Turchia: il ritorno del Sultano

Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan durante un meeting in Russia
@The Presidential Press and Information Office - Wikimedia Commons - License CC BY 4.0

La Turchia di Erdogan si sta confermando sempre di più uno Stato che ha perso la via democratica per lasciare spazio a un regime non democratico. Possiamo infatti affermare che le idee democratiche in questo Paese stanno venendo smantellate dai colpi di mano di un presidente sempre più accentratore. L’ultima grande scossa che la Turchia ha subito è stata il 5 maggio, quando il primo ministro Ahmet Davutoğlu è stato costretto a dimettersi dal proprio incarico. 

La notizia non dovrebbe fare troppo rumore se ci si fermasse alle dimissioni di un primo ministro ma quello che fa alzare la soglia d’attenzione è proprio la costrizione che Recep Tayyip Erdogan ha imposto al suo più fedele collaboratore. Il primo ministro è uno dei più fedeli membri del partito AKP (Partito di Giustizia e Sviluppo), ovvero il partito del presidente, nonché uno dei fortissimi consiglieri di Erdogan. Ultimamente però il rapporto tra i due si era inclinato per delle frizioni all’intero della discussione politica del partito. E proprio in questo frangente il colpo di mano del presidente sembra essere l’ultima avvisaglia del nascente autoritarismo turco. La commistione tra istituzioni pubbliche e discussione interna al partito infatti sembra essere una delle prerogative del fallimento della democrazia che Kemal Ataturk portò all’inizio del XX secolo nel nascente Stato turco.

La prerogativa di tutte le istituzioni turche è quella di perseguire il pensiero di Erdogan, autoritario, islamista ed inconcludente, spesso confuso e a volte incoerente. Questa definizione può essere associata al regime “sultanistico, ovvero quel regime non democratico che non fa che girare intorno al leader ma che, in verità, non ha un forte pilastro ideologico se non quello di far accumulare patrimonio e ricchezze al leader. Erdogan sta esattamente facendo questo tipo di politica, ammainando la bandiera turca, segno di forte coesione interna e carica di solidarietà, per issare quella del suo nome.

La deriva islamista radicale e, soprattutto, l’accentramento del potere così forte sono oltretutto segno di estremismo sempre più in ascesa. Proprio l’elemento su cui si basa la discussione interna al AKP tra il numero uno e il numero due. Davutoglu, infatti, oltre a essere, l’oramai ex, primo ministro era anche leader del partito. Era, perché Erdogan ha imposto le sue dimissioni anche da quella carica. Quello che può essere ricostruito riguardo alla psicologia autoritaria del leder, oramai, supremo è che non ci sia posto alcuno per i moderati, tantomeno se scettici nei suoi confronti. Questa stessa selezione antidemocratica avvenne nel rapporto tra l’ex presidente turco Abdullah Gül e lo stesso Erdogan. Infatti Gül, dopo essersi allontanato dal AKP nel 2007, iniziò a mettere in allerta i membri del suo ex partito e alcuni politici occidentali sulle aspirazioni e i metodi di Erdogan. La moderazione di Davutoglu, come quella di Gül, sono stati gli elementi di selezione principali e uno Stato, un governo e un partito di maggioranza come l’AKP guidati dall’estremismo fanno del regime un regime non più democratico proprio per le sue caratteristiche estremiste.

Un altro elemento su cui bisogna soffermarsi per comprendere la capacità di Davutoglu e le azioni di Erdogan riguarda la crisi siriana e i rapporti con l’Occidente. Come abbiamo scritto qualche tempo fa sull’accordo tra Turchia ed Europa, le contropartite per la Turchia in cambio della gestione dei migranti fu quella di un visto per i turchi che volessero accedere nel Vecchio Continente senza dover usare il passaporto. L’ideatore di questa mossa tanto festeggiata dai turchi fu proprio Ahmet Davutoglu, abile uomo politico. La popolarità di un secondo leader non può essere accettata all’interno di un regime così stringente come quello in ascesa. Allo stesso modo la volontà da parte di Davutoglu di incontrare il presidente degli Stati Uniti Barack Obama non fu accettata da Erdogan poiché la sua visita negli States doveva essere l’unico elemento di rappresentanza all’estero della Turchia. Ecco allora altri elementi, sempre più frequenti e sempre più grandi, dell’ascesa di un leader senza freni.

L’ex leader dell’AKP e primo ministro Ahmet Davutoglu era l’unico, l’ultimo vero politico a potersi contrapporre a Racep Tayyip Erdogan. Il futuro prossimo sentenzierà la fine dei vincoli per l’ascesa del leader che iniziò proprio sotto il segno delle politiche moderate, all’interno di un partito di governo non estremista. L’estensione del potere all’infinito fanno in modo che qualsiasi diritto o legge possa essere minata dalle decisioni di un uomo e non da una maggioranza. Ogni report di ogni agenzia mondiale riporta in generale la situazione nel territorio turco come potenzialmente a rischio, in alcuni punti particolari addirittura già non democratica.

Freedom House ha stilato il rapporto annuale riguardo alla liberà in generale, di stampa e del web. Di seguito trovate il rapporto su tutti e tre i fronti. Un risultato molto pericoloso per un Paese, ricordiamolo, che ha depositato la richiesta di ingresso nell’Unione Europea.

Fonti e Approfondimenti:

https://www.foreignaffairs.com/articles/turkey/2016-05-08/turkeys-king

http://www.aljazeera.com/news/2016/05/turkey-davutoglu-set-talks-fail-reports-160505034300569.html

http://www.economist.com/news/europe/21698290-ahmet-davutoglu-architect-eu-turkey-migrant-deal-forced-out-no-room-moderates

https://freedomhouse.org/report/freedom-press/freedom-press-2016

 

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