La globalizzazione come fenomeno multidimensionale

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nell’articolo introduttivo sulle origini della globalizzazione risulta evidente come tale fenomeno abbia favorito lo sviluppo economico a livello globale. Tuttavia, onde non cadere nella tentazione che Voltaire definirebbe panglossiana – quella del “viviamo nel migliore dei mondi possibili” che attribuisce al libero mercato ogni fortuna esistente – è importante andare più in profondità, analizzando la globalizzazione per intero, con le sue molteplici sfaccettature e implicazioni. A tal proposito, questo articolo e quelli che seguiranno si pongono l’obiettivo di approfondire la globalizzazione con una strutturata analisi multidisciplinare che acuisca i suoi aspetti sociali, legali, economici, geografici e politici, e le sue implicazioni. Grazie a un approccio multidisciplinare è infatti possibile portare alla luce gli aspetti troppo spesso trascurati e stimolare un dibattito sempre più acceso sui vantaggi e i problemi che la globalizzazione ha su individui, settori economico-sociali, territori e Stati.

Cos’è la globalizzazione

La globalizzazione è ovunque. Spesso si parla di globalizzazione nell’ambito di pratiche di outsourcing, ovvero l’appalto, parziale o totale, di funzioni, servizi o interi processi produttivi a società attive fuori dai propri confini nazionali. Tuttavia, la globalizzazione è anche il motivo per cui trovate un vestito a prezzo stracciato o un avocado sempre fresco. Grazie alla globalizzazione abbiamo appreso pratiche come lo yoga o preparare pietanze etniche. Se ancora non fosse chiaro, la globalizzazione è un fenomeno che ci riguarda tutti e che influenzerà sempre di più le nostre vite. La globalizzazione ha a che fare con lo scambio, che sia di merci, servizi, capitale, tecnologie, processi e capitale umano

 

La globalizzazione è sociale

Il dibattito sulla globalizzazione a livello di società si divide – come spesso accade per temi complessi – in due grandi scuole di pensiero. Da un lato i difensori del libero mercato, ancorati alle fondazioni filosofiche dello Stato liberale. Dall’altro i sentimenti no-global, cresciuti esponenzialmente a cavallo tra la fine del Novecento e l’inizio del XXI secolo. Una peculiarità del sentimento anti-globalista è che esso incorpora individui con ideologie diverse e appartenenti a organizzazioni completamente differenti. Basti pensare che esso coinvolge sia attivisti appartenenti a movimenti vicini alla sinistra non istituzionale, più attenti alle conseguenze negative da un punto di vista economico per le aree e gli individui che più subiscono gli effetti detrimentali della globalizzazione quali lo sfruttamento dei lavoratori o delle risorse ambientali, sia multinazionali protezioniste e frange di elettorato appartenenti alla destra nazional-populista. Essi concentrano infatti la propria attenzione sulla percepita perdita di sovranità popolare identificata con lo Stato-nazione a seguito dell’integrazione economica (e culturale) derivante dalla globalizzazione. Un esempio lampante è rappresentato dalle proteste ricorrenti contro il North American Free Trade Agreement (NAFTA), che coinvolge ambientalisti e attivisti sindacali preoccupati per la sostenibilità e le condizioni di lavoro dei lavoratori dei Paesi in via di sviluppo tanto quanto coinvolge multinazionali e frange nazionaliste e autarchiche.

 

La globalizzazione è politica

Il ruolo tradizionale degli Stati, basato sul controllo del proprio territorio e sul rimanere competitivi a livello globale, è messo sempre più in dubbio dall’emergere di una società civile globale e più interconnessa, che mette pressione agli stessi con proteste ed elezioni volte a rivedere il modello di sviluppo economico al quale si sono esposti nel corso degli ultimi decenni. Gli Stati si trovano perciò costretti tra forze di mercato internazionali, su cui non possono esercitare un controllo forte come in passato, e la gestione delle tensioni e delle instabilità al proprio interno, aumentate da fattori quali Internet e la comunicazione 2.0. Non è un caso che molti Stati, anche tradizionalmente aperti all’interconnessione, abbiano mostrato segni di insofferenza verso ad esempio trattati multilaterali come l’accordo di Parigi e memberships importanti come l’Organizzazione mondiale della sanità o quella del commercio.

 

La globalizzazione è geopolitica

La globalizzazione unisce le aree geografiche del mondo tramite un aumento progressivo dell’intensità degli scambi. Dall’integrazione dei mercati delle merci, servizi, capitali finanziari e umani risulta, in teoria, una maggiore ricchezza. Sfortunatamente però, la ricchezza non è sempre ugualmente distribuita tra tutti i partecipanti attivi nei mercati o facenti parte delle società interessate. Di conseguenza, dal processo globalista emergono sia dei “vincitori” che dei “vinti”. Trasponendo questo concetto a livello geografico, la ricerca accademica dimostra che a beneficiare dei vantaggi della globalizzazione, tra i quali rientra ad esempio l’abbassamento del costo della vita (e viceversa l’aumento del potere d’acquisto), siano tendenzialmente i residenti in Paesi sviluppati. I vinti invece sono prevalentemente le fasce di popolazione più fragili dei Paesi in via di sviluppo, costrette in uno stato di subordinazione nei confronti di Paesi più ricchi e senza possibilità di miglioramento di condizioni domestiche pena la perdita di competitività internazionale. Immaginiamo a titolo esemplificativo che uno Stato centroamericano, esportatore di prodotti tessili per l’Occidente, faccia passare improvvisamente una riforma che tuteli i propri lavoratori attivi nel settore con orari decenti e paghe eque. Nulla impedirebbe alla multinazionale occidentale di delocalizzare la produzione in un un altro Paese, come ad esempio nel Sud-est asiatico, distruggendo il settore tessile dello Stato centroamericano. 

Da ciò derivano quindi disuguaglianze a livello geografico, che si tratti di macro o microregioni oppure singoli settori, che possono scaturire da conflitti interni, esterni, oppure da flussi migratori di lavoratori disperati in cerca di una vita migliore. L’immigrazione infatti, se ci si fa caso, non è che la faccia umana della globalizzazione.

 

La globalizzazione è commercio

In ambito economico-finanziario, il fenomeno globalista si concentra sulla interdipendenza e interconnessione tra individui, aziende e territori sull’intero pianeta. L’integrazione internazionale dei mercati delle merci, servizi, capitali finanziari e umani ha portato alla creazione di attori transnazionali aventi un enorme potere, che sfidano e alterano il ruolo tradizionale degli Stati a livello economico. Di conseguenza, alcuni settori, aziende e individui si trovano costretti ad adattarsi alle condizioni dettate dal mercato più che dalle norme vigenti. Nell’ambito commerciale, vi è perciò una linea di demarcazione forte tra gruppi che hanno il potere per prosperare nei mercati interconnessi e quelli che o non hanno questi vantaggi o percepiscono l’espansione dei mercati non regolamentati come ostile alla stabilità sociale. Ad esempio, basti considerare le paure dell’impiegato occidentale che teme per il suo posto di lavoro a seguito di redditizie delocalizzazioni aziendali oppure al lavoratore in un qualsiasi Paese in via di sviluppo, dove magari vi è un’offerta sproporzionata di forza lavoro a basso costo, che è costretto a soddisfare orari e condizioni di lavoro inimmaginabili pur di portare a casa quel poco per sopravvivere.

 

La globalizzazione è legale

La passata e recente evoluzione del fenomeno suscita anche riflessioni sull’ambito legale dei processi di intensificazione globalista. La globalizzazione induce a un rivoluzionamento dei sistemi legali, con una lex mercatoria in costante trasformazione. Inoltre, gli sviluppi futuri che discendono dall’avvento di tecnologie sempre più avanzate, cambiano irreversibilmente la nostra società e il nostro sistema economico ogni giorno, creando nuove entità giuridiche e nuovi campi da regolamentare. Ad esempio, l’avvento delle telecomunicazioni sempre più rapide e performanti rivoluzionerà sempre più velocemente la globalizzazione.

 

Considerazioni finali

Come si evince da questi esempi, la globalizzazione, se non regolamentata, controllata e potenziata, può creare tensioni e disuguaglianze. La globalizzazione, nel suo sviluppo più recente, è stata agevolata (e sregolata) da un approccio ideologico di tipo liberista da parte delle autorità competenti. Tuttavia, è di cruciale importanza capire come essa possa essere adottata in modo compatibile con la stabilità domestica dal punto di vista sociale, politico, geografico, economico e legale. 

La globalizzazione è il passato, il presente ma soprattutto il futuro del nostro sistema societario ed economico. Non è immaginabile poterla fermare con la costruzioni di muri o barriere, che provocherebbero solo effetti negativi per i tessuti socio-economici nazionali. Dobbiamo invece continuare a parlarne, a scriverne, a ricercare e ad approfondire le sue mille e una faccia.

 

 

Fonti e approfondimenti

Inglehart, R., & Norris, P. (2017). Trump and the populist authoritarian parties: the silent revolution in reverse. Perspectives on Politics, 15(2), 443-454.

Lindert, P. H., & Williamson, J. G. (2003). Does globalization make the world more unequal?. In Globalization in historical perspective (pp. 227-276). University of Chicago Press.

Rodrik, D. (1998). Has globalization gone too far?. Institute for International Economics, Chapter 1.

Rudra, N. (2005). Are workers in the developing world winners or losers in the current era of globalization?. Studies in Comparative International Development, 40(3), 29-64.

World Health Organization, Health Topics, Globalization.

 

Editing a cura di Cecilia Coletti

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