Migrazione e discriminazione haitiana in Repubblica Dominicana (seconda parte)

Herve Jean-Charles, USAID - Pixnio.com - CC0

Spazi ristretti per la cittadinanza dominicana

Il trattamento discriminatorio riservato agli immigrati haitiani in Repubblica Dominicana ha avuto conseguenze importanti sul tema del riconoscimento della cittadinanza.

Dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento, dopo l’introduzione degli accordi per regolamentare l’immigrazione dei braccianti agricoli, coloro che avevano figli durante il periodo di permanenza in Repubblica Dominicana potevano registrarli come cittadini dominicani, in applicazione del principio dello ius soli.

A partire dagli anni Settanta, però, con la crisi delle piantagioni dello zucchero e l’aumento dell’astio nei confronti degli immigrati, si affermò la tendenza a negare l’emissione di un documento d’identità dominicano ai discendenti di immigrati haitiani. Secondo le analisi del Centro Cultural Dominico-Haitiano (CCDH), tra i nati da genitori haitiani prima del 1967 circa l’80% era in possesso di un documento d’identità dominicano, mentre tra i nati dopo il 1967 solo il 30% lo ha ricevuto.

Questa inversione di tendenza veniva giustificata con un’eccezione al principio di ius soli nella carta costituzionale dominicana. 

Questo documento, infatti, afferma che tutti i nati in territorio dominicano sono cittadini, tranne coloro che sono figli di persone definite “in transito” (ad esempio, i figli di diplomatici stranieri che nascono durante un periodo di permanenza dei genitori in Repubblica Dominicana).

I funzionari dominicani avevano iniziato a classificare come persone “in transito” anche gli immigrati haitiani, soprattutto se entrati nel Paese illegalmente, a prescindere dalla durata della loro permanenza

Questa prassi venne ratificata dalla Resolución 12/07, che vietava l’emissione di documenti d’identità ai discendenti di genitori privi di cittadinanza dominicana.

Il caso di Juliana Deguis Pierre

L’ultimo tassello che ha formalizzato l’emarginazione sociale dei discendenti degli immigrati haitiani è rappresentato dalla sentenza 168/2013 del Tribunal Constitucional dominicano.

Il caso sul quale i giudici si sono pronunciati riguarda Juliana Deguis Pierre, nata nel 1984 in un batey (un insediamento costruito con materiali di fortuna intorno ai campi di lavoro), la quale nel 2008 chiese alla Junta Central Dominicana (JCE) l’emissione della propria cédula de identidad.

Si tratta di un documento analogo alla nostra carta d’identità necessario per numerose attività come votare, comprare immobili, immatricolarsi all’università, ottenere un passaporto, viaggiare all’estero, iscrivere i propri figli a scuola, accedere a visite mediche.

La richiesta di Juliana Deguis Pierre fu respinta perché i suoi genitori erano privi della cittadinanza dominicana, essendo haitiani immigrati negli anni Settanta.

La donna, allora, si rivolse al Tribunal Constitucional, che non solo rigettò definitivamente la sua richiesta, ma addirittura stabilì espressamente che lo ius soli non poteva applicarsi ai discendenti di genitori privi di cittadinanza dominicana. 

Di conseguenza, la JCE venne incaricata di individuare tutti i nati da genitori non dominicani che, dal 1929 in poi, fossero stati registrati come cittadini, affinché il loro stato civile fosse rettificato in quello di extranjeros (stranieri).

L’opinione pubblica dominicana celebrò la decisione, poiché poneva un ostacolo alla migrazione haitiana, che veniva considerata un’invasione.

Nella Repubblica Dominicana oltre il 40% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, perciò al pregiudizio anti haitiano si aggiunge il timore che i migranti – solitamente sottopagati – occupassero posti di lavoro a scapito dei dominicani.

Il giorno della pronuncia, fuori dal tribunale, i manifestanti esibirono cartelloni con gli slogan “Entre los dominicanos y los haitianos no es posible una fusión” (Tra dominicani e haitiani non è possibile una fusione), “Ante la agresión de Haití, defiende tu patria” (Di fronte all’aggressione da parte di Haiti, difendi la tua patria), “República Dominicana para los dominicanos” (Repubblica Dominicana per i dominicani).

I provvedimenti successivi

Per i discendenti degli immigrati le conseguenze della sentenza furono devastanti: l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) ha stimato che, solo tra i dominicani di prima generazione, 133.770 persone venivano private della cittadinanza. Questi individui erano diventati legalmente estranei al loro luogo di nascita e non necessariamente avevano i requisiti per ottenere la cittadinanza haitiana o di un altro Stato, rischiando di rimanere apolidi.

In conseguenza di pressioni da parte delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e della Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños, il Congresso dominicano ha elaborato alcuni provvedimenti che consentono il recupero della cittadinanza di una parte dei discendenti degli immigrati.

Molti degli interessati, però, sono stati ostacolati dalla burocrazia e dalla difficoltà di ottenere i documenti necessari per comprovare i requisiti richiesti.

Per capire la gravità del problema basti pensare che, su 250.000 iscritti a uno dei programmi elaborati dal governo, meno di 10.000 persone hanno riottenuto la cittadinanza dominicana.

Le misure, inoltre, erano state arbitrariamente indirizzate ai soli discendenti di haitiani nati in Repubblica Dominicana prima dell’anno 2007, mentre nulla è stato previsto per consentire l’acquisizione della cittadinanza a chi fosse nato successivamente.

Le critiche

A seguito della sentenza 168/2013 si prevede che il futuro dei migranti sarà caratterizzato dall’intensificazione di persecuzioni e deportazioni.

Il professor Samuel Martínez, docente presso l’università del Connecticut, e la dottoressa Bridget Wooding, coordinatrice del Caribbean Migration and Development Observatory (OBMICA) hanno evidenziato che questa situazione avrà ricadute negative anche per chi resterà nel territorio dominicano.

«Le opportunità dei futuri discendenti degli haitiani di scappare dalla povertà saranno ostacolate non da recinzioni di filo spinato» hanno affermato «più probabile […] è la creazione di una nuova e sempre più ampia classe di cittadini con incapacità civili, persone che sono culturalmente dominicane ma che avranno una cittadinanza straniera (haitiana) o non avranno nessuna cittadinanza. […] I membri di questa minoranza interna avranno, nel migliore dei casi, opportunità inferiori per accedere […] ai canali attraverso i quali i dominicani hanno cercato di ascendere a livello di classe sociale».

La mancanza di documenti, infatti, determina l’impossibilità di viaggiare, acquistare proprietà, frequentare l’università. Impedire queste attività ai discendenti di immigrati li costringe a rimanere cittadini di serie B, in condizioni di marginalizzazione e di sfruttamento e a un costante rischio di deportazione da parte della polizia migratoria. Per queste ragioni, Martínez e Wooding hanno definito il fenomeno un genocidio civile.

Nuove misure restrittive

A partire dal 2020, con l’inizio del mandato del Presidente Luis Rodolfo Abinader Corona, sono state adottate ulteriori misure restrittive ai danni dei migranti haitiani e dei loro discendenti.

Le autorità hanno sospeso il pagamento delle pensioni ai lavoratori delle piantagioni (la maggioranza dei quali ha origini haitiane) e hanno annunciato la necessità di riesaminare circa 220.000 permessi di soggiorno.

La polizia migratoria ha ricevuto l’ordine di arrestare chi non è in possesso della cittadinanza e si trovi per strada tra le sei di sera e le sei del mattino. Persino le scuole sono luoghi non sicuri: i bambini che mostrano difficoltà nella lingua spagnola o che usano il creolo vengono considerati immigrati e arrestati. In alcuni casi, arresti e deportazioni comportano la separazione di genitori e figli o riguardano donne in stato di gravidanza.

L’espulsione degli arrestati dal territorio dominicano viene eseguita poche ore dopo gli arresti, senza alcuna forma di controllo giudiziario o garanzia di tutela.

Queste misure colpiscono soprattutto persone afrodiscendenti, talvolta anche se hanno la cittadinanza dominicana. 

«L’impressione generalizzata è che gli haitiani sono le uniche persone nere nel Paese, cosa che non ha molto senso per la Repubblica Dominicana, dove la pelle scura è un tratto diffuso nella popolazione» ha spiegato il giornalista Luis Trelles «Però questo pregiudizio contro gli afrodiscendenti è molto profondo. Quando le autorità controllano i documenti, si rivolgono sempre per prime alle persone nere».

La posizione dei politici

Nel 2021, il Presidente Abinader ha iniziato la costruzione di un muro lungo la frontiera con Haiti, progetto per cui è prevista una spesa di oltre cento milioni di dollari. Lo scopo è porre un freno al flusso migratorio in entrata, anche se la sua efficacia è dubbia, perché la frontiera è estremamente permeabile e finora le autorità non sono mai riuscite a frenare l’immigrazione illegale.

L’opinione pubblica dominicana ha appoggiato questa misura, perché viene costantemente bombardata dai media con messaggi che descrivono gli immigrati come creature bestiali e selvagge da cui difendersi e il fenomeno della migrazione come un problema di sicurezza nazionale.

Jesús Vázquez Martínez, ministro dell’interno e della polizia, ha aderito a questa retorica affermando che «La minaccia principale per la Repubblica Dominicana è Haiti e abbiamo il dovere di difendere la nostra patria». 

Di conseguenza, ha introdotto l’obbligo, per gli immigrati haitiani, di registrare i propri spostamenti all’interno del territorio dominicano, una scelta paragonata all’introduzione del sistema dei pass per le persone nere esistente in Sudafrica ai tempi dell’apartheid. Sono state anche previste sanzioni per chi fornisca vitto o alloggio a immigrati irregolari.

A fronte delle accuse di razzismo e xenofobia mosse al Paese, tuttavia, Abinader ha risposto evidenziando il disinteresse del resto del mondo verso la situazione haitiana

Durante la settantaseiesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, nel settembre 2021, il Presidente dominicano ha invocato l’aiuto delle potenze internazionali «Non basta un’azione unilaterale per risolvere la situazione. È necessario che la comunità internazionale non abbandoni la Repubblica Dominicana […] non c’è e non ci sarà mai una soluzione dominicana alla crisi di Haiti».

La storia, a ogni modo, ha dimostrato che il destino dei due Paesi è e resterà strettamente legato.

 

Fonti e approfondimenti

Dánica Coto, Dominican Republic expels, mistreats Haitians, activists say, AP News, 5 dicembre 2021.

Diego Battistessa, In Repubblica Dominicana è caccia ai migranti haitiani: al via le deportazioni massive, Il Fatto Quotidiano, 10 gennaio 2022.

Dolores Vicioso, President Abinader in UN: DR cannot solve Haiti’s crisis alone; President Abinader appeals to multilateralism, dr1.com, 23 settembre 2021.

Radio Ambulante, Transcripción – La sentencia, 29 maggio 2018.

Samuel Martínez e Bridget Wooding, El antihaitianismo en la República Dominicana: ¿un giro biopolítico?, Migración y desarrollo, gennaio-giugno 2017.

Sharri K. Hall, Antihaitianismo: Systemic Xenophobia and Racism in the Dominican Republic, Council On Hemispheric Affairs, 29 giugno 2017.

Yanis Iqbal, The Long History Of Anti-Haitianism In The Dominican Republic – OpEd, Eurasia Review, 3 gennaio 2022.

 

Editing a cura di Matilde Mosca

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