L’accumulazione di ricchezza, la rapida urbanizzazione, la natura moderna e vibrante di Ho Chi Minh City raccontate nel precedente articolo, rappresentano soltanto un volto della città. La futura megalopoli del Vietnam – a un passo dal raggiungere i dieci milioni di abitanti – affronta quotidianamente enormi problemi abitativi e ambientali, proprio a causa dell’industrializzazione rampante e dello sviluppo demografico repentino.
I problemi abitativi di Ho Chi Minh City
Accanto ai palazzi lussuosi e all’avanguardia dei distretti residenziali, si snodano i cosiddetti “black canals” (“corsi d’acqua neri”), ovvero slum in cui vivono principalmente famiglie, spesso migranti interni, con reddito basso e medio-basso. Questi insediamenti prendono il nome dal colore assunto dall’acqua dei canali su cui si affacciano – snodi del fiume Mekong – a causa dell’inquinamento. Si tratta di zone in cui manca l’accesso ai servizi di base – acqua corrente, elettricità, rete di fognature e sistema di smaltimento dei rifiuti – nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi vent’anni dagli amministratori cittadini.
La formazione degli slum
Sin dagli anni Ottanta, Ho Chi Minh City è stata la meta di numerosi migranti provenienti da varie parti del Vietnam, attratti dal potenziale lavorativo della città, cuore industriale del Paese. Ancora oggi, Ho Chi Minh City attrae ingenti flussi di migranti interni, a un ritmo di 80-100mila all’anno. Se da un lato queste persone rappresentano la manodopera necessaria all’industria manifatturiera, dall’altro contribuiscono a rendere incessante la crescita demografica della città.
La maggior parte di questi migranti interni, di reddito basso e medio-basso, non è riuscita – e non riesce tuttora – ad affermarsi dal punto di vista lavorativo, neanche per permettersi un’abitazione dignitosa. La città, infatti, registra uno dei divari più ampi tra reddito medio di un nucleo familiare e costo medio di una proprietà immobiliare. Così, molti dei migranti interni hanno dato vita a questi insediamenti precari e informali: gli slum.
Le scarse capacità di previsione della crescita della popolazione da parte dell’amministrazione cittadina hanno contribuito a esacerbare il problema. Basti pensare che nel 1993 si riteneva che la città avrebbe raggiunto i cinque milioni di abitanti nel 2010, cifra che venne invece raggiunta con due anni di anticipo. Nella realtà, la città nel 2010 contava già 7.4 milioni di persone; di conseguenza, l’amministrazione municipale non è stata in grado di creare piani di sviluppo urbano adatti alle effettive necessità dei cittadini.
Programmi di ricollocamento
Alla fine degli anni Novanta, oltre 670.000 nuclei familiari vivevano negli slum. Negli ultimi trent’anni, l’amministrazione cittadina ha compiuto sforzi enormi per abbatterli, sostenendo di voler migliorare le condizioni di vita dei suoi abitanti. Al di là della retorica, l’obiettivo principale è quello di utilizzare i terreni occupati illegalmente in modo più redditizio, tramite progetti multi-miliardari di riqualificazione. I piani prevedono la costruzione di abitazioni per i lavoratori della classe media, centri commerciali, scuole internazionali e uffici per attrarre ulteriori investitori nella città.
Per liberare i terreni occupati dagli slum, l’amministrazione cittadina ha avviato dei programmi di ricollocamento degli abitanti, che prevedono una delle seguenti forme di compensazione per chi abbandona la propria abitazione:
1) acquisto della proprietà da parte del governo a un prezzo da esso stabilito;
2) assegnazione di un nuovo appartamento in una zona decisa dal governo;
3) assegnazione di un appezzamento di terreno di valore equivalente all’abitazione, stabilito dal governo.
Dal 1990, attraverso questi programmi, sono state demolite oltre 36.000 abitazioni negli slum. Nel 2016, è stato proposto un piano per abbattere altre 20.000 case – nei Distretti 7, 8 e Binh Thanh – e ricollocare gli abitanti entro il 2020. Con il costo del progetto stimato in 2 miliardi USD, nel 2018 la città ha chiesto l’intervento del settore privato per finanziare una spesa di circa 970 milioni USD. A oggi, il progetto non è stato ancora portato a termine e gli slum rimasti ancora in piedi sono anche, tristemente, una meta turistica.
Gli effetti
I programmi di ricollocamento hanno numerosi effetti negativi, che li rendono una misura non adatta a risolvere il problema. Il continuo aumento dei prezzi delle proprietà immobiliari e la mancanza di un’adeguata compensazione per la propria abitazione costringe i ricollocati ad andare a vivere in aree ancora più periferiche e povere, peggiorando le loro condizioni di vita. Questi nuclei familiari perdono infatti la rete economico-sociale che si erano costruiti nello slum e che, nonostante le condizioni precarie, dava loro sicurezza. Infine, molti finiscono per perdere anche la loro occupazione, sia perché le nuove abitazioni sono troppo lontane dal luogo di lavoro sia perché avevano trovato una loro dimensione nell’economia dello slum.
I problemi ambientali di Ho Chi Minh City
Secondo un report del 2010 dell’Asian Development Bank, Ho Chi Minh City è tra le prime dieci città al mondo che rischiano di subire gli effetti peggiori del cambiamento climatico entro il 2050. Inoltre, è tra le quindici città maggiormente inquinate nel Sud-est asiatico. La concentrazione di polveri sottili (PM 2.5) è più che doppia rispetto ai massimi livelli previsti dalle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nel 2019, si sono registrati soltanto 36 giorni in cui la città ha avuto una concentrazione di PM 2.5 al di sotto del massimo raccomandato. Inoltre, il fiume Mekong – una delle risorse idriche più importanti della città – registra livelli di ammoniaca 2/3 volte superiori ai limiti di sicurezza. Un metro cubo del fiume contiene tra i 10 e i 223 pezzi di plastica (in confronto, la Senna ne contiene tra 0.28 e 0.47).
Le cause dei problemi ambientali
Tra il 2000 e il 2010, si stima che oltre 33.000 ettari di terreno siano stati convertiti in terreni abitabili, per tentare di tenere il passo dello sviluppo demografico della città. Queste manovre hanno compromesso la tenuta idrogeologica dell’area metropolitana, riducendo le aree verdi e le risorse idriche e mettendo la città a rischio di frane e inondazioni.
L’inquinamento atmosferico, invece, è una diretta conseguenza dell’industrializzazione della città e dell’uso estensivo di mezzi di trasporto privati. Oltre ai fumi delle fabbriche e le polveri derivanti dalle costruzioni, i gas di scarico emessi dai 18 milioni di mezzi privati sono i maggiori responsabili dell’inquinamento dell’aria. Da soli, producono circa il 99% delle emissioni di CO2 della città.
Tra le cause dell’inquinamento delle risorse idriche, vi è lo sversamento nel Mekong delle acque di scarico delle fabbriche e delle industrie di trasformazione dello zucchero e della tapioca. Tuttavia, il mancato smaltimento dei rifiuti domestici, che vengono semplicemente e in maniera abitudinaria gettati nel fiume, ha oltre il 62% di responsabilità dell’inquinamento delle acque. In particolare, si stima che ogni cittadino riversi nelle acque di laghi e fiumi tra i 750 grammi e i 7.3 chili di rifiuti di plastica ogni anno.
Soluzioni possibili, soluzioni insufficienti
Nel 2017, l’amministrazione di Ho Chi Minh City ha cominciato a fornire ai propri cittadini un report mensile sul tasso dell’inquinamento dell’aria e dell’acqua. L’obiettivo è quello di sensibilizzare i cittadini stessi e motivarli, anche a livello individuale, a migliorare lo stato ambientale della città. Nel 2019, è stato avviato un piano da oltre 1.2 milioni USD per ripulire i canali della città. Nel 2020, l’autorità municipale ha proposto un piano per ridurre le emissioni di CO2 di oltre 57.000 tonnellate all’anno nel periodo 2021-2030.
Tuttavia, le azioni messe in campo dall’amministrazione di Ho Chi Minh City non sono ancora efficienti nel combattere i problemi abitativi e ambientali. Sarebbe importante agire in modo sistemico, partendo dal ripensamento della struttura urbana della città, in modo da mitigare l’impatto dell’urbanizzazione rampante e dell’industrializzazione sfrenata. Al centro di questo processo, dovrebbe esserci la garanzia di giustizia sociale nei confronti dei cittadini, che dovrebbero essere protetti dai danni ambientali e ricollocati in maniera dignitosa.
Fonti e approfondimenti
AFP, Living on edge: Vietnam’s ‘black canal’ dwellers, 9 novembre 2018
Asia Times, Clock is ticking for Ho Chi Minh city’s ‘black canals’, 15 novembre 2018
Cornelis J van Leeuwen et al., The Challenges of Water Governance in Ho Chi Minh City, Integrated Environmental Assessment and Management Volume, 9999, 2015
Daniel C. Park, Resettlement Policy in Hồ Chí Minh City, Vietnam and its effect on relocated individuals, The Journal of Contemporary Asian Studies, 20 gennaio 2018
Saigon Online “Air pollution in HCMC reaching alarming level”, 24 settembre 2019
Saigon Online, “HCMC striving to reduce greenhouse gases”, 16 novembre 2020
Truong Hoang Truong, Truong Thanh Thao & Son Thanh Tung, “Housing and transportation in Vietnam’s Ho Chi Minh City”, Social City, novembre 2017
United Nations Research Institute for Social Development, “Transformative Adaptation and Social Justice in Ho Chi Minh City, Viet Nam”, dicembre 2019
Vietnam Express, “Ho Chi Minh City seeks private investment to relocate canal slums”, 2 febbraio 2018
Vietnam Net, “Saigon River threatened by plastic waste”, 3 dicembre 2019
Be the first to comment on "Il sultano e le formiche: i problemi abitativi e ambientali di Ho Chi Minh City"