Perché è importante il nuovo Patto di stabilità

Immagine creata con AI di Canva @Lo Spiegone

Il 20 dicembre scorso, dopo mesi e mesi di trattative e in ultimo una lunga settimana di incontri, i 27 Paesi europei hanno trovato un accordo sulle regole di fiscalità, il nuovo Patto di stabilità, dopo che negli ultimi quattro anni era stato sospeso per la pandemia da Covid-19. Il Patto, che si appresta a passare dal Parlamento europeo, presenta tanti punti critici e di difficoltà, ma anche alcune parziali note positive.

Che cos’è il Patto di stabilità?

Il Patto di stabilità e crescita è un insieme di norme fiscali che vincolano tutti i Paesi membri dell’UE al rispetto di precise regole di bilancio, come gli ormai noti limiti del 3% al rapporto deficit/PIL e del 60% di quello debito/PIL.

Fu creato negli anni Novanta, proprio perché la classe politica europea riteneva che un’unione monetaria non potesse permettersi di avere economie che andavano a velocità totalmente differenti, con indici e prospettive non convergenti. Un dato che avrebbe messo in difficoltà il principio stesso dell’Unione, ma che ha poi creato grandi problematiche nell’andamento economico e, a seguire, nel tessuto sociale dei Paesi, soprattutto in relazione alle pesanti crisi economiche.

Cosa prevedeva il vecchio accordo?

All’indomani della crisi del debito i Paesi del Nord Europa consentirono il salvataggio dei Paesi del Sud, solo a patto che più stringenti regole fiscali venissero imposte, soprattutto attraverso piani di rientro del debito molto incalzanti. Di conseguenza, il rispetto di questi valori è stato affidato a un braccio preventivo e un braccio correttivo, più volte riformati nel corso degli anni attraverso dei regolamenti specifici e il Fiscal Compact. 

Il braccio preventivo è stato rafforzato attraverso l’introduzione del Semestre europeo, un insieme di procedure che si concretizza in un percorso di continuo controllo, che consente ai Paesi di discutere i piani economici e di bilancio monitorando i loro progressi in momenti specifici dell’anno. Il braccio correttivo interviene in seguito accompagnando gli Stati, nel caso in cui questi siano usciti dai binari prestabiliti dai vincoli comunitari, verso un rientro nei parametri fiscali in linea con le norme europee e, in casi estremi, applicando multe e penalità.

Un esempio è il ritmo di riduzione di 1/20 per anno della quota eccedente di debito, fissato dal Fiscal Compact per i Paesi che superano il 60% nel rapporto tra debito e Pil. Un dato che obbligherebbe la Francia e l’Italia a ridurre il loro debito pubblico rispettivamente del 2,50% e del 4,2% all’anno, imponendo una politica di austerità che avrebbe effetti devastanti sul tessuto sociale ed economico dei due Stati.

Cosa prevede il nuovo Patto di stabilità?

Il nuovo Patto prevede diversi lati giudicati migliorativi rispetto al Fiscal Compact, ma anche il parziale ritorno a una situazione di stallo che l’accordo raggiunto non riesce a superare.

  1. Cambia l’approccio del passato con piani non generalizzati ma basati sulla DSA – analisi di sostenibilità del debito – che la Commissione europea svolgerà su ogni singolo Paese e farà poi approvare dal Consiglio europeo. Si tratta di una valutazione che viene svolta per garantire una maggiore coerenza tra situazione economica reale e fattibilità del percorso previsto, per cui questo renderà probabilmente più facile per ogni Paese rispettare il piano.
  2. Si utilizza come principale parametro di calcolo il percorso di spesa netta, al netto quindi dei costi di interesse del debito, e si mantiene una clausola di flessibilità del piano dello 0,3%, permettendo un maggiore margine di azione rispetto al passato.
  3. Si risolvono alcuni problemi della precedente proposta, i quali prevedevano l’applicazione della clausola di salvaguardia del debito nello stesso momento della clausola di salvaguardia del deficit, creando una sorta di paralisi del Paese in oggetto. Alla luce di questa novità, sarà prima necessario rientrare nei parametri del deficit e poi si partirà con la riduzione del debito.
  4. Il dato più preoccupante per i Paesi ad alto deficit è la clausola di salvaguardia che richiede un aggiustamento fiscale volto a mantenere lo Stato a metà del parametro del 3%. Si tratta di una modifica che parte da una considerazione rischiosa, ovvero che per riguadagnare la fiducia degli investitori e degli altri Paesi, le nazioni con il deficit più alto – come Italia e Francia, al di sopra di molti Stati dell’UE – dovessero dimostrare di essere ancora più rigorose. Per Paesi come l’Italia in particolare, caratterizzati da un alto debito e da una bassa crescita, questo sviluppo potrebbe tradursi in un intervento gravoso e limitante, visto che dovrebbe prevedere sui tre anni una riduzione del saldo primario netto del 4% del PIL, con il pericolo tra l’altro di portare a interventi strutturali volti a limitare la spesa sociale dello Stato.
  5. Nell’accordo è stato accordato che i costi degli interessi del debito dal 2024 al 2027 saranno scorporati dai costi. Questo significa che il prezzo che ogni anno i Paesi pagano per gli interessi del proprio debito non saranno calcolati all’interno della quota di spesa pubblica accettata. Nonostante questo garantisca uno spazio di manovra in più per i singoli Stati, non sarà sufficiente per garantire sul lungo periodo uno spazio sensibile per gli investimenti e la crescita e fondamentalmente scarica un problema ai prossimi governi che invece dovranno prendere in considerazione anche la spesa per interessi. Tutti i Paesi che hanno spinto in questa direzione hanno tornate elettorali precedenti alla scadenza, una “curiosità” che consente di cogliere il profondo legame tra economia, politica e consenso.

Chi vince e chi perde?

Con l’accordo, prevale la linea dei Paesi più rigidi sul tema dell’austerity, mentre escono chiaramente sconfitti e in difficoltà i Paesi mediterranei ad alto deficit e debito, soprattutto Italia e Grecia, che, rispetto alla Spagna e al Portogallo, hanno entrambi i parametri molto alti anche a fronte di una crescita bassa.

L’unico “contentino” che Francia e Italia riescono a portarsi dietro è lo scorporo degli interessi del debito dai percorsi di rientro del deficit e quindi una possibilità di spesa nei prossimi anni. Tuttavia, si tratta di un traguardo solo temporaneo per due motivi principali.

Da una parte, la Germania non ha accettato che fossero inseriti in questo scorporo anche gli investimenti green e per la transizione digitale, cosa che limiterà la spesa pubblica in un momento in cui tutti i grandi Paesi del mondo la aumentano su questi temi. Dall’altra parte sono state inserite, come abbiamo visto, clausole di salvaguardia ulteriori, ricalcando il modello del Fiscal Compact precedente, che porteranno a future politiche di austerità.

Guardando ai gruppi politici europeisti, i socialisti escono con le ossa rotte da questa discussione, ottenendo solo più flessibilità nelle tempistiche. La proposta presentata dalla presidenza spagnola di Sanchez è stata stravolta e alla fine il nuovo patto di stabilità è molto più in linea col modello tedesco, che con quello mediterraneo.

I progressisti vedono di buon occhio una cosa in particolare. Il grado di attuazione dei piani di ripresa e resilienza sarà un elemento centrale di valutazione per accordare la flessibilità temporale al rientro di debito e deficit passando da 4 a 7 anni. Questo vuol dire che i Paesi saranno obbligati, per ottenere un maggior margine di manovra, a portare a termine politiche caratterizzate da una maggiore attenzione alla transizione ecologica e digitale, come nel caso del PNRR.

A questo si aggiunge un risvolto positivo frutto delle austerità nazionali che si andranno a creare. Visto che sarà limitata la capacità di spesa per investimento dei singoli Paesi europei, soprattutto per quelli più indebitati, i piani di investimento a livello comunitario rappresenteranno la vera leva fiscale di ogni singolo Stato, che sarà quindi in difficoltà a portare avanti un progetto di sviluppo svincolando la propria azione da quella europea. Questo di fatto si traduce in un obbligo per i Paesi a investire fortemente in questo senso, il che potrebbe accrescere il consenso riguardo alla riedizione di un Next Generation Eu in futuro.

Patto di stabilità: quale bilancio?

Il nuovo Patto di Stabilità sicuramente porterà ad una restrizione della leva fiscale di molti Paesi e lo si capisce dalle parole di Paschal Donohoe, presidente dell’ECOFIN, il Consiglio dei ministri dell’economia dell’Unione europea, che ha affermato che il Patto avrà sicuramente un “effetto restrittivo per l’area euro”.

La proposta di patto adesso dovrà passare dal Parlamento europeo, dove ci potrebbero essere limitati margini di manovra per aumentarne la flessibilità. Se dovesse concretizzarsi secondo questa visione, a emergere sul lungo periodo sarà uno scenario che non risolve le criticità del passato, ma che almeno supera la visione a breve termine della politica di bilancio europea e riconosce maggiormente l’importanza degli investimenti.

 

 

Fonti e approfondimenti

FEPS, EU Fiscal Rules, 20/10/2023. 

Jeromin Zettelmeyer, “Assessing the Ecofin compromise on fiscal rules reform”, Bruegel, 22/12/2023.

Martin Arnold Paola Tamma, “Economists warn fiscal squeeze to hit eurozone next year”, Financial Times, 22/12/2023. 

 

 

 

Editing a cura di Alberto Pedrielli 

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