L’influenza delle diaspore sulla politica estera USA. Il caso iracheno

diaspore
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di Laura Santilli

Il modello di contatto tra le élite politiche statunitensi e alcuni gruppi di immigrati negli Stati Uniti è una caratteristica propria di orientamento della politica estera statunitense che ha una lunga tradizione. I primi gruppi provenienti da diaspore ed emigrati negli Stati Uniti erano greci, armeni, irlandesi ed ebrei. Negli anni Novanta, accanto a loro, hanno acquisito un potere di lobbying sempre maggiore altre comunità, come quella africana, araba, cubana, filippina e messicana.

Ciascuna di queste comunità diasporiche ha strutturato i propri metodi di rapporto e autorevolezza nei confronti dei rappresentanti politici USA. In questo articolo, analizzeremo nello specifico il rapporto tra la diaspora irachena e differenti governi statunitensi nell’ottica del crollo del regime di Saddam Hussein.

Chi fa parte di una diaspora?

La letteratura di riferimento nell’ambito dello studio delle diaspore non è univoca nella loro definizione. In questo articolo si è scelto di prendere in considerazione quella elaborata dall’autrice Nadejda K. Marinova, secondo la quale il termine “diaspora” si riferisce a individui della prima generazione, nati nel proprio Paese di origine ed emigrati poi in un Paese diverso per motivi differenti, che non hanno una connotazione esclusivamente politica. In questo contesto, i membri di una diaspora, quando si organizzano politicamente, possono essere considerati come una lobby etnica che può operare all’interno del “nuovo” Stato, quello ospitante, assumendo il ruolo di unica voce di rappresentanza autorevole del proprio Paese all’estero.

Le comunità provenienti dalle diaspore sono generalmente self-interested, cioè interessate a portare avanti i propri obiettivi individuali e sono accomunate dalla caratteristica del replicare nel Paese ospitante le divisioni interne che possono caratterizzarle in quello di origine: appartenenza religiosa, linguistica e politica. Nella relazione tra Stati ospiti e persone provenienti da diaspore, normalmente quest’ultime si organizzano politicamente in attività dirette contro le politiche del proprio Stato di nascita, in modo tale da creare circostanze favorevoli per un loro possibile ritorno nel Paese di origine. I governi degli Stati ospitanti utilizzano, a loro volta, le diaspore come parte di una grande strategia di politica estera e per fare avanzare gli interessi della sicurezza interna del Paese. Questo avviene in tre modi: raccogliendo informazioni utili all’intelligence, dati utili alla propaganda interna del Paese di origine dove eseguire poi, operazioni para-militari ritenute necessarie.

Limportante ruolo delle diaspore negli Stati Uniti

L’abilità delle comunità di diaspore residenti negli USA di indirizzare la politica estera statunitense è aumentata anche a causa della grande complessità che i governi statunitensi hanno avuto nel riconoscere, soprattutto nella regione mediorientale, i propri alleati dagli avversari, in particolare dopo il collasso del comunismo. Il compito determinante delle diaspore nell’orientare le scelte della politica estera statunitense è, inoltre, una conseguenza dello stampo liberale-democratico degli Stati Uniti.

A dare una rilevanza importante nella relazione tra governi statunitensi e diaspore, contribuisce inoltre, l’acceso nazionalismo nel Paese nordamericano. Gli Stati Uniti si considerano un Paese unico e questa eccezionalità si ritrova nella presunta possibilità di sottrarsi al corso della storia a cui, invece, tutti gli altri Paesi andrebbero incontro. Questa convinzione conferisce agli Stati Uniti un’ambizione universalista e un approccio alle relazioni internazionali che ha un carattere messianico. Sarebbe infatti compito e destino degli USA intervenire per plasmare e trasformare l’ordine internazionale in accordo con i propri principi, valori e interessi.

Ancora meglio, quindi, se sono i membri di una diaspora a suggerire ai governi statunitensi come intervenire nel loro Paese di origine: si crea una sorta di giustificazione all’intervento statunitense. I rappresentanti delle diaspore godono di un accesso diretto al Congresso e ai suoi rappresentanti, come anche di un contatto preferenziale con la stampa statunitense. Tutto questo crea una base fertile per una comunità organizzata e molto impegnata che può quindi trasformarsi in un attore politico capace di proiettare il proprio potere a livello transnazionale.

La diaspora irachena

Nei mesi precedenti all’invasione dell’Iraq da parte dell’alleanza anglo-statunitense, nel marzo del 2003, lo stretto rapporto tra alcuni esponenti della diaspora irachena e l’amministrazione statunitense guidata da George W. Bush, si impose all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. Diversi articoli, pubblicati dal New York Times, descrissero infatti come grazie alle testimonianze di alcuni esuli iracheni l’amministrazione Bush avesse ottenuto delle prove schiaccianti della presenza di armi di distruzione di massa in Iraq e quindi della pericolosità del regime di Saddam che andava rovesciato definitivamente. Tuttavia, la stretta collaborazione tra gli esponenti della diaspora irachena e il governo statunitense non nacque d’urgenza per la costruzione del casus belli iracheno, ma ha radici ben più profonde.

La diaspora irachena portò alla costituzione di un gruppo istituzionale per la prima volta nel giugno del 1992, il quale si riunì a Vienna in una conferenza che sancì la nascita di quello che prese il nome di Congresso Nazionale Iracheno (CNI). I rappresentanti che vi aderirono erano espressione delle diverse opposizioni politiche al regime sunnita di Saddam Hussein: il partito comunista iracheno, diversi partiti nazionalisti riformisti, i Fratelli Musulmani, il partito della libertà islamica e il partito della chiamata islamica.

Il CNI stabilì che fosse necessario sradicare al più presto dal potere Saddam e ciò di cui lui era espressione: il partito Ba’th e quindi la guida sunnita del Paese. Da allora, il CNI si strutturò anche territorialmente, stabilendo i suoi uffici a Londra, dove in quegli anni erano immigrati i maggiori esponenti della diaspora sciita irachena, a Salah al-Din (nord di Baghdad) e a Washington. Ma chi era il leader del Congresso?

Ahmed Chalabi, one-man show

La motivazione decisiva dietro la nascita del Congresso nazionale iracheno nacque dalla scelta del governo di George H. W. Bush di non rimuovere dal potere Saddam dopo la prima guerra del Golfo, almeno non tramite un’operazione dell’esercito. Nel maggio 1991 infatti, fu lo stesso Bush a firmare il Memorandum of notification, attraverso il quale autorizzò la CIA a realizzare delle operazioni sotto copertura in Iraq affinché si “creassero le condizioni utili” a rovesciare il regime. Così la CIA decise di creare un gruppo di opposizione al regime in esilio.

Dopo una serie di scandali che la videro coinvolta negli anni Settanta, la CIA fu costretta a non effettuare più questo tipo di operazioni e scelse, quindi, di appaltare il progetto alla Rendon Group, azienda esperta, tra le altre cose, in perception management. Il termine indica l’insieme delle azioni volte a comunicare o negare le informazioni date a un pubblico straniero con l’obiettivo di indirizzarne e influenzarne le emozioni e quindi le decisioni.

Fu la Rendon Group a scegliere Ahmed Chalabi come leader del futuro gruppo di opposizione irachena in esilio e ad affiancargli il loro collaboratore Francis Brooke che da allora operò come lobbista non ufficiale per Chalabi a Washington. Chalabi, nato nel 1944 da una delle più ricche e influenti famiglie sciite in Iraq, costretta all’esilio a Londra dopo il colpo di stato del generale Kassem, fu scelto come leader del CNI sebbene non fosse molto gradito tra gli altri esiliati. Tuttavia Chalabi aveva più di una carta vincente rispetto agli altri: parlava inglese, aveva studiato negli Stati Uniti e, soprattutto, aveva le giuste conoscenze in ambito politico per realizzare l’obiettivo.

Nel 1985 Chalabi fu presentato da Albert Wohlstetter, stratega nucleare statunitense, a Paul Wolfowitz e Richard Perle, ai quali, qualche anno più tardi, lo storico e orientalista Bernard Lewis chiese di aiutare i membri della diaspora irachena a realizzare il loro american dream. Tuttavia, tra il 1993 e il 1994, gli altri membri del Congresso nazionale iracheno decisero di uscirne: erano in disaccordo con la presidenza autoritaria di Chalabi: era fuori discussione una collaborazione con la CIA e, quindi, con gli Stati Uniti.

Il vento del cambiamento, quello favorevole a Chalabi, arrivò nel gennaio 2001, quando George W. Bush divenne presidente degli Stati Uniti. Nella sua amministrazione furono inclusi alcuni rappresentanti repubblicani e neoconservatori che da sempre sostenevano la caduta di Saddam: tra gli altri, proprio Richard Perle e Paul Wolfowitz.

Fu così che il Congresso nazionale iracheno, che coincideva ormai quasi esclusivamente con la sola figura di Chalabi, aiutò l’amministrazione Bush a produrre e raccogliere le testimonianze di esuli iracheni sulla presenza di armi di distruzione di massa in Iraq. Accuse che si rivelarono, dopo l’invasione del Paese e la caduta di Saddam Hussein, tutte false. Nessun’arma di distruzione di massa è stata trovata in Iraq, ma come ammise lo stesso Wolfowitz: “Per ragioni burocratiche, noi ritenemmo che su un argomento tutti avrebbero concordato per la guerra e quell’argomento erano le armi di distruzione di massa”.

Realizzare unambizione

Dopo l’invasione dell’Iraq nel marzo 2003 da parte della coalizione a guida statunitense, venne istituito il Coalition Provisional Authority (CPA), il cui compito era guidare il governo iracheno nella fase di transizione dalla caduta del regime di Saddam Hussein fino alle prime elezioni democratiche.

Il CPA era guidato da Paul Bremer, nominato dall’amministrazione Bush come inviato presidenziale e amministratore provvisorio dell’Iraq, che scelse proprio Ahmed Chalabi tra i membri che avrebbero fatto parte del CPA. Chalabi era ritenuto, infatti, un autorevole rappresentante del desiderio di democratizzazione del popolo iracheno.

Il primo ordine emanato dal CPA fu quello di sciogliere il partito Ba’th, alla guida del Paese dal 1968 e di allontanare tutti i suoi componenti e seguaci dalla società irachena. Venne ordinato di dissolvere l’esercito e gli apparati di intelligence iracheni provocando, di fatto, un capovolgimento drastico in quelli che erano stati fino ad allora gli equilibri tra l’identità sunnita e sciita nel Paese. Entrambe le decisioni furono pienamente appoggiate da Chalabi, l’esule sciita che le aveva indicate come priorità per la democratizzazione dell’Iraq già nel 1993, in una riunione del Congresso nazionale iracheno.

È a causa di questo processo di divisione delle varie identità irachene che, dall’ottobre 2019, sono scoppiate ancora una volta nel Paese numerose proteste popolari di cui parliamo anche nell’articolo Iraq: verso una nuova fase di impasse politica.

 

Fonti e approfondimenti

Chris Hedges, “A Nation Challenged: The School; Defectors Cite Iraqi Training for Terrorism”, The New Tork Times, 8 novembre 2001

Michael Hirsh, “Bernard Lewis revisited”, The Washington Monthly, 14 novembre 2004

W. Patrick Lang, “Drinking the Kool-Aid,” Middle East Policy Council Journal XI, no. 2, estate 2004

Nadejda K. Marinova, Ask what you can do for your (new) country: how host states use diasporas, (Oxford: Oxford University press, 2017)

Jane Mayer, “A Reporter at Large: The Manipulator,” The New Yorker, 7 giugno 2004

Judith Miller, “A Nation Challenged: Secret Sites; Iraqi tells on Rennovation at Sites for Chemical and Nuclear Arms”, The New York Times, 20 dicembre 2001

Yossi Shain, “Ethnic Diasporas and U.S. Foreign Policy”, Political Science Quarterly, vol. 109, n. 5, inverno 1994-1995, pp. 811-841

Ali al-Shamrani, The Iraqi Opposition Movement: The Post-Gulf War Era: 1990-1996. Tesi di dottorato, King’s College, Londra, 1999: https://core.ac.uk/download/pdf/83945396.pdf

Conferenza “L’Irak pris en étau entre le États-Unis et l’Iran”, presso Institut de Recherche et d’Études Méditerranée Moyen Orient-IREMMO, 18 marzo 2020: https://www.youtube.com/watch?reload=9&v=5YfGtfR3800&feature=youtu.be

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