Verità e giustizia in Uruguay: dalla dittatura di Bordaberry alla sentenza del caso Gelman – Seconda parte

Montecruz Foto - Pixabay - CC BY-SA 2.0

Calma apparente

Nel 1995 l’America latina venne sconvolta da alcune rivelazioni: Horacio Verbitsky pubblicò l’intervista all’ex ammiraglio argentino Adolfo Scilingo, che rivelò la pratica dei vuelos de la muerte. Nella periferia di Montevideo fu ritrovato il cadavere di un medico cileno fatto sparire per evitare che testimoniasse sull’attentato del 1976 a Orlando Letelier, politico inviso a Pinochet.

L’anno seguente, Rafael Michelini organizzò a Montevideo la “marcia del silenzio”, in commemorazione del sequestro e dell’assassinio del padre, il senatore Zelmar Michelini, per mano dell’esercito uruguayano. Vi parteciparono circa cinquantamila persone.

I tempi erano ormai maturi per affrontare le  violenze e i crimini delle forze armate lasciati irrisolti dopo la transizione democratica. L’ascesa di nuovi vertici politici e di un attore internazionale di statura rilevante come la Corte Interamericana dei Diritti Umani avrebbe consentito, di lì a poco, di intaccare la solidità delle protezioni giuridiche e politiche di cui godevano le forze armate.

Ciononostante, restava ferma l’impunità garantita ai militari dalla Ley de Caducación de la Pretensión Punitiva del Estado (Legge di Caducazione della Pretesa Punitiva dello Stato) del 1986.

L’articolo 3 di tale provvedimento prevede che, qualora venga presentata denuncia per un illecito commesso da un militare prima del 1/03/1985, il giudice debba richiedere al potere esecutivo di stabilire se il fatto contestato rientri tra quelli coperti dall’amnistia. In caso di risposta affermativa, il giudice deve disporre l’archiviazione

L’articolo 4 riservava all’esecutivo la competenza per indagare sulle sparizioni forzate e sui sequestri di minori. Formalmente ciò permetteva di presentare denunce e, limitatamente ai casi di desaparecidos o bambini sequestrati, anche di compiere indagini.

Così costruita, tuttavia, la legge consentiva all’esecutivo di esercitare un fortissimo condizionamento sui tribunali, e ciò rese impossibile aprire i procedimenti.

La tenuta di questa amnistia iniziò a cedere nei primi anni Duemila, grazie a una serie di fattori giuridici e politici.

Il superamento della legge di amnistia

Negli anni Duemila, il presidente José Luís Battle Ibañez autorizzò le prime indagini relative a casi di neonati figli di desaparecidos sequestrati durante la dittatura. Istituì anche la Comisión para la Paz (Commissione per la Pace), la quale riuscì a redigere una relazione che ricostruiva la storia del periodo dittatoriale.

Il presidente successivo, Tabaré Ramón Vásquez Rosas, fece un passo ulteriore, adottando una interpretazione della Ley de Caducación che permetteva le indagini relative a crimini commessi da civili. Ciò avrebbe portato a processo i primi imputati eccellenti, tra i quali figurava Juan Carlos Blanco, ministro degli Esteri durante il governo di Bordaberry.

Altro passo importante fu compiuto dalla Corte Interamericana de Derechos Humanos (CIDH), organismo sovranazionale che ammette ricorsi da parte di persone fisiche o associazioni sudamericane allo scopo di determinare se uno stato debba rispondere della violazione delle previsioni contenute nella Carta Americana de Derechos Humanos (CADH), trattato internazionale che l’ha istituita. 

Nel 2001, con la sentenza Barrios Altos v. Perú, la CIDH affermò per la prima volta che non è possibile impedire che vengano sanzionati i responsabili delle violazioni dei diritti umani (in particolare torture e sparizioni forzate) invocando l’applicazione di leggi di amnistia, prescrizione o cause di non punibilità. Nonostante le decisioni della CIDH siano vincolanti soltanto per lo Stato nei confronti del quale vengono pronunciate, il principio enunciato in questa sentenza venne ripreso da numerose corti di Stati sudamericani e costituì la prima breccia nel muro d’impunità, di cui godevano i membri delle dittature.

Il caso Gelman

In Uruguay, il caso Gelman rivestì centrale importanza nel processo di consapevolezza rispetto agli abusi della dittatura. 

Il 24 agosto 1976 María Claudia Iruretagoyena Casinelli e Marcelo Ariel Gelman Schubaroff vennero sequestrati in Argentina. Marcelo vi rimase detenuto fino all’ottobre dello stesso anno, quando venne ucciso, mentre la moglie, in avanzato stato di gravidanza, venne portata a Montevideo. Lì, María Claudia diede alla luce una bambina, adottata in seguito da un ufficiale di polizia con il nome di María Macarena e tenuta all’oscuro della propria vera identità e della propria storia. 

Solo nel 2000, dopo otto anni di difficili ricerche, il poeta uruguayano Juan Gelman, padre di Marcelo, riuscì a rintracciare la nipote e a ricongiungersi con lei, fortuna che ad oggi non è toccata a molte famiglie.

Nel giugno 2002 Juan Gelman presentò una denuncia volta a individuare e punire i responsabili della vicenda, considerando anche che è tuttora sconosciuto il destino subito dalla nuora María Claudia. Il caso fu però bloccato nel 2003 dall’applicazione della legge di amnistia.

Il caso Gelman arrivò alla Corte Interamericana de Derechos Humanos, che riconobbe nella sua sentenza la responsabilità dell’Uruguay.

In primo luogo, lo Stato aveva violato una serie di diritti di cui erano titolari Juan Gelman e María Macarena, ovvero quelli alla personalità giuridica, alla vita, a ricevere un trattamento umano, alla libertà personale, all’integrità personale, alla tutela di onore e dignità, al nome, alla nazionalità, alla tutela della famiglia.

In secondo luogo, l’Uruguay aveva violato le misure a tutela del fanciullo in danno di María Macarena.

In terzo luogo, lo Stato aveva violato il diritto al giusto processo, non avendo condotto adeguate indagini sulla sparizione di María Claudia e non avendo dato sufficiente impulso alle ricerche di María Macarena.

Circa quest’ultimo punto, la Corte formulò una pesante critica della Ley de Caducación, affermando che lo Stato, rispetto alle sparizioni forzate, ha un dovere di indagine di natura cogente (quindi non limitato dalla prescrizione o dall’assenza nell’ordinamento di un reato che punisca quello specifico fatto). La Corte aggiunse che nessuna amnistia, nemmeno se varata in ordinamenti democratici, è compatibile con le violazioni dei diritti umani. 

La CIDH dichiarò quindi priva di effetti giuridici la Ley de Caducación.

Il secondo referendum e gli effetti della sentenza Gelman

Fino al 2011, anno della sentenza Gelman v. Uruguay, la CIDH si era occupata principalmente di “auto-amnistie”. 

Con tale termine venivano definite le leggi con le quali, prima del ripristino degli equilibri democratici, le giunte militari si assicuravano l’impunità per i crimini commessi dai propri membri. 

Quindi, i giudici sovranazionali avevano potuto tranquillamente dichiarare l’inefficacia di tali provvedimenti. 

Diversamente, la Ley de Caducación de la Pretensión Punitiva del Estado era stata redatta e promulgata dal neonato Parlamento uruguayano (nonostante la permanente influenza dei militari) e confermata da un referendum tenutosi nel 1989.

A complicare ulteriormente il quadro, nel 2009 la Corte Suprema aveva dichiarato per la prima volta l’incostituzionalità della Ley de Caducación, nell’esercizio del potere di controllo di costituzionalità diffuso. 

In base ad esso, tutti i tribunali uruguayani possono statuire l’incostituzionalità di una norma, ma solo relativamente al caso in cui l’incostituzionalità è pronunciata. 

Le ragioni dell’incostituzionalità riguardavano la violazione del principio di separazione dei poteri e degli obblighi internazionali sottoscritti dall’Uruguay. 

Pochi mesi dopo, tuttavia, tale legge era stata riconfermata da un secondo referendum.

Dinanzi a queste contraddizioni, la sentenza Gelman arrivò a dire che il referendum, strumento che incarna la democrazia diretta, non è sufficiente a garantire il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani. Le consultazioni referendarie del 1989 e del 2009 furono considerate violazioni del diritto internazionale stesso, poiché i diritti umani vengono considerati dalla Corte come una materia sulla quale la popolazione non può essere chiamata a pronunciarsi in modo diretto. 

La CIDH affermò che solo il potere giudiziario poteva occuparsi di diritti umani: infatti i magistrati, quali tecnici del diritto, avrebbero garantito una gestione di tali tematiche rispettosa delle garanzie e dei limiti previsti dalla Costituzione uruguayana. 

Tale documento, la più elevata fonte del diritto nazionale, avrebbe assicurato un parametro stabile e adeguato di tutela dei diritti umani che la classe politica non avrebbe potuto modificare facilmente.

Queste conclusioni attirarono forti critiche alla Corte Interamericana, accusata dalla magistratura uruguayana di eccessive ingerenze nella politica interna degli Stati membri della CADH e di eccedere i limiti del proprio mandato.

Una strada incerta

La mancanza di un pieno allineamento della magistratura uruguayana rispetto alla sentenza Gelman rallenta il lavoro del potere giudiziario nella gestione delle denunce relative alle sparizioni forzate e ai crimini commessi dai militari durante la dittatura. 

La Ley de Caducación de la Pretensión Punitiva del Estado è ancora in vigore, conformemente alla volontà popolare espressa dai due referendum. Tuttavia, nel 2011 il Parlamento ha emanato un decreto che priva di effetti giuridici tutti i provvedimenti emessi dal governo in applicazione dell’art. 3, eliminando di fatto gli ostacoli alla prosecuzione delle indagini e all’apertura dei processi.

Nel 2013, alcuni articoli di quel decreto sono stati dichiarati incostituzionali dalla Corte Suprema, pronuncia che, pur non eliminando in modo definitivo il provvedimento, rischia di consentire una frammentaria applicazione delle previsioni della Ley de Caducación

Questa vicenda è indice della scarsa decisione con la quale il potere giudiziario sta affrontando la situazione. Nonostante ciò, vi è un ristretto gruppo di giudici che si batte per portare a compimento i processi per sparizioni forzate aperti a partire dal 2011.

La giustizia di transizione uruguayana è ancora agli albori del percorso e la sua evoluzione andrà osservata per capire se i tribunali manterranno il loro rigido approccio o se assisteremo a un’inversione di tendenza, che consenta di assicurare un giusto processo per i crimini della dittatura.

 

Fonti e approfondimenti

Louise Mallinder, “Uruguay’s Evolving Experience of Amnesty and Civil Society’s Response, Working Paper n°4 from Beyond Legalism: Amnesties, Transition and Conflict Transformation”, Institute of Criminology and Criminal Justice, Queen’s University, Belfast, 2009.

Servizio de Paz y Justicia (SERPAJ), Uruguay: nunca más. Informe sobre la violacin de derechos humanos: 1972-1985”, 1989.

Pablo Galain Palermo, “La Justicia de Transición en Uruguay: un conflicto sin resolución”, in Revista de Derecho Penal y Criminologia, 3(6), 2011.

Commission Internationale de Juristes, “Informe de la Misión al Uruguay. Abril/Mayo 1974”.

Carlos Demasi, “Ante la teoría de los dos demonios. ¿Cuáles dos demonios?” Página Digital, 2003.

Elin Skaar, “Legal Developments and Human Rights in Uruguay: 1985 – 2002”, in Human Rights Review, 8(2), 2007.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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