra materie comunitarie e settori, come la politica estera, nei quali gli Stati membri sceglievano di cooperare mantenendo la sovranità. Lisbona abolisce la Comunità Europea e crea un soggetto legale unico, l’Unione Europea.

Anche se la politica estera resta in capo agli Stati membri, Lisbona tenta di colmare il divario con le politiche comunitarie, favorendo la coordinazione e il dialogo tra Stati e istituzioni dell’Unione. Il rappresentante per la PESC, che prima rispondeva esclusivamente al Consiglio, diventa anche uno dei Vicecommissari della Commission Europea. È istituito formalmente un servizio diplomatico (il Servizio Europeo di Azione Esterna, SEAE) e il presidente del Consiglio Europeo diventa una figura permanente.

Per quanto riguarda la tutela dei diritti umani, si completa un percorso iniziato con Nizza. La Carta Fondamentale dei Diritti Umani diventa finalmente parte dell’acquis communautaire, consolidando l’identità e il messaggio politico dell’UE come attore democratico e difensore globale dei diritti fondamentali.

Il bilancio: verso un’Europa a più velocità?

Con il trattato di Lisbona, si conclude un periodo tutto sommato positivo per l’integrazione europea, iniziato con il lancio della moneta unica: la sua entrata in vigore, infatti, coincide con l’inizio della grande crisi del 2008-2009. Da quel momento, l’economia diventa il tema dominante nelle politiche comunitarie e molte ambizioni politiche, incluso l’allargamento ai Balcani, sono messe da parte.

Anche se molti hanno auspicato un rilancio delle riforme istituzionali, la strada non è facile. Le reazioni scomposte alla crisi hanno dimostrato che, per il momento, a prevalere è un’Europa a più velocità. L’instabilità politica ed economica interna e l’allargamento a 28 (27 senza il Regno Unito) rendono sempre più difficile adottare delle politiche comunitarie ambiziose, soprattutto in temi delicati come economia e immigrazione. Il Patto di Bilancio Europeo (impropriamente noto come Fiscal Compact) è entrato in vigore come trattato internazionale, prima di diventare parte dell’acquis communautaire; la PeSCo è frutto della Cooperazione Strutturata Permanente tra alcuni Stati membri, possibilità introdotta proprio da Lisbona.

Con il miglioramento del quadro economico e lo sfortunato evento della Brexit, l’Unione sembra aver ritrovato, se non una prospettiva unica, almeno la volontà e l’ambizione di agire come un soggetto unitario sulla scena internazionale. I tavoli di prova – i Balcani, l’Iran, la riforma del sistema bancario e del bilancio dell’Unione – non mancano: prevarrà la linea dell’integrazione o a trionfare sarà l’Europa a più velocità?

Fonti e approfondimenti

BBC, “EU constitution: where member states stand”, 25/03/2007

BBC, “French say firm ‘No’ to EU treaty”, 30/05/2005

Beach, Derek, “Referendums in the European Union”, in Oxford Research Encyclopedia

Binzer, Sara e Brouard, Sylvain, “Contesting the European Union? Why the Dutch and the French rejected the European Constitution”, in Political Research Quarterly, Vol. 64, No. 2, 2011.

Enciclopedia Treccani, “Convenzione Europea”, Dizionario di Economia e Finanza (2012)

Il Giornale, “Blair rassegnato congela il referendum sulla Costituzione Ue”, 03/06/2005

ISPI, “La Costituzione dell’Europa unita

Ivaldi, Gilles, “Beyond France’s 2005 Referendum on the European Constitutional Treaty: Second Order Model, Anti-Establishment Attitudes and the End of the Alternative European Utopia”, in West European Politics, Vol. 29 (n°1), 2006, pp.47-69.

La Repubblica, ““Niente Costituzione”: quella bocciatura che cambiò la storia dell’Europa”, 06/06/2016

New York Times, “Voting on European Integration: A Long History of Skepticism”, 19/04/2016

The Guardian, “Dutch say devastating ‘No’ to EU constitution”, 02/06/2005

The Guardian, “Dutch vote could kill EU blueprint”, 31/05/2005

The Guardian, “Europe’s shattered dream: Blair to challenge Chirac”, 31/05/2005

The Guardian, “Q&A: The European constitution”, 02/06/2005

The Local, “When France ‘ignored’ the result of an EU referendum”, 28/06/2016

Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, testo

Trattato di Lisbona, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea

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