L’Italia e l’euro: un bilancio nell’anno delle elezioni europee

Europeismo italiano
@Pava - commons.wikimedia.org (CC-BY-SA)

Il 2018 da poco concluso è stato un anno pieno di eventi rilevanti nell’ambito dell’Unione Economica e Monetaria. La fine del quantitative easing o la trattativa tra Italia e Commissione sul bilancio sono tutti eventi che simbolicamente sono avvenuti proprio nel trentesimo anniversario del Rapporto Delors e nel ventesimo della nascita della Banca Centrale Europea. L’anno delle Elezioni Europee, il 2019, si apre con un anniversario forse ancora più importante: l’euro che compie vent’anni.

Senza dubbio tra i Paesi protagonisti dell’anno passato c’è, e continuerà ad esserci, l’Italia. La campagna elettorale che sta per iniziare vedrà come uno dei temi principali la moneta unica, dunque è fondamentale iniziare parlando di Italia ed euro.

L’euro ci permette di commerciare di più in Europa e con il resto del mondo?

La riduzione dei costi di transazione così come l’eliminazione dei rischi legati all’instabilità dei tassi di cambio fu all’origine dell’introduzione dell’euro. Quanto abbiamo guadagnato sotto il profilo degli scambi commerciali con il passaggio alla moneta unica? Ovviamente rispetto al controfattuale, complice ovviamente anche il mercato unico, i flussi tra Italia e Paesi della zona euro sono aumentati. Il primo decennio dell’euro ha visto, infatti, un aumento del 38% dell’interscambio tra Italia e partner europei. Il grafico mostra l’andamento dei commerci reali (linea continua) e il calcolo ipotetico prendendo a parametro una serie di Paesi extra-euro* (linea trattegiata).

Per quanto riguarda il commercio con i Paesi extra-euro ed extra-europei l’effetto è stato l’aumento dell’interscambio, tuttavia le importazioni per l’Italia sono aumentate in misura maggiore delle esportazioni.

L’euro ha aumentato i prezzi?

Dal punto di vista dell’Italia entrare nell’euro andava a sancire il momento apicale di una lunga lotta all’inflazione iniziata decenni prima del 1999. Una banca centrale dipendente dall’esecutivo iniziò a scomparire già con il divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro nel 1981, sancendo un maggior grado di indipendenza della nostra banca centrale rispetto all’esecutivo.

Tale scelta veniva intrapresa per interrompere il ciclo di politiche monetarie che avevano visto un enorme innalzamento dell’inflazione negli anni ’70 al fine di finanziare il debito pubblico e di incrementare le esportazioni attraverso le “svalutazioni competitive”. L’inflazione al 20% colpiva il potere di acquisto delle fasce più deboli come una tassa iniqua. Il passaggio a una banca centrale indipendente, la Banca Centrale Europea, con il compito di vigilare sulla stabilità dei prezzi ha comportato un ulteriore passo nella direzione della lotta all’inflazione, i dati mostrati nel grafico mostrano il calo netto rispetto ai decenni passati e i risultati relativamente migliori rispetto al controfattuale.

I grafici dimostrano come non ci siano stati balzi di inflazione dopo il 1999, al contrario la scelta di aderire all’euro ha significato per l’Italia una diminuzione del tasso di inflazione relativamente ai Paesi del controfattuale extra-euro. Nei primi dieci anni di moneta unica la diminuzione dell’inflazione è stata circa del 3%, in aggiunta a una maggiore stabilità delle fluttuazioni rispetto all’era pre-euro. Contrariamente al luogo comune dell’euro che ha aumentato i prezzi, possiamo vedere come l’euro abbia contribuito alla battaglia contro l’inflazione di cui l’Italia aveva bisogno, mentre i livelli di inflazione del controfattuale risultano più alti.

Sono diminuiti i tassi di interesse?

Pur avendo perso la sovranità monetaria, l’Italia ha raccolto vantaggi che altrimenti non avrebbe ottenuto. I tassi di interesse, infatti, sono scesi drasticamente. Fino al 1995 il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia era al di sopra del 10% per poi arrivare  al 3% nel 1999 con l’adesione all’euro. Volendo fare un quadro di lungo periodo il decennio 1980-1992 ha visto un tasso medio del 14,5% a fronte di una media del periodo successivo all’entrata nell’euro del 4,2%.

Se ad oggi preoccupano i rialzi dello spread, basta vedere a quanto ammontava prima del 1999 per comprendere il ruolo stabilizzatore e di convergenza della moneta unica. Il differenziale di rendimento arrivò a 1175 punti base nel 1982, poco dopo l’ingresso nell’euro era prossimo allo zero con i titoli italiani che rendevano poco più di quelli tedeschi. La stagione del quantitative easing ha mitigato gli effetti della crisi del 2011 portando il tasso d’interesse italiano al minimo dell’1,36% nel 2015.

Come sopravvivere senza la possibilità di svalutare?

Con l’ingresso nell’euro abbiamo abbandonato la prospettiva di stimolare le esportazioni mediante svalutazioni della moneta. Svalutazioni “competitive” erano all’ordine del giorno nel periodo pre-euro, aumentando l’inflazione. In un contesto che, come abbiamo visto, favorisce i commerci ma lascia indipendente la politica monetaria, come si è evoluta la competitività delle imprese italiane?

 

Negli anni ’70, la produttività italiana era quasi identica a quella francese e tedesca, di molto più alta di quella spagnola e intorno al 75% rispetto a quella statunitense. I decenni successivi hanno visto il nostro Paese convergere verso gli standard degli altri Paesi europei, arrivando addirittura a superare gli Stati Uniti. Tuttavia, con il nuovo millennio è iniziata una ininterrotta picchiata della nostra produttività, come ben dimostra il grafico. Anche la Spagna ci ha sostanzialmente raggiunto: un’ora di lavoro spagnolo rende quanto un’ora di lavoro italiano come chiarisce la curva rossa nel grafico.

Tra le motivazioni si può citare la bassa proporzione di laureati nella popolazione, la mancanza di investimenti in capitale fisso così come una scarsa attenzione al capitale umano. Rispetto al 32% della Francia, al 27% della Germania e al 44% degli USA la nostra quota di laureati, nel 2014, era pari al 17% della popolazione di riferimento. Queste divergenze marcate precludono lo sviluppo di produzioni innovative ad alto valore aggiunto. Anche confrontare gli investimenti può farci comprendere il gap di competitività. Tra 1995 e 2014 investimenti in ICT (information and communications technology) sono cresciuti meno che nelle altre economie avanzate. 

Un bilancio dei vent’anni passati

Tracciare un bilancio degli ultimi venti anni non è facile. Sia le carenze nell’architettura della moneta unica che le scelte operate dai diversi governi che si sono succeduti negli anni hanno contribuito alla situazione attuale, in negativo così come in positivo. L’automatica conseguenza di una unione monetaria, matura seppur incompleta, accompagnata dall’assenza di una politica economica e fiscale di dimensione europea e dunque rimessa agli Stati membri ha comportato da un lato convergenze vantaggiose tra i Paesi dell’area euro, ma dall’altro palesi errori in ambiti quali la sostenibilità delle scelte di politiche di bilancio o politiche economiche nei confronti della competitività delle imprese e del sistema paese.

L’Italia già prima del 1999 compì, sovranamente, la scelta di aderire a un sistema che ponesse fine all’instabilità causata da eventi globali, incontrollabili da singoli Stati. La sovranità condivisa a livello continentale raggiunta con l’euro ci ha permesso e ci permetterà ancora di fronteggiare problemi globali. Sognare uscite di scena nell’arco di un fine settimana, così come non procedere verso completamenti e approfondimenti, dimostra la miopia della classe politica italiana. Il rafforzamento della nostra economia deve andare di pari passo con il rafforzamento del progetto politico europeo.

Fonti e approfondimenti

* Bulgaria, Croazia, Danimarca, Lituania, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Svezia, Ungheria, Australia, Canada, Cile, Corea del sud, Giappone, Svizzera, Islanda, Israele, Messico, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Turchia.

F. Papadia, Italian economic growth and the Euro, Bruegel: http://bruegel.org/2017/07/italian-economic-growth-and-the-euro/

G. Galli, Il divorzio fra Banca d’Italia e Tesoro: teorie sovraniste e realtà, Osservatorio CPI: https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-il-divorzio-fra-banca-d-italia-e-tesoro-teorie-sovraniste-e-realta

T. Manfredi, Produttività del lavoro, il grande malato d’Italia, Strade: https://www.stradeonline.it/46-numeri/2016/marzo-aprile-2016/1863-produttivita-del-lavoro-il-grande-malato-italia#

P. Manasse, The roots of the Italian stagnation, VOX  CEPR Policy Portal: https://voxeu.org/article/roots-italian-stagnation

P. Manasse, T. Nannicini, A. Saia, Italy and the euro: Myths and realities, VOX  CEPR Policy Portal: https://voxeu.org/article/italy-and-euro-myths-and-realities

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