Rovesci di Genere: storia e analisi della violenza di genere

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Per prima cosa, sfatiamo un luogo comune: la violenza di genere non è un’emergenza. Si tratta, infatti, di un fenomeno strutturale e talmente diffuso che non è possibile paragonare il suo peso a quello di una calamità naturale improvvisa o di un evento imprevedibile.

Secondo un report pubblicato dall’OMS nel 2021, che raccoglie studi condotti sull’argomento tra il 2000 e il 2018, è possibile stimare che a livello mondiale 736 milioni di donne (circa una su tre) abbia subito almeno un atto di violenza nel corso della propria vita. 

Questi dati dimostrano che la violenza di genere coinvolge donne e persone che si identificano con il genere femminile in tutto il mondo. L’immagine che ci restituiscono indica che ci troviamo dinanzi ad un problema sistemico, le cui cause non possono essere spiegate semplicemente invocando le criticità presenti in singoli contesti culturali (come spesso viene fatto superficialmente con vicende relative al mondo arabo) o le difficoltà incontrate da singoli individui (ad esempio, quando si tenta di spiegare un femminicidio sostenendo a posteriori che il responsabile fosse affetto da depressione).

Per questo, Lo Spiegone inaugura il progetto “Rovesci di Genere”, con il quale intendiamo analizzare il fenomeno della violenza di genere con l’approccio lento ma approfondito che ci caratterizza. 

Che cos’è la violenza di genere

Con violenza di genere si fa riferimento a «qualsiasi atto di violenza basata sul genere della vittima che provochi o possa provocare alle donne danni o sofferenze sul piano fisico, sessuale o psicologico, comprese minacce di simili danni, forme di coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che in quella privata». 

La Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne adottata il 20 dicembre 1993 dalle Nazioni Unite, che contiene questa definizione, chiarisce anche che la violenza può essere perpetrata da tre categorie di autori: la famiglia, la comunità nel suo complesso (ad esempio per quanto riguarda episodi che avvengono in istituti scolastici o luoghi di lavoro, o per i fenomeni di prostituzione e traffico di donne) e lo Stato.

Le Nazioni Unite declinano sette modalità con le quali la violenza si manifesta: oltre a forme più gravi, come il femminicidio, il traffico di persone, i matrimoni forzati di minorenni, vengono incluse anche le mutilazioni genitali femminili e gli atti violenti commessi attraverso la tecnologia o facilitati da essa (cyberbullismo, sexting non consensuale e doxing, cioè la divulgazione non consensuale di informazioni private di una persona). 

La violenza nelle relazioni 

A queste modalità si aggiungono due categorie ulteriori: la violenza relativa alla sfera sessuale e l’intimate-partner violence (violenza perpetrata dal partner).

La prima espressione fa riferimento agli atti di natura sessuale che provocano sofferenza alla vittima o le vengono imposti senza il suo consenso. L’esempio più classico di questa categoria di condotte è lo stupro, ma vi rientrano anche le violazioni dei diritti umani della donna in senso più ampio (ad es. sterilizzazione forzata, schiavitù sessuale, gravidanza forzata, uso forzato di contraccettivi, infanticidio di neonate di genere femminile e selezione prenatale del genere del nascituro). Questa categoria comprende anche gli atti definiti molestie sessuali, cioè contatti, commenti o comportamenti che sono indesiderati da parte della destinataria.

Con l’espressione intimate-partner violence si fa riferimento alle diverse tipologie di atti violenti che vengono perpetrati dal partner o ex partner, che possono comprendere abusi di carattere fisico, sessuale o anche psicologico, tra cui le ipotesi di “violenza domestica”. Secondo una stima fatta dall’OMS, nel 2018, circa 641 milioni di donne (il 26% della popolazione femminile mondiale) con un’età di almeno quindici anni avrebbe subito violenza perpetrata dal proprio partner almeno una volta nella vita. Tra queste donne, circa 245 milioni (il 10%) avrebbe subito violenza da parte del partner o ex partner negli ultimi dodici mesi. 

Le aree più colpite dalla violenza

Le aree in cui la violenza all’interno della coppia si manifesta con maggiore frequenza sono il continente africano e l’Asia sudorientale (dove si stima che il 33% delle abitanti ne sia stata vittima), seguite dall’Asia occidentale e dal Nordafrica (31% per entrambe). La stima è leggermente inferiore per il continente americano (25%) e quello europeo (21%), mentre l’area pacifica registra la percentuale più bassa (20%).

L’Oms ha precisato che si tratta di una stima al ribasso, poiché lo stigma legato a questo fenomeno e le collegate situazioni di pericolo per l’incolumità delle vittime determinano la presenza di un “numero sommerso” di casi che non vengono denunciati.

Una definizione, tante sfumature

La varietà di forme che la violenza di genere può assumere dimostra che si tratta di un fenomeno pervasivo, che non è circoscritto a episodi espliciti, come femminicidi o stupri, ma si concretizza anche attraverso modalità più subdole. Per rappresentare questo concetto ed evidenziare i forti legami tra gli atti di violenza e le discriminazioni che le donne subiscono nella società attuale, si è diffuso il modello della piramide o dell’iceberg della violenza.

Questa immagine mostra con efficacia che gli episodi di violenza più gravi, che richiamano l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica, avvengono in un contesto caratterizzato da diffuse micro-aggressioni, molestie e discriminazioni che vengono normalizzate o non sono collegate tra di loro per formare un quadro più ampio.

Non è possibile, infatti, parlare di violenza di genere separandola da un più vasto discorso sulla condizione delle donne nella società, secondo una prospettiva intersezionale che tenga conto della molteplicità di discriminazioni a cui sono soggette in base (oltre che al genere) anche all’etnia, alla classe sociale di appartenenza e al luogo in cui vivono.

La consapevolezza della società

Nonostante i fenomeni della violenza di genere e della discriminazione sembrino questioni che riguardano essenzialmente le persone che si identificano con il genere femminile, in realtà dev’essere interesse dell’intera società risolvere questi problemi.

L’uguaglianza di genere e l’uguaglianza dei diritti hanno anche un enorme impatto sull’economia: una ricerca del Fondo monetario internazionale (Fmi) pubblicata a inizio anno indica che la riduzione del divario di genere nel mercato del lavoro contribuirebbe a far crescere il prodotto interno lordo (Pil) di quasi l’8% nelle economie emergenti e in via di sviluppo. Eliminando del tutto il divario tra donne e uomini in questi Paesi, il Pil aumenterebbe del 23% in media. L’istituto europeo per la parità di genere (EIGE) stima che la promozione della parità di genere in Europa potrebbe portare ad un aumento del 12% del Pil entro il 2050. 

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Sempre secondo il Fondo monetario internazionale, le imprese che promuovono la parità di genere sono più efficienti nei processi di selezione, nella valorizzazione e nella ritenzione dei talenti, fattori che si riflettono in risultati economici migliori, maggiore competitività e migliore performance. Generalmente, la leadership femminile si associa a maggiori investimenti in alcuni settori, come gli asili nido, o in alcune politiche, come quelle a favore dell’ambiente e della sostenibilità: il genere femminile risulta più incline a riconoscere la necessità di un cambiamento, forse perché l’ha provata sulla propria pelle. A sua volta, queste politiche potranno favorire la parità di genere innescando un percorso virtuoso di crescita e opportunità.

Gli strumenti per agire

La necessità di affrontare e sradicare il fenomeno della violenza di genere e di avanzare nel percorso verso una piena equità tra i generi è percepita come urgente sia dalle istituzioni che da ampie parti della società civile. Per questo, si sono affermati progetti di sensibilizzazione e di azione che partono sia dall’alto che dal basso.

Quanto ai provvedimenti assunti dalle istituzioni, il Committee on the Elimination of Discrimination against Women (Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione contro le Donne – CEDAW), creato nel 1979 con compiti di monitoraggio, ha evidenziato fin dal 1992 il legame tra la violenza di genere e la discriminazione delle donne.

A partire da questa nozione, le Nazioni Unite hanno adottato nel 1993 la Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne, seguita nel 1995 dalla Dichiarazione e piattaforma d’azione di Pechino, con cui i 189 stati membri hanno fissato come obiettivo strategico l’eliminazione della violenza di genere.

A livello regionale, l’urgenza di affrontare il fenomeno ha portato all’adozione nel 1994 della Convenzione interamericana sulla prevenzione, punizione e sradicamento della violenza contro le donne, anche nota come Convenzione di Belém do Pará, da parte dell’Organizazione degli Stati americani.

Nel 2003, invece, l’Unione Africana ha approvato il Protocollo alla Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa.

Ultima in ordine di tempo, ma molto nota è la Convenzione di Istanbul o Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, approvata l’11 maggio 2011 ed entrata in vigore il primo agosto 2014.

Il ruolo della società civile

Per quanto riguarda le azioni dal basso, i movimenti femministi riempiono le piazze ogni anno, in occasione del 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne). Con l’esplosione del movimento #MeToo nel 2017 e di fenomeni culturali come la canzone di protestaUn violador en tu camino (Uno stupratore sulla tua strada) del Collettivo cileno Las Tesis, inoltre, la condanna della violenza di genere ha raggiunto i canali mainstream di informazione. 

Proprio i media rivestono un ruolo fondamentale, essendo chiamati a educare la società civile e a chiarire i contorni di questo complesso fenomeno. Insieme agli strumenti forniti dalle istituzioni, infatti, il contributo di cittadini e cittadine consapevoli e attivi è fondamentale per superare il problema della violenza di genere.

 

Fonti e approfondimenti

Aurora Guainazzi, Armando D’Amaro e Sebastian Cuschié, I volti delle donne d’Africa: il femminismo africano – Lo Spiegone, 4 ottobre 2021.

Camilla Lombardi (a cura di), Laltra-meta-del-cielo-1.pdf (lospiegone.com), Lo Spiegone, marzo 2022.

Chiara Antonini, Serve emancipazione per raggiungere il benessere – Lo Spiegone, 30 aprile 2021.

Commissione Europea, Strategia per la parità di genere. Risultati e principali settori d’intervento.

EIGE, What is gender-based violence?.

Lo Spiegone, L’altra metà del cielo | Podcast on Spotify.

Lo Spiegone, Il personaggio dell’anno: Jina “Mahsa” Amini – Lo Spiegone, 27 dicembre 2022.

Lorenza Scaldaferri, Li Qiaochu, una voce femminista per la giustizia sociale in Cina – Lo Spiegone, 7 marzo 2024.

Martina Rizzoli, Il femminismo in Australia, dalle origini a March 4 Justice – Lo Spiegone, 20 febbraio 2024

Serena Pandolfi Femminismo decoloniale: razza e genere in America latina – Lo Spiegone, 19 giugno 2020.

UN Women, Facts and figures: Ending violence against women, 21 settembre 2023.

UN Women, FAQs: Types of violence against women and girls.

WHO, Violence against women, 25 marzo 2024.

 

Editing a cura di Beatrice Cupitò

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