Xi Jinping non è Mao Zedong

Xi Jinping, Presidente della Repubblica del Popolo della Cina, Presidente del Partito Comunista della Cina e presidente della Commissione Militare Centrale del partito e dello Stato ha, dal 2012, conquistato tutte le posizioni di “rilievo” all’interno del regime cinese. È difficile non pensare che non sia il  leader supremo dello Stato più popolato al mondo e la sua ultima prova è stata quella che abbiamo descritto qualche giorno fa durante il Congresso del Popolo della Cina.

Il suo potere è sconfinato e spesso è stato affiancato a Mao Zedong, non senza qualche errore di troppo. Infatti, a differenza dei suoi predecessori, le sue cariche ricoprono tutti i lati amministrativi, politici, economici e militari, cosa mai avvenuta dopo il 1976. Se Mao nel 1949 creò uno Stato, ribaltando il regime di Chiang Kai-shek, e imponendo un regime comunista, Xi si è trovato a dover solo amministrare un sistema già creato da quasi settant’anni. Se Mao ha usato l’intelligenza politico-militare per prendere il potere all’interno del PCC, Xi si è trovato a vivere da sempre dentro un ambiente favorevole alla politica, essendo suo padre un alto funzionario del PCC. Se Mao ha intrapreso delle riforme politiche non indifferenti, anche se sul lungo periodo sbagliate, come il “Grande Balzo in Avanti” e la “Rivoluzione Culturale”, Xi sta dando prova del suo immobilismo politico e riformatore.

La grande domanda a cui si cerca di rispondere oggi è se l’immobilismo che ha caratterizzato questi ultimi quattro anni sia una politica precisa o se sia una “politica del cestino dei rifiuti”, come si dice in gergo. Quest’ultima ipotesi consiste nella decisione di applicare delle riforme politiche, economiche e amministrative senza un reale studio ma solo scartando le politiche peggiori e le politiche migliori per “economizzare” le decisioni. Se questa fosse la politica applicata da Xi, la Cina in pochi anni avrà un grande problema che potrebbe sfociare in una crisi incolmabile.

Il leader supremo ha deciso di mettere al centro della sua agenda la politica invece che l’economia, unica vera linfa vitale della Cina dal 1977. In questo senso sono state approvate molte leggi anti-corruzione, un problema rilevante in Cina più che in altri Paesi, portando all’incarcerazione di più di 300mila impiegati pubblici. Ma questo accanimento violento contro la corruzione, se prima sembrava esserci una volontà di tagliare la testa a un problema non solo morale, ora sembra essere un espediente per eliminare tutti gli oppositori politici del governo (e il fatto di aver ritrovato il nome di Xi Jinping nelle liste dei Panama Papers sembra convalidare questa tesi). Infatti nel 1997 venne abolito il crimine di essere dichiarato “controrivoluzionario, soprattutto perché si era superato il culto della personalità di Mao e quindi la necessità di un consolidamento ideologico. Invece, sono stati ripresi i manuali di culto della personalità del “sole rosso” Mao, scomparsi negli anni ’70, per consolidare il nazionalismo cinese e l’identità. Ma sembra, invece, anche questo un espediente per annullare decenni di riforme politiche ed economiche a favore di una centralizzazione di poteri e di culto in una sola persona, ovvero Xi. 

Ma c’è qualcosa di ancora più preoccupante in tutta questa faccenda, la consapevolezza dell’incompetenza politica di Xi di essere un vero leader. Negli anni ’70, il periodo delle grandi riforme, lo Stato ruotava intorno alle riforme economiche grazie anche a un voluto immobilismo politico e sociale. Oggi la stagnazione delle riforme politico-sociali non può essere giustificata dalle riforme economiche perché non se ne vedono o almeno non così consistenti come succedeva fino a qualche anno fa.

Xi Jinping vuole cancellare l’eredità lasciata da Deng Xiaoping, l’uomo dell’ultimo trentennio del ‘900 cinese, rivalutando l’opera di Mao e cercando di imparare da lui come essere un dittatore del popolo. Ma Xi sta sottovalutando un aspetto, la morte di Mao Zedong fu nel 1976 e da allora sono passati quarant’anni. In questi anni non ci sono stati solo modelli economici che hanno permesso alla Cina di svilupparsi come mai avrebbe potuto immaginarsi, si sono stati anche movimenti di piazza violenti. L’immobilismo sociale, aprendo il sistema comunista al libero mercato, ha creato le proteste di Piazza Tienanmen che hanno creato uno dei massacri più violenti del secondo dopoguerra.

Oggi i cittadini cinesi stanno ritornando in piazza ed hanno ripreso quel coraggio che era stato annientato dai carri armati il 4 giugno 1989. Ci arrivano sempre più notizie di manifestazioni e scioperi dalle campagne alle città. Xi sta usando anche qui la politica del lasciar fare, con molta moderazione ma senza mai cercare il dialogo. Se dovessero continuare queste proteste di piazza la crisi sarà inevitabile e allora Xi si troverà davanti a un bivio troppo delicato, usare la repressione violenta chiedendo l’aiuto dell’Esercito o no? La risposta a questa domanda aprirebbe ulteriori considerazioni. Prima di tutto, se venisse usato l’esercito, Xi dimostrerebbe vulnerabilità anche all’interno del proprio Stato perché l’esercito non venne mai impegnato per sedare attriti o frizioni tra governo e società. L’unica volta che fu utilizzato a questo scopo, nonostante Deng fosse un uomo dell’esercito, la Cina visse un decennio di tensioni molto elevato tra l’esercito e le alte cariche statali.

In caso contrario Xi avrebbe un altro problema da gestire all’interno del PCC. La sua monopolizzazione dello Stato e del Partito, non gestite al massimo, come abbiamo già detto, porteranno a un indebolimento della sua figura che, in caso di manifestazioni decise della società, sarebbe ulteriormente appesantita. Non è da escludere che questo sistema labirintico che si sta creando potrebbe portare a una fine precoce di un leader nascente. Tutto dipenderà dalla riuscita delle poche riforme economiche che sono state messe in atto fino a oggi e al rapporto tra il governo centrale, il partito e la società.

Quello che è sicuro è che Mao Zedong fu unico nel suo genere, la sua efferatezza, la capacità politica, l’abilità militare, la fitta rete diplomatica creata, l’immagine di un leader temuto e amato allo stesso livello non possono essere replicabili. La storia che la Cina ha seguito dopo di lui è stata scelta anche per l’impossibilità di raccogliere l’eredità di un leader così potente, chiunque abbia provato a ricalcare le sue orme è caduto con la stessa velocità con cui ha raggiunto l’apice. Xi Jinping ha coscienza di questo pericolo e ancora non ha indirizzato la sua politica che rimane ferma e ristagnante, ogni decisione presa potrebbe essere la più importante e quindi va dosata. Attenzione quindi a comparare il leader attuale con l’unico leader, perché il primo potrebbe scottarsi ancora con il fuoco di Mao.

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