Nicaragua vs Stati Uniti: una storia da ricordare

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Il caso Nicaragua vs. United States ci permette di comprendere come il sistema del diritto internazionale funzioni in modo ambiguo e come i paesi vincitori siano privilegiati in questo ordine. Per capire bene il caso è però necessario prima comprendere com  Washington abbia influito sulle dinamiche del continente americano. Il predominio statunitense sulle americhe è nato nell’ottocento con la dottrina Monroe e si è consolidato nel corso dei decenni, ma in che modo è perpetrato questo dominio? Cerchiamo dunque di spiegare questi due punti fondamentali.

 

Storia delle relazioni Usa-America Latina

“Riteniamo che sia giunto il momento di affermare un principio, a difesa degli interessi e dei diritti degli Stati Uniti. Ovvero che gli stati americani, nella condizione di libertà e indipendenza oramai raggiunta e mantenuta non siano mai più considerabili oggetto di una futura colonizzazione da parte di potenze europee. Considereremo, pertanto, ogni tentativo di estendere il loro potere a qualsiasi parte di questo emisfero come un attacco alla nostra pace e alla nostra sicurezza.”

Con queste frasi il presidente degli Stati Uniti Monroe inaugurava la dottrina, che proprio da lui prende il nome, rivolgendosi al “vecchio mondo”,sanciva l’inizio del predominio statunitense sul continente americano. Era il 1823 quando il presidente parlava al Congresso della nuova politica estera e nel frattempo l’Europa, uscente dalle guerre napoleoniche, aveva perso molte delle sue colonie, dichiaratesi indipendenti tra il 1815 e il 1822.

La prima fase di costruzione dell’egemonia statunitense va senza dubbio dal 1822 al 1898. Nell’arco di questi decenni la giovane repubblica si impegnò a consolidare la propria potenza navale, indispensabile per mantenere un’ influenza sul continente intero. Non sempre gli Stati Uniti  riuscirono a far rispettare la dottrina Monroe, ma iniziarono a intrattenere rapporti sempre più intensi con gli stati latino-americani, attraverso trattati commerciali alle guerre. La guerra Ispano-Americana del 1898, che si concluse con la vittoria americana e l’indipendenza di Cuba, a discapito della Spagna, fu l’ultimo scontro con gli Europei per allontanarli definitivamente dal continente. Gli U.S.A un secolo dopo la proclamazione della dottrina Monroe erano riusciti a diventare e a mantenersi potenza egemone nel continente e il secolo successivo avrebbe sancito questa ambizione.

Nel corso del 900 rimpiazzarono la Gran Bretagna nel ruolo di potenza e di partner commerciale in America Latina. Negli anni ’30 venne lanciata, nei confronti degli stati a Sud del confine, la “Good Neighbour Policy” che consisteva in relazioni commerciali forti, che prescindevano dal tipo di regime politico vigente nei paesi latinoamericani. Gli Stati Uniti si assicurarono l’alleanza di quasi tutti i vicini durante la seconda guerra mondiale e proprio dopo la guerra mondiale, con l’entrata nell’era della guerra fredda, la politica del buon vicinato cominciò a vacillare. Si palesava la necessità di proteggere l’emisfero occidentale dall’influenza sovietica e questo dato cambiava tutte le previsioni precedenti. Le necessità portarono alla fine della “Good Neighbor Policy”, minando il suo principio cardine: il non intervento. Washington si sarebbe di lì a poco intromessa sempre maggiormente negli affari latinoamericani.

 

Gli interventi in Nicaragua

Già da inizio ‘900 gli Stati Uniti erano intervenuti in Nicaragua, nel contesto delle “banana wars”. L’interesse fondamentale, ancora presentato in ottica “Monroe”, era quello di impedire che qualsiasi altro stato intraprendesse la costruzione del canale, primato che gli U.S.A. raggiunsero nel 1914 con il famoso canale di Panama. L’occupazione del Nicaragua, tra il 1913 e il 1933 servì soprattutto a impedire la costruzione di un canale alternativo a quello già costruito e a mantenere un monopolio che assicurava enormi vantaggi al suo detentore.

Fino agli anni ’30 il Nicaragua venne guidato da una giunta fedele a Washington, quasi assimilabile a un protettorato. Tuttavia con l’arrivo della grande depressione, l’allora presidente Hoover riconobbe l’insostenibilità in termini economici del mantenimento della situazione, iniziando a smobilitare le truppe e ad allentare il rapporto con la dittatura.

Tra il 1927 e il 1933 sotto la guida di Augusto Sandino scoppiò una rivolta, che in breve  tempo si trasformò in una rivoluzione contro la dittatura e l’occupazione statunitense. La guida della rivoluzione Augusto Cesar Sanino venne assassinato nel 1934 dagli uomini di Anastasio Somoza García, che di lì a pochi anni arrivò alla guida del paese con un colpo di stato, creando di fatto una dinastia al potere ininterrottamente fino al 1979.

L’eredità politica di Sandino, prima vittima del regime, venne raccolta dal “fronte Sandinista di liberazione nazionale”. Nel 1972, ad aggravare la situazione del paese, un terremoto colpì il paese, la gestione della ricostruzione mostrò tutte le debolezze del regime, portando anche le forze moderate ad abbandonarlo.

Proprio il Fronte Sandinista raccolse consensi e costruì la base necessaria per guidare quella che sarà la “rivoluzione Sandinista” che porterà il Fronte al potere nel 1979. Gli Stati Uniti che conoscevano e si opponevano alle azioni dell’FSLN già da tempo non potendo permettere la presa del potere da parte del gruppo, soprattutto per il rischio di un nuovo stato latinoamericano comunista e potenzialmente vicino a Mosca, intervennero nel paese.

 

Il sostegno ai Contras

Il caso giudiziario ha le sue basi nel sostegno a gruppi paramilitari Anti Sandinisti. Già sotto l’amministrazione Carter si era preceduto a finanziare i gruppi di “Samocistas”, sostenitori della dinastia dei Samoza spodestata, ma è con l’arrivo di Ronald Reagan che iniziò il supporto ai gruppi anti Sandinisti, chiamati “Contras”.

Questi gruppi non avevano una composizione omogenea. Sotto l’etichetta contras un variegato universo di gruppi di resistenza anticomunisti si riunivano, le azioni dei contras si basarono su attacchi terroristici e violenze, che rappresentavano chiare violazioni dei diritti umani. Il supporto a questi gruppi venne proibito dal congresso, ma nonostante ciò continuò il flusso di armi e denaro verso i contras.

Il sistema era complesso, infatti, attraverso la vendita di armi all’Iran ,sotto embargo, diversi funzionari governativi statunitensi, volevano riuscire a risolvere due problemi in un solo colpi. In questo modo avrebbero potuto negoziare il rilascio di ostaggi statunitensi, in Libano, e con il ricavato della vendita finanziare i Contras. Lo scandalo noto come Iran-Contras affair costò quasi la presidenza a Ronald Reagan.

 

“Attività militari e paramilitari in e contro il Nicaragua”, la controversia davanti la CIG

La reazione del Nicaragua fu quella di rivolgersi alla Corte Internazionale di Giustizia. Il governo americano venne accusato dal Nicaragua, di aver usato contro di lui la forza armata diretta, disseminando mine nelle acque territoriali nicaraguensi, violando palesemente il diritto internazionale consuetudinario e causando danni alle navi mercantili del Nicaragua e di altri stati. Queste accuse si aggiunsero anche alle insinuazioni di aver attaccato i porti, le installazioni petrolifere e le basi navali e soprattutto di aver fornito assistenza logistica ai ribelli anti-sandinisti (i Contras).

Con l’entrata in vigore della Carta delle Nazioni Unite, in modo particolare con l’articolo 2, par. IV, la possibilità per gli Stati di ricorrere all’uso della forza per la risoluzione delle controversie internazionali è stata limitata praticamente alla sola ipotesi di legittima difesa. Gli Stati Uniti sostenevano che le operazioni militari intraprese nei confronti del Nicaragua fossero assolutamente lecite, in quanto svolte sulla base della legittima difesa collettiva riconosciuta dal diritto internazionale generale e dalla Carta delle Nazioni Unite ed inoltre che il loro intervento era stato richiesto dai tre stati latino-americani che erano rimasti vittima di un attacco nicaraguense: El Salvador, il Costa Rica e l’Honduras.

La Corte stabilì innanzitutto che le manovre militari condotte dagli U.S.A. in Nicaragua erano di per sé illecite, in quanto costituivano una violazione del principio che vieta l’uso della forza.

È necessario riportare una delle decisioni della corte la quale sottolineò che per poter giustificare l’intervento per legittima difesa è necessario trovarsi di fronte ad un attacco armato già sferrato (“engaged”). La manovra statunitense era inoltre più ingiustificata dal momento che la Corte non ritenne nemmeno esistente l’assenso degli stati direttamente investiti delle presunte illegittime incursioni nicaraguensi. La decisione finale della corte stabilì che Washington aveva violato il diritto internazionale consuetudinario intervenendo negli affari di un altro stato armando, equipaggiando, finanziando e supportando gruppi che agivano contro il governo del Nicaragua.

Gli Stati Uniti, secondo il giudizio della corte, dovevano:

  • immediatamente cessare tutte le azioni giudicate illegittime.
  • Fornire riparazioni al Nicaragua.
  • Rispettare gli obblighi e trovare una soluzione pacifica della controversia attraverso gli strumenti del diritto internazionale.

Nonostante il giudizio a favore delle pretese Nicaraguensi il governo americano si rifiutò di accordare riparazioni, continuando inoltre a finanziare i gruppi.

La controversia raggiunse il Consiglio di Sicurezza, secondo l’articolo 94 (Carta ONU) secondo cui ciascun membro delle Nazioni Unite, si impegna a conformarsi alla decisione della Corte Internazionale di Giustizia in ogni controversia di cui esso sia parte.  Se una delle parti di una controversia non adempie agli obblighi, l’altra parte può ricorrere al Consiglio di Sicurezza, il quale ha facoltà, ove lo ritenga necessario, di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere perché la sentenza abbia esecuzione.

Il funzionamento di questo meccanismo incombe tuttavia in una falla, come proprio la controversia Nicaragua vs. Usa ci ha dimostrato.

Gli Stati Uniti posero fine alla “questione Nicaragua” utilizzando il loro potere di veto in quanto membri permanenti del consiglio di sicurezza. Lo status di membro permanente portò a sbilanciare a favore del primo il rapporto Consiglio di Sicurezza-Corte.

La gravità sicuramente si poggia sul fatto che davanti alla condanna di gravi violazioni del diritto internazionale, i vari stati che compongono una comunità paritaria, essendosi riconosciuti come eguali, hanno di fatto un peso differente, sconfessando l’intero funzionamento del sistema.

 

 

Fonti e Approfondimenti

http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=nicaragua86

http://www.un.org/en/charter-united-nations/

 

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